Corpi che performano altri corpi: intervista al collettivo teatrale Motus

di Francesca Piperis.

Corpi che performano altri corpi: intervista al collettivo teatrale Motus

Il collettivo teatrale Motus, fondato da Enrico Casagrande e da Daniela Nicolò, spazia tra gli anfratti della tradizione culturale classica e di quella contemporanea, in un crescendo di performatività e narrazione.

La compagnia “di origine nomade ed indipendente”, citando il sito web ufficiale del gruppo, si è evoluta negli ultimi anni incorporando ai progetti più longevi nuove frontiere della performance creativa: nel 2019 nasce, infatti, “Motus Vague” che, come suggerisce il suo titolo, rappresenta il modo in cui l’ispirazione travolge il soggetto (simulando un’onda sulla costa, appunto). Il progetto verte attorno al corpo teatrale, legato profondamente alla proprietà performante del corpo che perde le sue solite caratterizzazioni ed è investito di valore inedito. Con la nudità spesso al centro delle rappresentazioni, l’obiettivo è quello di sradicare la fisicità da qualunque vincolo sociale e permetterle di raccontarsi servendosi degli stessi strumenti che spesso affianca – arte, musica, poesia – diventando anch’essa a sua volta mezzo espressivo.

Motus – © Lorenza Daverio

La drammaturgia dei Motus è spesso caratterizzata dalla fluidità, da corpi che perdono la propria significazione sociale e si riducono a semplici involucri che raccontano una storia. Attori che interpretano attrici, attrici che interpretano mostri tipicamente identificati nella tradizione classica come “maschili”: tutto sul palcoscenico viene messo in discussione. Ogni performance sembra cucita su ciascun membro del gruppo di modo che ciascun attore, ballerino, performer racconti un pezzo della propria esperienza combinandola a quella dei suoi compagni, portando così sul palco un’intersezione di sensazioni e punti di vista. Le diverse sfaccettature dello spettacolo permettono al pubblico di approfondire gli ambiti artistici più disparati – da stralci letterari a passi di danza – raggiungendo la massima espressione dell’arte libera.

Enrico Casagrande e Daniela Nicolò

L’intervista

[Francesca Piperis]: Qual è stato l’elemento scatenante che ha portato in un certo senso alla creazione del collettivo, quale l’idea alla base della sua creazione?

[Enrico Casagrande e Daniela Nicolò]: Noi ci siamo formati nel 1991 come gruppo teatrale, sia io (Enrico) che Daniela – che siamo i due fondatori – proveniamo da un’esperienza comune universitaria. A fine anni 80 eravamo all’università insieme ad Urbino, in un periodo abbastanza particolare di rivendicazione e occupazione degli atenei italiani e, tra il 1988 e il 1989, avevamo occupato tutte le facoltà dell’università. Durante questa occupazione uno dei collettivi universitari organizzò un workshop teatrale con il Living Theatre ed entrambi ci iscrivemmo al laboratorio, ma ancora nessuno dei due aveva esperienze teatrali in quel periodo. Da quel momento in poi abbiamo continuato sulla strada teatrale, abbiamo preso parte all’associazione European student of theatre, cominciando a girare l’Europa con il gruppo teatrale.

Motus – © Andrea Macchia

Successivamente abbiamo deciso di tornare a Rimini dove abbiamo acquistato una casa in campagna, in cui abbiamo effettivamente fondato Motus. E’ nata tra noi anche una bellissima relazione che è certamente rilevante anche nei nostri progetti artistici. Abbiamo avuto sin da subito l’idea di creare un mondo “nostro” esautorato dall’idea di teatro classico. In quel periodo la nostra formazione si basava su un teatro spoglio, un teatro di corpi, libero dall’impostazione del palcoscenico. Da lì è cominciata questa lunga avventura sviluppatasi come possibilità di far confluire all’interno di queste esperienze performative tutti i nostri interessi sparsi (in campo musicale, cinematografico, di arti visive); finalmente avevamo trovato un luogo in cui legare insieme tutto ciò che amavamo.

C’è stata una performance o uno spettacolo teatrale che più vi ha segnati, tanto da realizzare di dover continuare su questa strada?

