Oltre lo sguardo. Dialoghi intorno all’Arte e alla Scienza per una nuova percezione di sé

di Paola Milicia.

Tredici artisti in una mostra virtuale, “Science Art Visions”, curata da Ennio Bianco, inclusa in un trittico espositivo per il 30° di arte.go.it assieme a “Gender fluid. L’arte sfida i binarismi di genere” a cura di Valerio Dehò e “Altre ecologie. Quando l’arte protegge il Pianeta”, a cura di Maurita Cardone: un evento artistico che sulla linea di confine di un secolare ménage tra arte e scienza, insiste sulla natura ibrida e incoercibile della relazione che intercorre tra le due. Per alcuni, la questione si esaurirebbe nel timore che il progresso scientifico e tecnologico stiano cancellando completamente la libertà artistica in nome di un’oggettività meccanica; per altri, l’innovazione a tutto tondo propone un avvenire artistico propositivo e inedito, capace di reinterpretare i temi della contemporaneità, soprattutto alla luce della costruzione di nuove identità (anche corporee) possibili.

Quando Stelarc affermava «non dobbiamo avere paura di usare la tecnologia, non dobbiamo pensare alla tecnologia come ad un’interazione faustiana», l’innovazione appariva soprattutto una opportunità di autorappresentazione da cogliere. Il potenziale atteso e tradito dalla storia era che attraverso la tecnologia si potesse finalmente uscire dall’unum, ovvero, da quella massa uniforme e appiattita in cui l’unicità della propria storia, anche fisica, non trovava spazio di narrazione. A distanza di trent’anni, l’esito della storia ci infligge una dura sconfitta: nell’era dei social media, non esiste una identità meno caratterizzante e programmata di quanto siamo soliti guardare. Allora la domanda da porsi è: se la tecnologia, la scienza, l’innovazione siano o no davvero capaci di restituire alla rappresentazione di sé le identità perdute.

È questa l’idea principale intorno a cui si articola la mostra: un corpus variegato di opere che guarda agli infiniti profili di scientificità, da una prospettiva potenziata ed estendibile, ma paradossalmente più intima e anatomica, foriera di possibili paradigmi artistici ed estetici che si incentrano sulle mille forme che l’identità può assumere. Alla complessità dell’osservazione del mondo circostante, gli artisti in mostra rispondono con un’ampia gamma di talenti e di epistemologie, creando un unico grande compendio di poetica audio visiva in cui la sperimentazione artistica punta anzitutto a un capovolgimento della percezione della natura e del destino umani, animale e del paesaggio, così aumentati e modificati dalla mediazione tecnologica.

Le opere di Helen Pynor, Susan Aldworth, Suzanne Anker, June Balthazar & Pierre Pauze, Heather Barnett, Daniela De Paulis, Marco Donnarumma, Andy Lomas, Tina Salvadori Paz, Maja Smrekar, Stel Stelarc, Emilio Vavarella, forniscono una prospettiva di osservazione spazialmente aperta, in cui le connessioni tra arte e ricerca tecno-scientifica hanno una natura essenzialmente e spontaneamente connessa. I processi creativi di cui siamo spettatori, tutti diversi eppure simili, sembrano connessi alla comune capacità di vedere forme, strutture e relazioni da una prospettiva extra-ordinaria dell’innovazione grazie alla quale si è in grado di offrire delle chiavi di lettura per ritematizzare la percezione, l’immaginazione e l’immagine, categorie essenziali per riflettere sui cambiamenti del nostro tempo e della nostra identità.

Marco Donnarumma – Niranthea – stills from video

Dentro una rinnovata Gestalt, in cui il rapporto uomo-ambiente-progresso-macchina viene di volta in volta inquisito, la prassi tecnologica consente dunque di riprogrammare nuovi binarismi – corpo e anima, sano e patologico, vivo e morto -, e di concepire nuove categorie estetiche, come quelle biomorfiche di Marco Donnarumma. L’artista si presenta con un doppio lavoro esperienziale: “Ex Silens” e “Niranthea” in cui affronta l’interazione fisica e culturale del corpo umano (e della patologia, ovvero della sordità) e il suo ambiente, allo stesso modo in cui la robotica, la bioingegneria, la nanotecnologia forgiano il legame tra naturale e artificiale. La sua creatura somiglia a un feticcio mutante, nato dalla relazione tra metamorfosi e natura. La sua è essenzialmente un’arte ad altissima specializzazione fatta di una contaminazione sensoriale e partecipativa di carne, di movimento, suono e tecnologia che funziona anzitutto come una liturgia: sottraendola alla dimensione pubblica, la creatura ricondizionata di Donnarumma è riprogettata contro quel destino canonico che la normalità anatomica impone come unico possibile, e dunque accettabile.

