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Expo 3d: Jazz Female Vocals – Mostra virtuale interattiva

mercoledì 1 Aprile 2020 - giovedì 31 Dicembre 2020

Expo 3d: il Museo del Jazz - Jazz Female Vocals

sede: Arte.Go.Gallery – Sala Night City (Online)
cura: Marco Scotti

“Up in Harlem every Saturday night When the high browns get together it’s just too tight; They all congregates at an all-night strut, And what they do is Tut! Tut! Tut!”…
(Bessie Smith “Gimme a pigfoot”, 1958)

Il canto è all’origine di qualunque musica, e quindi anche del Jazz, dove però l’ago della bilancia sembra molto più orientato verso gli strumentisti. Vediamo quindi di ristabilire un minimo di ordine nelle cose. Grazie a questo virtual tour per i corridoi finemente arredati del Museo del Jazz – Jazz Vocals, potremo conoscere qualche informazione o curiosità sulle più importanti voci del Jazz, qui tutte femminili, ed osservare al contempo molte copertine di dischi famosi.
Marco Scotti

EXPO 3D: IL MUSEO DEL JAZZ – JAZZ FEMALE VOCALS
Mostra Virtuale Interattiva tridimensionale

a cura di Marco Scotti con la collaborazione di Claudia Buzzetti, Cecilia Carta, Martina Cirillo, Marco Gotti, Alice Guarente, Alessia Marcassoli.

download “Expo 3d: il Museo del Jazz – Jazz Female Vocals”
(disponibile fino al 31/12/2020)

visualizza online “Expo 3d: il Museo del Jazz – Jazz Female Vocals”
(disponibile fino al 31/12/2020).

EXPO 3D: IL MUSEO DEL JAZZ – JAZZ FEMALE VOCALS
Le protagoniste

Ma Rainey, Bessie Smith, Mildred Bailey, Helen Humes, Billie Holiday, Ella Fitzgerald, Helen Forrest, Anita O’Day, Peggy Lee, Carmen McRae, Dinah Washington, Sarah Vaughan, Betty Carter, Abbey Lincoln, Nina Simone, Dee Dee Bridgewater, Diane Schuur, Dianne Reeves, Esperanza Spalding, Cecile Mclorin Salvant

MA RAINEY (1882-1939)

Gertrude Pridgette è stata forse, se non la prima, una delle prime cantanti afroamericane professioniste, ed è conosciuta con il soprannome di “Mother of the Blues“. Il Blues infatti è la musica nera per eccellenza e la musica alternativa del periodo e siamo all’inizio del XX secolo. Rainey è famosa per la sua potenza vocale, la sua energia, le melodie all’interno del Blues, e lo stile denominato “moanin’ style“, traducibile in lamentoso. Tra le prime registrazioni (anni ‘20) troviamo “Bo-Weevil Blues” e “Moonshine Blues”. Ma Rainey ha collaborato anche con Louis Armstrong (sempre lui) ma nel 1935 decide di ritirarsi dalle scene e se torna a Columbus, Georgia, dove muore pochi anni dopo.
Marco Scotti

BESSIE SMITH (1894-1937)