[Enrico Casagrande]: Io penso ci siano stati due momenti molto forti; il primo momento coincide sicuramente con la conoscenza di Samuel Beckett, quasi mai in ambito teatrale ma piuttosto in ambito cinematografico, il Beckett dei primi video. Per me lo spettacolo che più di tutti ma lasciato un segno è stato Strada principale e strade secondarie (1992), in cui vi era un mescolamento di due differenti visioni, una cinematografico-filosofica (quella di Beckett) e l’altra artistico-pittorica (del pittore Paul Klee). Sicuramente pittura, filosofia, arte sono tutti elementi entrati in modo dirompente all’interno del nostro lavoro creando un formato di spettacolo abbastanza “anomalo”.

[Daniela Nicolò]: La produzione che forse ci ha fatto avere probabilmente la prima visibilità più forte (sia all’estero che a livello nazionale) è “Catrame”, il lavoro dedicato alle opere di James G. Ballard. Per la realizzazione di questo lavoro abbiamo rinunciato ai nomi – sostituiti con sigle – di modo che fosse il risultato di un’idea di gruppo: dalle musiche alle luci, dagli oggetti di scena alla composizione, tutto era studiato e deciso collettivamente.

Motus – © Margherita Caprili

Voi avete un legame sentimentale oltre che artistico, quanto ha influito il vostro rapporto sulla parte artistica (o viceversa) nel corso del tempo?

[Enrico Casagrande e Daniela Nicolò]: Direi un 100%, sin dai primi giorni in cui stavamo insieme è nata subito l’idea di formare un gruppo teatrale. Noi non abbiamo mai percepito il teatro come lavoro, piuttosto come forma di vita ed espressione, certamente richiede impegno ma non è mai stato vissuto come prodotto scritturato. Se non ci fosse stato un coinvolgimento intimo e personale prima, non avremmo mai realizzato tutto ciò. Anche le persone che lavorano con noi imparano pian piano a rapportarsi al fatto che siamo una coppia, noi tutti lavoriamo in maniera molto paritaria durante l’intero processo creativo.

Proprio in merito al processo creativo, di quali fasi si compone? E, nello specifico, come avviene la condivisione di idee all’interno della coppia?

[Enrico Casagrande e Daniela Nicolò]: C’è un percorso di ideazione alla base, spesso però facciamo fatica a ricordare da chi dei due provenga l’idea iniziale. Nel caso di Frankenstein, ad esempio, tutto è partito da una nostra fase interna di grande studio e condivisione di materiali, libri, appunti, note di regia, visioni sceniche, successivamente lo scheletro del progetto viene esposto a tutte le persone che ne faranno parte. Negli ultimi due progetti in realtà questo procedimento è un po cambiato, poiché ci siamo affiancati ad una drammaturga, Ilenia Caleo che, assieme a Silvia Calderoni (ormai con noi da quasi vent’anni), ha preso parte alla stesura delle performance. Il rapporto con Ilenia si basa su un dialogo continuo che ci permette di entrare in sintonia con il suo modo di osservare la realtà circostante e di riportare quest’ultima poi in scena.

Nel corso degli anni immagino che la formazione del collettivo abbia subìto alcuni cambiamenti, in tal senso come avviene il “reclutamento” (se così può essere definito) dei nuovi membri del gruppo?

[Enrico Casagrande e Daniela Nicolò]: In realtà i primi anni abbiamo anche realizzato dei workshop volti alla ricerca di determinate figure – com’è accaduto ad esempio per la figura della danzatrice in “Tutto Brucia”. In realtà, però, la maggior parte dei nostri colleghi sono entrati a far parte del gruppo davvero per caso, attraverso reti di conoscenze e molte hanno fatto parte del progetto per molti anni. Il nostro legame con gli artisti di Motus deriva da una sorta di “passione per le persone”, ci innamoravamo di com’erano, del modo in cui argomentavano determinati concetti anche solo seduti ad un bar. Ci interessa l’essenza piuttosto che l’esperienza o la bravura. Non abbiamo mai lavorato con persone uscite da accademie o scuole di teatro, siamo ben lontani da qualsiasi discorso prettamente accademico. Ad oggi lavoriamo anche con dei professionisti, ma in generale il nostro modus operandi si basa molto sulla lenta scoperta delle capacità di ognuno direttamente sul palco, improvvisando, sperimentando, facendo tentativi.
Silvia Calderoni, ad esempio, ha cominciato nel 2004 ed ancora lavora con noi.

