Leggere tra le righe della Performance Art. Intervista a Claudia Larcher

di Francesca Piperis.

Leggere tra le righe della Performance Art. Intervista a Claudia Larcher

Sperimentazione tecnologica e compenetrazione di forme d’arte del tutto differenti rappresentano spunti di analisi delle opere di Claudia Larcher. L’artista viennese racconta gli spazi comuni in maniera del tutto inedita, attraverso un occhio ingegnoso.

Le opere narrano la sua personale visione di una realtà astratta, nascosta in un ambiente quotidianamente abitato: tra decostruzione architettonica e scomposizione della materia, la Larcher espone progetti artistici immersivi in cui il fruitore viene accolto ed accompagnato; propone spazi stimolanti che conducono lo spettatore ad un’acuta riflessione sulla propria esistenza all’interno di una realtà di cui ignora numerosi frammenti.

Per completare il suo progetto visionario, Claudia Larcher si serve da qualche anno dei numerosi strumenti artificiali, che le permettono di accedere ad un’ampia gamma di filmati architettonici senza la presenza di “vincoli” – come dice la stessa artista – alla sua creatività. La Larcher si schiera in difesa dell’intelligenza artificiale, nonostante non neghi la difficoltà di combinazione delle doti artistiche con l’automatismo tecnologico: “the AI – afferma l’artista – encourages contemplation about the significance of concepts and ideas and how they are transformed into visual creations”.

L’intervista

[Francesca Piperis]: Anzitutto, la sua formazione professionale è molto ampia e spazia in ambiti artistici differenti: dal cinema alle installazioni, dal collage al video, ecc. Qual è stato il suo primo approccio all’arte? Come ha cominciato questo tipo di percorso, e quanto tempo fa?

Claudia Larcher – Me, myself and I

[Claudia Larcher]: Il mio primo impegno serio con l’arte è iniziato durante l’adolescenza, quando ho allestito una camera oscura nel seminterrato dei miei genitori per sviluppare le fotografie analogiche che scattavo con passione all’epoca. La fotografia è stata un’attrazione precoce per me. Già allora desideravo gestire personalmente il processo di sviluppo per mantenere il controllo sul risultato creativo. Più tardi, a Vienna, ho scelto di studiare Cross Media Art, che corrispondeva perfettamente ai miei interessi. Non ho mai voluto limitarmi a un mezzo specifico; piuttosto, di solito parto da un’idea e da un concetto, per poi scegliere il mezzo che meglio lo completa. Il più delle volte, la mia arte nasce da un’immagine specifica, forse una fotografia simile a un autoritratto, un’immagine della mia casa di famiglia o qualcosa di enigmatico e intrigante. Queste immagini si trasformano ed evolvono nel corso del mio processo creativo, portando spesso a risultati molto diversi da quelli iniziali. Nelle mie opere, raramente le cose sono come sembrano.

Quale crede sia la forma d’arte (tra quelle da lei utilizzate) più rappresentativa del suo modo di vedere le cose e soprattutto più adatta a raccontarsi al mondo esterno?

L’approccio più rappresentativo per me è forse il lavoro con l’animazione video e l’arte installativa. Questi mezzi mi permettono di tessere storie intricate e di creare esperienze immersive che riflettono la mia percezione del mondo. L’animazione video e l’arte installativa, in quanto mezzi di comunicazione basati sul tempo, offrono una piattaforma unica per raccontare storie e trasmettere emozioni per una durata specifica. Questo approccio è ulteriormente arricchito dall’incorporazione di elementi audio, che aggiungono profondità e dimensione all’esperienza complessiva, consentendo un’interazione più dinamica e coinvolgente con il pubblico.

Installation ORE at Steiermarkschau/ mobile Pavilion, Austria, 2020

Nelle sue produzioni, del tutto originali e non convenzionali, prende mai ispirazione da artisti o forme di espressione già esistenti (o conosciute)? Ad esempio, ha un punto di riferimento nel mondo dell’arte e della performatività da cui si fa ispirare solitamente?