L’imperatrice del Blues“, sicuramente la cantante più famosa nel decennio degli anni ‘20 e ‘30. Stiamo parlando di un inizio davvero difficile: resta orfana da bambina, con un fratellino più piccolo ed una sorella maggiore, e per recuperare un po’ di denaro non resta che l’elemosina per le strade, il cosiddetto busking, fare cose per la strada per recuperare qualche spicciolo. Nello specifico loro cantano e ballano per le vie di Chattanooga (Tennessee). E cresce come una donna dura, ruvida, capace di fare registrazioni di grande qualità seguite da performance in cui si narra si fermasse per sputare a terra. Chiaro che, nonostante il periodo, cose di questo tipo non erano ben viste nei locali, e per lei tutto è molto difficile. Con il matrimonio (1923) Bessie riesce a mettere un po’ di ordine nella sua vita, anche se le sue numerosi amanti (è ufficialmente una delle prime bisessuali dichiarate), incrinano il rapporto col marito. Sono però tantissime le sue registrazioni affiancata da personaggi di altrettanto spessore (Louis Armstrong, Fletcher Anderson, Coleman Hawkins, ecc.). Va segnalato che canzoni come Jail House Blues, Work House Blues, Prison Blues, Sing Sing Prison Blues e Send Me to the ‘Lectric Chair furono canzoni di denuncia contro la pena capitale presente in molti Stati, mentre altre come Poor Man’s Blues e Washwoman’s Blues sono da considerare come una prima forma di protesta del mondo afroamericano.
Marco Scotti

MILDRED BAILEY (1907-1951)

Nativa americana, indiana pellerossa cresciuta nella riserva di Coeur d’Alene nell’Idaho, conosciuta come “La regina dello Swing” o “Mrs. Swing“, sorella maggiore e già agente di Al Rinker pianista di Bing Crosby e di Bing Crosby stesso. Dopo alcuni anni passati sulla West Coast cantando in piccole ma interessanti situazioni blues, entra in contatto con Paul Whiteman e la sua orchestra, e da li non si contano le collaborazioni con gente come Coleman Hawkins, Benny Goodman, Gene Krupa. Nel 1933 sposa Red Norvo, grande vibrafonista della storia del Jazz, ed eccoli diventare “Mr & Mrs. Swing“. Purtroppo le sue condizioni fisiche non le consentono una lunga carriera.
Marco Scotti

HELEN HUMES (1913-1981)

Nata nel Kentucky, inizia da giovanissima come altre donne afroamericane, cantando nei cori gospel e prendendo lezioni di piano ed organo. Dopo una serie di incisioni blues in giovane età (quattordici anni) e di partecipazioni a incisioni in New York torna nel Kentucky, finisce gli studi, svolge alcuni lavori per una decina d’anni e poi torna a cantare in una serata con il saxofonista Big Al Sears. Arriva poco dopo una telefonata per un ingaggio al Cotton Club di Cincinnati e l’arruolamento nella big band di Count Basie, una delle più importanti della storia dello Swing. Le successive collaborazioni parlano di personaggi come Art Tatum, Teddy Wiliams, Red Norvo, Dizzy Gillespie, ma quello che preferisce sono piccoli gruppi e jazz club ma è talmente una celebrità che già nel 1975 riceve le chiavi di Lousville, sua città natale.
Marco Scotti

BILLIE HOLIDAY (1915-1959)

Cosa dire di Eleanor Fagan che non sia già stato scritto? Una tra le più grandi cantanti che il jazz abbia mai avuto, capace di infondere tutta se stessa in quello che cantava e quando ciò che raccontava il testo non le bastava più, eccola trasformarsi in compositrice e regalarci dei quadri dal valore unico, immagini sonore pregne di emozioni e significato. Roy Eldridge, trombettista di una certa importanza, diceva di lei che fosse giunta da un altro pianeta, perché aveva “la capacità innata di far piangere il pubblico o di renderlo felice con grande semplicità“. Lady Day – così la chiamò The Prez, il grande Lester Young, pioniere del sax moderno – ha un’infanzia ed un’adolescenza terribili ed arriva a conoscere i dischi di Bessie Smith (cantante rif. altro commento) e Louis Armstrong perché sono il sottofondo abituale nel bordello di New York in cui lavora e dove ad un certo punto viene arrestata. Figlia di una madre di tredici anni e di un padre di quindici, violenze, affido, abusi sessuali, prostituzione, galera. Eccola quindi (finalmente per noi) addentrarsi nella vita newyorkese, percorrere le strade di Harlem e cantare: ha solamente diciassette anni quando viene chiamata da sua Maestà (per l’epoca) Benny Goodman, e già nel 1936 registra a suo nome alcuni standard e l’inedito Strange Fruit, che racconta di questi strani frutti appesi ad un albero di pioppo che altro non sono che cadaveri di neri linciati e messi in mostra al pubblico ludibrio. Nel 1941 incide God Bless the Child ed a seguire registrazioni storiche come Lover Man e The Man I Love che diventeranno dei riferimenti veri e propri per tutte le generazioni successive.
Marco Scotti