© Heather Barnett – Ripple Rift, 2024

Nel video-documentario “Ripple Rift” di Heather Barnett osserviamo il comportamento malinconico della melma policefala dotata di vita proto-intelligente, capace di resilienza, di calcolo, di memoria, e volontà in nome della sopravvivenza. L’auto-organizzazione spontanea, incontrollabile e imprevedibile della vita della melma è curiosa e misteriosa: ci sbalordisce la cognizione primitiva che guida la sua funzione e la sua forma e ci commuove la tendenza incoercibile che essa ha di descrivere un modello di interazione sociale, e una comunicazione essenzialmente spontanea e non verbale, una organizzazione di pensiero simultaneo al nostro, e dunque reale, che agisce come forma non addomesticata se non al senso proprio di autoriprodursi e mantenersi secondo propria natura (e quindi identità). Barnett comprende l’intuizione che tra tutte le cose esistano relazioni che sfuggono all’osservazione corrente e che esistono analogie di comportamento e di struttura che sono forse isomorfe. Ma soprattutto, si fa spazio l’idea che la perdita, la crisi dell’uomo contemporaneo e l’esauribilità delle risorse sulla terra, ci spingano a riscoprire l’empatia che è dentro ogni forma di vita, anche ancestrale, o anche invisibile ma non per questo non contemplabile.

Analogamente, per Susan Aldworth, in “The Brainscapes – interrogating the brain”, una raccolta di incisioni litografiche ricavate dalla scansione cerebrale di pazienti del Royal London Hospital che vengono osservati durante procedure neuroradiologiche. Sono ritratti arcani e profani, straordinariamente intimi, della mente umana in azione, assimilabili a una batteria di forme acefale che intimano mistero e riluttanza. La strategia compositiva di Aldworth implica la riproduzione di una vita documentata e reale, capace tuttavia di apparire fabbricata e artificiale, addirittura aliena: sottratti all’ identificazione, le visioni di Susan Aldworth crescono in un ambiente finemente tecnologico che promuove la scomposizione e l’anonimato, con l’effetto di indurci a pensare che il corpo è anche quello che non si vede; che ogni identità può vivere anche se invisibile al comune senso di comprensione, compassione e accettazione.

© Helen Pynor – 93% Human (video still), 2023. Panoramic video with sound, 10:20 min, 8-channel sound, 20:09 min, scientific glassware objects. Lead Collaborators: Amanda Cole, Composer; Associate Professor Jimmy Breen, Bioinformatician and Geneticist, Chief Data Scientist, Black Ochre Data Labs at Telethon Kids and The Australian National University. Image courtesy of the artist.

Helen Pynor, artista e ricercatrice la cui pratica esplora zone filosoficamente ed esperienzialmente ambigue, come il confine tra vita e morte, la resurrezione, la natura intersoggettiva del trapianto di organi e il confine tra animato e inanimato in relazione alle protesi. Pynor lavora con la rigenerazione di cellule, organi e biomolecole viventi e semi-viventi come il DNA o come materiale osseo capaci di creare una zona di osservazione diversa ed essenzialmente borderline in cuistabilisce la possibilità di una sorta di vita all’interno della morte. Persiste un’idea di incantesimo e di fantasmico che molto attinge alla letteratura gotica e a quella ambiguità che è la promessa della vita stessa.

© Emilio Vavarella – Animal Cinema, 2017, Video in HD, 00:12:12, formato 16:9, colori, suono

Animal Cinema (2017) di Emilio Vavarella è un film composto da frammenti di video di animali che utilizzano loro stessi telecamere: movimenti di corpi, pinze, tentacoli, artigli e zanne sostituiscono qualsiasi premeditazione registica, in un vortice di forme di coscienza e di passioni che apre uno sguardo inedito sul complicato insieme di uomini, animali e tecnologie di cui facciamo parte.

Scortata dall’utilizzo di tecniche sull’orlo del fantascientifico, e da una nuova documentazione della realtà, l’arte (tecno) scientifica appare, così, connessa al suo tempo, nei termini in cui essa assume il punto di vista che il progresso delinea, predisponendo però una vera e propria prassi pedagogica tra tecnologia, scienza e arte.

Che nascano da un credo filosofico-­religioso o dall’attrazione per gli infiniti possibili, o dal contrasto con le forme di potere dettate dalle convenzioni sociali ed estetiche, le opere esposte si concentrano nel creare metafore visive lungo un processo di invenzione di noi stessi che richiede strumenti ad alto dosaggio espressivo, attraverso i quali affrontare in modo significativo le complesse sfide della sostenibilità, della riproducibilità, della durevolezza, intese anche come sopravvivenza della specie e dell’ambiente circostante, spalancando abissi a metà strada tra angoscianti e salvifici.
Paola Milicia

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© Marco Donnarumma – Ex Silens