Quando ero studentessa, ero affascinata dalla “Düsseldorfer Photoschule”, guidata da Bernd e Hilla Becher. Erano famosi per le loro fotografie sistematiche di strutture industriali, catturate con uno stile oggettivo. Poiché l’architettura è uno dei miei interessi principali, questo mi ha particolarmente incuriosita. Uno degli studenti dei Becher, Andreas Gursky, ha utilizzato fin dall’inizio la manipolazione della realtà nelle sue fotografie, offrendo quella che sembrava essere una prospettiva imparziale. Questo concetto, che la fotografia o l’immagine visiva non possono mai essere pienamente affidabili, mi ha incuriosito fin dall’inizio. In termini di performance art, ammiro molto il lavoro dell’artista austriaca Florentina Holzinger. La sua inclusione di danza, performance e arti visive per mettere in discussione e decostruire i ruoli di genere è impressionante. Il suo approccio e il suo team inclusivo affrontano con forza questioni sociali e culturali critiche, lasciando spesso il pubblico sconvolto. Credo inoltre che il futuro dell’arte risieda in un approccio interdisciplinare.

Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, da qualche tempo si è interessata a questo nuovo mondo. Cosa l’ha attirata? Quali tra le proprietà di questi nuovi strumenti si sposano maggiormente al suo modo di vedere le cose?

Sono sempre stata affascinata dal concetto di IA nella fantascienza. La mia prima avventura nell’arte a tema IA risale al 2005, quando io e il mio collega Leo Peschta abbiamo creato un video interattivo per una macchina da gioco intitolato “Clar 9000”, una combinazione delle mie iniziali e un omaggio ad Hal9000 di “2001: Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick. La mia esplorazione dell’intelligenza artificiale ha avuto una svolta significativa nel 2021, quando ho iniziato ad addestrare i miei modelli di intelligenza artificiale, spinta dall’improvvisa disponibilità di diversi strumenti open-source online. Questo viaggio mi ha portata a un’intrigante consapevolezza: Non ero più obbligata a usare solo le mie immagini. Il mio lavoro aveva già comportato un ampio uso di filmati architettonici trovati, in particolare nella serie “Baumeister”, iniziata nel 2011. Questa serie consisteva nel riutilizzare vecchie immagini di riviste per esplorare la storia dell’architettura e creare nuovi mondi immaginari. L’avvento dei social media, in particolare di Instagram, sembra aver saturato il mondo con quasi tutte le immagini possibili, aprendo la strada al ruolo dell’intelligenza artificiale nell’arte. L’IA, addestrata su questi vasti database di immagini, progredisce logicamente verso il potenziale di generare qualsiasi immagine che possiamo concepire, inaugurando una nuova era nelle arti visive. Lavorare con l’IA è in sintonia con i miei metodi artistici del passato, in particolare con la stratificazione di varie immagini. Ora creo immagini composite utilizzando il mio modello di IA, che fonde elementi dei miei lavori precedenti. Per progetti completamente nuovi, come “The Great Tree Piece”, spesso inizio con un’immagine originale come base.

Come crede che si evolverà l’IA nell’ambito artistico e cinematografico? Pensa che potrà fondersi alle funzioni delle tecnologie odierne?

Credo che l’industria cinematografica mainstream sia pronta per cambiamenti drastici. Lo hanno lasciato intendere le recenti proteste di Hollywood. Tuttavia, la sfida non verrà dall’IA in sé, ma piuttosto dal modo in cui le persone e le aziende la utilizzeranno per produrre più contenuti a costi più bassi per il profitto. L’IA sfida il nostro sistema attuale e solleva importanti domande sul tipo di mondo in cui vogliamo vivere. Ci fa riflettere su come utilizzare in modo efficace il tempo risparmiato grazie al suo uso, invece di sostituire semplicemente i dipendenti o gli artisti. Per esempio, l’IA assiste alla stesura delle sceneggiature, alla creazione di ambienti CGI per i blockbuster e può persino sostituire gli attori o simulare sfondi in movimento. Questo solleva un’altra questione: dovrebbe esserci una tassa sull’uso dell’IA, simile alla tassa proposta sulle macchine per mantenere lo stato sociale?