ELLA FITZGERALD (1917-1996)

Classe 1917, Ella donna afroamericana della Virginia, è la voce del Jazz per antonomasia. Grazie alla sua longevità ha cantato in ogni luogo ed in ogni tempo: dalla swing Era degli anni ‘30, fino a solcare gli anni ‘80 a fianco di personaggi come i Sex Pistols. E se Frank Sinatra è soprannominato The Voice, così Ella è definita The First Lady del Jazz, capace di guidare una big band di venti e più elementi su brani lenti e delicati, quanto capeggiare uno scatenato gruppo bebop con la tranquillità disegnata sul volto. E dalla Harlem della fine del proibizionismo, il non più “canarino” Ella (una volte le cantanti delle orchestre erano chiamate così, delicate e belle da vedere, null’altro), spicca il volo diventando, nel 1939 il direttore dell’orchestra del prematuramente scomparso Chuck Webb. Ella in quel momento aveva solamente ventidue anni. Una carriera molto lunga dicevamo, fatta di tantissime registrazioni ed innumerevoli concerti in tutto il mondo, molti in compagnia del grande trombettista di New Orleans Louis Armstrong. Il loro binomio tutt’oggi è sinonimo di Jazz. E se da un lato non sempre è comprensibile che cosa canta il grande Louis (anche per scelta), dall’altro la dizione, la pronuncia, la precisione dei suoni di Ella è sorprendente e fenomeno di studio da tantissimi anni. Ella Fitzgerald ci lascia un repertorio universale di canzoni di cui godere, ma con cui una cantante moderna, soprattutto in ambito jazz, deve assolutamente confrontarsi. “Non bisogna rinunciare a fare quello che si vuole fare veramente. Se c’è amore e ispirazione, non credo si possa sbagliare”.
Marco Scotti

HELEN FORREST (1917-1999)

Helen è stata la cantante e front woman di ben tre importanti big band della Swing Era, e precisamente quelle del clarinettista Artie Shaw, del clarinettista Benny Goodman e del trombettista Harry James, band capaci di proporre repertori simili ma con arrangiamenti differenti e decisamente originali. Forrest dirà che se da un lato Goodman scrisse appositamente canzoni per lei, dall’altro “non smetteva mai di importunarmi musicalmente col suo clarinetto mentre cantavo”. Successivamente realizzò una serie di registrazioni con la Tommy Dorsey Orchestra, alternando attività solista a lavori radiofonici.
Marco Scotti

ANITA O’DAY (1919-2006)

La vita di Anita fu come una montagna russa. Fuggita di casa molto presto, iniziò a guadagnarsi da vivere cantando “the lady in red” per le strade del Midwest. Un’ infezione le causò la perdita dell’ugola e questa le impedì di produrre il vibrato, ma nonostante ciò, grazie alla sua forza di volontà, decise di diventare una cantante professionista. Ci riuscì egregiamente facendosi riconoscere soprattutto per il suo modo di giocare sul tempo. A diciannove anni incontrò il suo primo marito, Don Carter, da cui apprese la teoria musicale ed un formidabile senso del ritmo. Dopo varie audizioni e collaborazioni non andate a buon fine, nel ‘41 la chiamò Gene Krupa per cantare nella sua orchestra. Da qui, la sua ascesa professionale. Nel frattempo però la sua vita personale la portò ad avere qualche problema. Perché insieme al marito iniziò a fare uso di sostanze stupefacenti. Nel 1948 cantò al Royal Roost di New York con Count Basie e la Verve Records la mise sotto contratto. Ebbe la fortuna di lavorare con molti dei grandi del periodo. Ma la dipendenza e alcuni disguidi legali la portarono al punto che, nel ’68 rischiò la vita per un’overdose di eroina. Quando ormai la sua carriera sembrava sul punto di essere giunta al termine, Anita si disintossicò, si risollevò e continuò ad esibirsi fino ai suoi ultimi giorni. Una vita tra insuccessi, difficoltà e grandi successi. Una grande stella del jazz!
Cecilia Carta

