Riforme digitali fra gli “stranieri ovunque” della Biennale di Venezia 2024

di Ennio Bianco.

Riforme digitali fra gli "stranieri  ovunque" - Biennale di Venezia 2024

Madamina il catalogo è questo…”, con voce un po’ roca per via di una bronchitella, sto canticchiando per le calli di Venezia un’aria del Don Giovanni di Mozart e Da Ponte e, storpiando il finale, concludo con “ … ma a Venezia son già milleetre, milleetre!”.
E’ sì, saranno oltre mille gli artisti presenti alla rassegna “Stranieri ovunque” della Biennale d’Arte di Venezia. No, non tutti fisicamente presenti dal momento che i due terzi riposano in pace da tempo. Sì, avete compreso bene, gli artisti viventi sono solo il 33%.
Strana situazione questa, o forse dovrei dire tendenza dal momento che nella Biennale d’Arte del 2022 la presenza degli artisti viventi superava il 50%, mentre in quella del 2019 era il 100%.

Cosa sta succedendo?

C’è da chiedersi se la Biennale di Venezia, in questa sua fascinazione per il passato, sia ancora un formidabile momento di scambio culturale e di presentazione delle migliori innovazioni artistiche, o sia semplicemente uno dei tanti, forse troppi, momenti di attrazione turistica, ammantati di tematiche sociali, ma con evidenti strizzate d’occhio al mercato e, perché no?, agli orgogli nazionalistici.
Tuttavia, Venezia in questi giorni non è solo la Biennale d’Arte, ma presenta uno straordinario panorama di eventi collaterali e di esposizioni prestigiose. C’è solo da capire da dove cominciare.

Visti i miei interessi per l’Arte Digitale e la l’Arte realizzata con gli strumenti dell’Intelligenza Artificiale Generativa non potevo che partire da “Digital Reform”, una mostra allestita, grazie alla piattaforma interdisciplinare Taex, nella Scoletta dei Tiraoro e Battiloro che si trova a fianco della Chiesa di San Stae, con la curatela di Antonio Geusa.
Gli artisti presenti sono: Francesco D’Isa, Andrea Meregalli, Shu Lea Cheang, Funa Ye, Accurat, Maotik (Mathieu Le Sourd).

Con Francesco D’Isa, ho conversato per una decina di minuti, su un tema che in questi giorni stavo cercando di mettere a fuoco, e che lui aveva scelto come titolo complessivo del gruppo di opere che stava presentando: “errors”.
E’ un tema complesso, soprattutto se riferito agli errori dei Modelli Generativi di immagini, gli LLM (Large Language Model), per questo mi incuriosiva capire come l’aveva declinato nelle sue opere.

L’ho declinato nel senso che se io chiedo all’LLM una data e questo me la dà sbagliata allora è un errore vero e proprio, ma se ad una richiesta vaga e confusa mi restituisce un risultato inaspettato, che invece io trovo, per qualche motivo, interessante e da indagare, l’errore non è più tale. Quindi quelli che ho ottenuto, e che ho presentato in mostra, e che a differenza di altri colleghi che indagavano e avevano ottenuto immagini simili, non le stesse ma simili, usando prompt che per qualche motivo facevano deragliare gli strumenti, e quindi li consideravano errori, io invece ho deciso di indagarli e di utilizzarli, perché hanno la caratteristica interessante di girare tutti attorno allo stesso mondo visivo. Ed è anche uno dei modi che ho trovato per aggirare la stereotipia delle immagini che vengono generalmente restituite, spostando quindi l’attenzione dell’intelligenza artificiale generativa in zone che normalmente non esplora.

Quindi per Francesco D’Isa l’errore è qualcosa di inaspettato. Tuttavia queste immagini che ha scelto hanno una cifra estetica molto elevata. In fondo poteva scegliere una delle tante delle immagini da pattumiera, invece ha scelto delle immagini molto evocative.