Installation ORE at Steiermarkschau/ mobile Pavilion, Austria, 2020

Crede che l’utilizzo dell’IA abbia rappresentato un miglioramento nella sua produzione artistica? Usare questi strumenti le ha permesso di sperimentare maggiormente?

Da un lato, l’IA mi incuriosisce come argomento tecnologico. È probabile che abbia un impatto significativo sulla società, sulla politica e sull’ambiente. L’IA ha il potenziale per cambiare le carte in tavola, ad esempio per risolvere la crisi climatica, oppure potrebbe rappresentare una minaccia per la democrazia; lo scopriremo presto. Nell’ambito della mia borsa di ricerca presso il Valie Export Center di Linz, mi sto concentrando sui pregiudizi di genere nei modelli di IA. Il mio progetto attuale prevede la realizzazione visiva di questa ricerca in un’opera d’arte, naturalmente con l’aiuto dell’IA. D’altra parte, l’IA amplia notevolmente le mie competenze. Mi permette di creare ambienti immersivi in modo più semplice e veloce e, a volte, mi porta a soluzioni a cui non avevo pensato in origine. A volte funziona come assistente, altre come collaboratore. Credo anche che questo offra un’opportunità significativa per le arti di rivalutare il loro ruolo. Incoraggia la riflessione sul significato di concetti e idee e sul modo in cui vengono trasformati in creazioni visive.

Approfondendo la questione delle disparità di genere nell’uso di IA, ritiene che siano ancora presenti molti limiti, ad oggi, per questi nuovi strumenti?

I pregiudizi nell’intelligenza artificiale sono evidenti anche nel riconoscimento del genere e del sesso. Ad esempio, la tecnologia di riconoscimento vocale in genere funziona meglio con le voci maschili rispetto a quelle femminili, in gran parte a causa della sovrarappresentazione di campioni di voci maschili nei set di dati di addestramento. Allo stesso modo, gli algoritmi di rilevamento dei volti mostrano un pregiudizio significativo nei confronti delle persone di colore, essendo più efficaci nel riconoscere e analizzare le tonalità della pelle più chiare. Le conseguenze di questi pregiudizi sono particolarmente critiche in settori quali la sorveglianza, le forze dell’ordine e la sicurezza dei dispositivi personali, dove l’errata identificazione può avere gravi conseguenze. L’intelligenza artificiale ha già influenzato il comportamento e le opinioni degli elettori, soprattutto perché viene utilizzata per generare contenuti falsi convincenti, inclusi video profondamente falsi. Gli algoritmi di intelligenza artificiale possono analizzare grandi quantità di dati per identificare e indirizzare specifici segmenti di elettori con annunci politici personalizzati. Inoltre, gli strumenti di intelligenza artificiale possono automatizzare la creazione di falsi profili di social media e bot per diffondere propaganda politica e creare false percezioni di popolarità o consenso. Regolamentare l’uso di questi sistemi è fondamentale. La legge sull’intelligenza artificiale dell’UE rappresenta un significativo passo avanti, ma purtroppo siamo ancora un po’ indietro. Pertanto, è essenziale per tutti noi rimanere informati, agire e garantire un uso responsabile della tecnologia dell’intelligenza artificiale.

Exhibition view, Galerie Raum mit Licht, Vienna 2015

Riferimenti
Claudia Larcher official website | Facebook | Instagram
Immagine in evidenza
Claudia Larcher – Baumeister No. 3 (Part)
Copyright
Tutte le immagini: © Claudia Larcher and Bildrecht