Nata Anita Belle Colton a Chicago, Illinois, il 18 ottobre 1919, Anita O’Day viene cresciuta dalla mamma, ma coglie molto presto la prima possibilità di uscire di casa: a 14 anni lavora per un’importante Walk-a-thon (camminate sponsorizzate per raccolta fondi) come ballerina. Resta nel circuito delle Walk-a-thons per due anni, dove occasionalmente viene chiamata anche a cantare. Quando torna a Chicago si esibisce per la prima volta come cantante presso il Planet Mars di Chicago. Carl Cons, all’epoca direttore della rivista Down Beat, assiste alla sua esibizione e ne resta così affascinato che la ingaggia per l’apertura del suo nuovo jazz club, The Off-Beat. Il locale diventerà il ritrovo preferito per i musicisti e i leader delle maggiori big band del periodo: il batterista Gene Krupa passa di lì, una sera del 1941, la vede e subito la recluta per la sua band. Con la band di Krupa Anita canta molti successi, in particolare l’audace duetto con il trombettista Roy Eldridge in “Let Me Off Uptown”. All’inizio degli anni ’40 non molte band sono mescolate a livello inter-razziale e avere una donna bianca che canta alla pari con un trombettista nero è sicuramente un tabù sociale. Non è l’unico tabù che Anita infrange nel corso della sua lunga carriera: è la prima cantante a esporsi sul palco senza alcun pudore come musicista a tutti gli effetti. In molte registrazioni la si sente dettare il tempo al suo batterista (John Poole, l’unico con il quale Anita suonerà per 32 anni), ed è famoso il suo stile vocale differente da quello di tutte le altre cantanti del periodo: nella sua biografia si racconta che a causa di un intervento medico sbagliato da bambina le fu tagliata l’ugola, portando la sua voce al suono roco che conosciamo. Fu forse a causa di questo che il suo gusto musicale si sviluppò diversamente, privilegiando il senso ritmico e la capacità improvvisativa, che Anita declinerà nel corso della sua carriera sia in brani dai ritmi serrati che nelle più lente ballad. Dopo il suo debutto da solista a metà degli anni ’40 incorpora quindi il modernismo bebop nella sua voce e registra per l’etichetta Verve oltre una dozzina dei migliori LP vocali degli anni ‘50 e ‘60, diventando famosa in tutto il mondo. Negli anni ’60, Anita diviene dipendente dall’eroina, arrivando quasi alla morte per overdose nel 1967. Combatte con la sua dipendenza per anni, prima di riuscire a disintossicarsi e tornare a cantare dal vivo. Non smetterà più, fino alla morte, nel 2006, all’età di 87 anni, di toccare il pubblico di tutto il mondo con la sua esuberanza e spontaneità.
Alice Guarente

PEGGY LEE (1920-2002)

Peggy Lee cantante jazz ma non solo: cantante, compositrice, attrice. Dall’inizio della sua carriera, cantando in radio con l’orchestra di Benny Goodman, fino a diventare compositrice di colonne sonore, arrivando a realizzare un concept album che univa musica e poesia. Ma Peggy Lee la troviamo anche come voce in film Disney come “Lady and a Tramp” (Lilly e il vagabondo) dove fa cantare anche i celeberrimi gatti siamesi Si & Am.
Marco Scotti