Motus – © Andrea Macchia

Nelle vostre opere teatrali è presente un’operazione di rivisitazione del concetto di corpo. Quale legame avete personalmente ed artisticamente con la corporeità? Quale influenza ha nei vostri progetti il genderless?

[Enrico Casagrande]: Anzitutto per noi gli elementi che compongono il teatro hanno tutti un peso differente ma equilibrato gli uni con gli altri. Il nostro è un teatro fisico, ma anche un teatro di parola, di suoni, di scenografia: tutto ciò assieme rappresenta la nostra drammaturgia. In molti progetti è certamente più spinto l’elemento di un corpo esposto.

[Daniela Nicolò]: Sin dagli albori io ed Enrico abbiamo avuto un rapporto molto libero con il nostro corpo, nasciamo entrambi come attori quindi da subito ci siamo abituati ad una lunga esposizione corporea dinanzi ad un pubblico. Il corpo è un aspetto importante in quanto racconta ed esprime esperienze da noi vissute. Le nostre prime sperimentazioni teatrali erano legate ad un tipo di rappresentazione spinta, un teatro fisico con un uso del corpo estremo, un tipo di performatività al limite del pericolo e del dolore. Le nostre prime performance si basavano sulla body art. Il corpo è sempre stato molto presente nei nostri lavori, soprattutto sotto forma di liberazione da vincoli sociali, etichette o qualunque altra restrizione: esso diventa uno strumento narrativo mutabile, può diventare tutto ciò che l’attore voglia.

In particolare, “MDLSX”, uno dei lavori più noti con Silvia Calderoni (soprattutto a livello internazionale, avendo girato il mondo) è un inno alla fluidità del corpo raccontato proprio attraverso l’ambiguità fisica di Silvia, non categorizzabile e libera di esprimersi in qualsiasi sua forma.
Questo progetto può essere definito un punto di arrivo di un lungo percorso cominciato anni prima sul gender, durante anni in cui il queer non era così attuale. Sperimentavamo prevalentemente un teatro trasformativo, di camouflage, di mutazione.
Negli ultimi due lavori, Tutto Brucia e Frankestein, si parla infatti di animalità, di mostruosità, di un corpo che diventa altro da sé; entrambe le rappresentazioni più recenti lasciano un segno molto forte nella coscienza collettiva.

Nelle vostre opere teatrale avete mai utilizzato la corporeità come strumento di critica sociale o politica?

[Enrico Casagrande]: Spesso questo dipende anche dal tipo di progetto che portiamo in scena, ad esempio in Frankenstein c’è stata una scelta politica legata all’utilizzo di un corpo di un’altra età che si differenziasse da quelli dei giovani performer, in modo da rappresentare il concetto di mostruosità declinato però sull’idea di consapevolezza della trasformazione fisica dettata dal tempo. Nello spettacolo espongo la mia nudità per descrivere l’imperfezione del corpo anziano raccontato come una sorta di creatura respinta dall’ambiente sociale.

Motus – © Lorenza Daverio

[Daniela Nicolò]: In Frankenstein, inoltre, i ruoli legati ai corpi sono tutti invertiti, Silvia interpreta il dottore e il mostro viene interpretato da Enrico, laddove ci si aspetterebbe che quest’ultimo abbia il ruolo dell’uomo, proprio a rappresentare un teatro fuori dagli schemi, un teatro che si racconta liberamente.
Anche il corpo androgino di Silvia, scelto per interpretare Antigone, racchiude una potenza tale da divenire emblema di ribellione, resistenza. Anche questo progetto, come Frankenstein, aveva in sé un significato estremamente politico di resilienza.
In Tutto Brucia, le troiane sono interpretate da tre diverse donne, con età e fisicità differenti che rappresentano la potenza del corpo in tutte le sue fasi di esistenza.
MDLSX è un’altra opera politica in cui il corpo di Silvia diventa uno strumento di rivendicazione della libertà di essere quello che si vuole, al di fuori delle categorie e soprattutto del binarismo.

Riferimenti e contatti
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Motus – © Margherita Caprili (part.)
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