In effetti molti artisti cercano immagini da pattumiera, da scarto, io volevo invece utilizzare qualcosa di inaspettato per esplorare un tema che risuonava. Sono immagini che ho riconosciute come mie perché sono immagini che stanno nel pre-sonno, o, che arrivano come piccole visioni quando si medita. Immagini che presentano quel tipo di coerenza interna molto elegante, però completamente ininterpretabile.”

© Andrea Meregalli

Con Andrea Meregalli, la conversazione è stata più caotica. Ha presentato una coinvolgente installazione che invita lo spettatore ad essere protagonista nella realizzazione di un’opera d’arte che mette mettendo così in discussione l’autorialità.
Lo spettatore infatti, schiacciando un pedale, dà inizio al processo “You are making art”, in cui partendo da un nutrito gruppo di immagini realizzate da Meregalli, con tecniche che vanno dal disegno manuale alle generazioni text-to-image, e inglobando poi l’immagine dello spettatore ( “spectahthor”) catturata da una cam, finisce per alimentare un software personalizzato, grazie anche ad alcuni algoritmi scritti dall’artista, ed infine genera l’immagine conclusiva.

© Andrea Meregalli

E’ qui nasce la domanda? Chi è l’autore? Lo spettatore? L’artista? Il processo? Il software?

Mi dispiace per Andrea Meregalli, ma non sono entrato in questa discussione, che pure so essere molto interessante. Non sono entrato per colpa sua, se così vogliamo chiamarla. Infatti, sullo schermo affollato di immagini, immagini di tutti i tipi, alcune banalissime, ne apparivano talune di formidabili, che un occhio ancora attento come il mio (almeno per ora) istantaneamente individuano. Troppo interessanti per concedere interesse al processo di coinvolgimento dello spettatore, che pur lo avrebbe meritato. E da qui che è nata la simpatica discussione.
Il mio consiglio, quindi, è di schiacciare il pedale, ma non prima di aver guardato con attenzione la folla di immagini realizzate dal Andrea Meregalli, ne troverete anche voi di sorprendenti (o weird, che fa tanto chic).

Shu Lea Cheang, regista e artista di origine taiwanese-americana, ma con ampie frequentazioni europee, presenta un video del 2022 dal titolo “Virus becaming”.
Siamo in un futuro post-apocalittico nel quale le persone si trovano intrappolate in una società oppressiva, che manipola e sfrutta i dati biometrici umani impiegandoli come strumento di controllo. Usando i batteri come agenti di infiltrazione riesce ad estendere il suo controllo ad ogni aspetto della vita sociale, perpetuando un ciclo di sottomissione e paura. Tuttavia in questo panorama opprimente emerge un barlume di speranza, e il virus diventa un inaspettato strumento di liberazione, offrendo all’umanità una possibilità di sopravvivenza e di libertà dalla tirannia.

Quando si parla di “Virus” e di società oppressiva si finisce inevitabilmente per parlare di William Borroughs. Il contagio, l’epidemia, la trasmissione, dice, sono da sempre caratteristiche della umanità, ma solo la società globale, sovraffollata e ipertecnologica, sa come sfruttare al peggio tutto il corredo biologico che abbiamo ricevuto dal passato, per privare i cittadini della libertà di movimento, di espressione e della libertà dei mezzi di informazione.

Tuttavia, in questo panorama distopico, che Shu Lea Cheang condivide William Borroughs, l’artista sembra offrire una idea di speranza, paradossalmente legata proprio ai virus.

© Funa Ye

Non mi soffermo sugli altri pur interessanti artisti scelti dal curatore Antonio Geusa, al quale vanno gli elogi per l’acutezza e la complessità delle scelte, affermo solo che è una ottima mostra che vale senz’altro una fermata a San Stae per visitarla.

C’è da chiedersi perché queste opere così interessanti e innovative non siano esposte alle corderie nell’ambito della grande mostra “Stranieri ovunque”. In fondo le opere digitali sono “Estranee ovunque” per le istituzioni culturali.
Ennio Bianco

Immagine in evidenza: Shu Lea Cheang – Virus Rising – 2024/2023
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Fotografie di Ennio Bianco