CARMEN MCRAE (1922-1994)

Carmen Mercedes McRae nasce nel 1922 ad Harlem, New York con un nome dall’etimologia promettente: Carmen, infatti, in latino significa devozione e musica, due concetti strettamente legati alla sua carriera e alla sua vita, densi di significato ed entrambi, in questo caso, emblematici per la persona che rappresentano. Sin da bambina, infatti, si approccia alla musica grazie alla pratica del pianoforte, per poi diventare una cantante e compositrice, tra le più influenti del XX secolo nella scena del Jazz. Già dai primi passi nella scena musicale si ispira alle grandi cantanti del suo tempo e in particolare a Billie Holiday, alla quale, anche se non raggiunse uguali vette di popolarità, verrà in seguito paragonata dalla critica, in qualità di “pari” artistica. Nel corso della sua carriera è stata però in grado di sviluppare proprie caratteristiche stilistiche in grado di identificarla per il suo modo di “suonare la voce”. La sua straordinaria capacità di giocare con il tempo – qualcuno dice di “galleggiare” intorno al tempo – è una delle qualità distintive che le hanno permesso di destreggiarsi tra i più grandi standard Jazz e le sue composizioni originali in modo assolutamente innovativo, complesso, ma allo stesso tempo elegante. Carmen era in grado di creare momenti di grande tensione drammatica nei brani che interpretava, ma anche di evolvere con destrezza verso forme di improvvisazione come lo scat (tipica modalità di improvvisazione vocale jazzistica) o inflessioni che richiamavano melodie blues. La McRae, reputata una delle ultime cantanti del grande Jazz degli anni ’50, pochi anni prima della sua morte, nel 1994, disse: “Non voglio cerimonie, non voglio funerali, non voglio fiori. Voglio essere ricordata solo per la mia musica”.
Alessia Marcassoli

DINAH WASHINGTON (1924-1963)

Ruth Lee Jones è stata una cantante famosa al punto tale da essere riconosciuta come la più popolare artista nera degli anni ‘50. Dinah canta Blues, Jazz, Rhythm & Blues ma anche quel genere di musica che gli americani definiscono Traditional Pop che comprende una serie di canzoni popolari abbastanza recenti, ma il suo soprannome diventa comunque “La regina del Blues“. Dalle campagne alla grande città, nello specifico dall’Alabama a Chicago, passando per i cori gospel come cantante e pianista, è una storia che ricorre spesso nelle cantanti presenti in questo Museo. E come molte altre quindicenni famose (penso a Ella Fitzgerald in primis) vince un contest ed incomincia a suonare nei club di Chicago con Fats Waller. Ha anche l’opportunità di vedere ed ascoltare Billie Holiday. Diventa vocalist della big band di Lionel Hampton ed in seguito collabora con musicisti come Cannonball Adderley e Ben Webster (per non citare sempre i soliti) ma anche con Count Basie e Duke Ellington. Nel 1959 scala addirittura la Top Ten americana con “What a Diff’rence a Day Made” che vede la presenza di un giovane Joe Zawinul al pianoforte. Una curiosità: tra gli anni ‘50 e ‘60, amava esibirsi come stripper in un locale di Las Vegas e Tony Bennett la ricorda così: “She was a good friend of mine, you know. She was great. She used to just come in with two suitcases in Vegas without being booked. And she’d just come in and put the suitcases down. And she’d say “I’m here, boss”. And she’d stay as long as she wanted. And all the kids in all the shows on the Strip would come that night. They’d hear that she’s in town and it would be packed just for her performance“. Viene trovata morta per un’overdose di farmaci dal suo settimo marito, a soli trentanove anni.
Marco Scotti

SARAH VAUGHAN (1924-1990)

Ecco “La divina del Jazz” Sarah, la fanciulla di quel trio delle meraviglie che comprende Billie Holiday ed Ella Fitzgerald. Sarah dal perfetto vibrato, dall’espressione curata del suo cantato, dallo scat rapido e preciso, per cinquant’anni ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo, con piccole e grandi formazioni, con una classe ed una signorilità davvero uniche. Vocalist della neonata big band di Billy Eckstine, cantante anch’esso, ma al contempo band leader con l’incredibile genio della tromba Clifford Brown. Siamo nel 1985 quando le viene dedicata una stella sulla Hall of Fame di Los Angeles ma i premi ed i riconoscimenti che gli vengono assegnati non si contano.
Marco Scotti

BETTY CARTER (1929-1998)

Betty Carter è stata una cantante statunitense di musica jazz, famosa per la sua tecnica di improvvisazione e per il peculiare stile vocale. Betty infatti utilizza con grande profondità armonica il bop-singing (o scat) al punto tale che le sue improvvisazioni sono completamente ispirate dai saxofonisti. Lionel Hampton, il grande vibrafonista del Jazz la soprannominò “Betty Bebop” con chiaro riferimento al personaggio Betty Boop. È l’ideatrice di Jazz Ahead che si svolge al Kennedy Center di Washington d.c., ossia una settimana di studio e approfondimento per venti studenti con importanti docenti appartenenti al mondo del Jazz.
Marco Scotti

ABBEY LINCOLN (1930-2010)

Nata il 6 agosto 1930, e cresciuta in una fattoria del Michigan, nona di dodici figli, Abbey Lincoln inizia a cantare a 14 anni, affascinata dalla voce di Billie Holiday. La sua prima paga è 5 dollari a notte: è il 1950 ed Abbey lavora in un night club. Star di notte, donna delle pulizie e cameriera durante il giorno. Si trasferisce in California, poi a Chicago: la sua carriera inizia a decollare: oltre al lavoro d’attrice, registra il suo primo album nel 1955. Il disco si chiama A Story of a Girl in Love: titolo più che appropriato, visto che tra abiti decolleté appartenuti a Marilyn Monroe ed apparizioni hollywoodiane, la sua immagine di artista è decisamente glamour. Ma tutto sta per cambiare: è il 1957 quando si trasferisce a New York City: lì incontra Max Roach, batterista e compositore bebop, nonché impegnato attivista per i diritti civili. I due si sposeranno dopo qualche anno, ed intanto collaborano al famosissimo album We Insist! Suite Freedom Now, composizioni di Roach e voce di Lincoln. L’intensità con cui geme, grida e canta la sua angoscia è la più forte evocazione delle ingiustizie subite dai neri in America mai ascoltata fino a quel momento. Nella seconda metà degli anni ‘60 Abbey lavora più come attrice che come cantante, e dopo il divorzio da Roach (1970) si ritira dalle scene per un lungo periodo. Continua il suo impegno come attivista, ma solo negli anni ‘80 riprende a cantare in pubblico, incidendo brani scritti da lei accompagnata da musicisti d’eccezione come Stan Getz e Bobby Hutcherson. La sua voce ha acquistato un carattere più scuro, e le canzoni sono espressione della sua assoluta individualità: non solo lasciano il pubblico senza fiato, ma sono d’esempio per numerose artiste che guardano a lei come ad un modello di integrità e libertà. Nel 2003 riceve il National Endowment for the Arts NEA Jazz Masters Award. Il suo ultimo album, Abbey Sings Abbey, viene registrato nel 2007. Muore il 14 agosto 2010 all’età di 80 anni nel suo appartamento nell’Upper West Side a Manhattan, New York.
Alice Guarente

NINA SIMONE (1933-2003)

La musica è un regalo e una difficoltà che ho avuto sin da quando riesco a ricordare di esistere“ Questa frase, pronunciata dalla grande Nina Simone, meglio di qualsiasi altra è in grado di racchiudere in poche parole la vita di questa brillante figura musicale ma anche politica, sotto molti aspetti. Il suo vero nome era Eunice Kathleen Waymon e nacque nel 1933 a Tryon nel North Carolina, ed il suo innato talento musicale si sviluppò tra i tasti di un pianoforte e ben presto crebbe in lei il desiderio di diventare la prima concertista classica di colore della storia; ma poiché il suo destino fu quello di nascere con la pelle nera negli anni delle grandi disuguaglianze razziali in America, questo sogno le fu negato. Fu proprio in opposizione alle grandi discriminazioni razziali che si trovò ad affrontare in prima persona, che nacque la figura di Nina Simone, la ragazza che iniziò a cantare e suonare, per esigenze lavorative, Jazz e Blues, i generi musicali che l’avrebbero accompagnata lungo tutta la sua vita. Il suo primo album jazz fu un debutto fenomenale; Nina dovette però affrontare i molti dissensi di diverse case discografiche che ripetutamente iniziarono a rifiutare le sue composizioni originali quando esse si trasformarono in voce di protesta per i diritti civili della comunità nera. Nina Simone divenne infatti una guida per il movimento per i diritti civili in America, attraverso i suoi testi irriverenti, accompagnati da una musicalità che sempre poggia fiera sulla tradizione afroamericana dell’artista e che rende tutt’oggi uniche le sue composizioni. Lontana da qualsiasi compromesso o convenzione, Nina sviluppa uno stile musicale unico, accompagnato da un timbro scuro, che comunica sofferenza e, allo stesso tempo forza, sensibilità ma anche irriverente follia. Quando si ascolta un suo brano è impossibile non riconoscere quell’intensità drammatica che si cela anche dietro i testi meno cruenti. È un modo di fare musica che penetra direttamente l’ascoltatore per l’irruenza delle parole, che riportano in modo spaventosamente realistico gli eventi sociali e politici del suo tempo, e per la purezza tecnica della sua voce, priva di qualsiasi virtuosismo, che lascia fluire liberamente un messaggio di intima sincerità. Nina Simone nel 2003 ci lasciò, affidandoci un’eredità musicale e ideologica unica. “Vi dico cos’è la libertà per me: non avere paura” (Nina Simone).
Alessia Marcassoli

DEE DEE BRIDGEWATER (1950)

Denise Eileen Garrett, si può senza dubbio definire una delle poche eredi delle grandi voci femminili del Jazz. Nata nella Memphis degli anni ‘50, fin da piccola entra in contatto con il jazz, il padre trombettista collaborava infatti con la grande Dinah Washington. Ancora ventenne si trasferisce a New York dopo essersi sposata con il trombettista Cecil Bridgewater e si fa notare subito in città per il modo sublime in cui reinterpreta i brani del repertorio Jazz e Swing. Scritturata dalla Thad Jones/Mel Lewis Big Band, con cui si esibirà per tutti gli anni ‘70, collabora con giganti come Dizzy Gillespie, Horace Silver e Stanley Clarke arrivando ad incidere nel 1974 il suo primo album, Afro Blue (oggi un cult per i jazzofili) ed a vincere il Tony Award nel 1975 per il suo exploit in The Wiz a Broadway. Il Village Vanguard diventa il suo tempio, tanto da dichiarare in un’intervista “non vado a messa la domenica, vado al Vanguard il lunedì.” Militante politicamente, esplosiva e indipendente, ben presto si stanca del macho business newyorkese di quei tempi ed anche a causa della fine del suo secondo matrimonio, decide di trasferirsi in Europa. È solo dopo essersi trasferita in Francia all’inizio degli anni ‘80 infatti che inizia la completa maturazione artistica e riceve i primi grandi riconoscimenti a livello di critica e di pubblico, arrivando a vincere addirittura tre Grammy Awards per le re-interpretazioni di alcuni standard di Billie Holiday ed Ella Fitzgerald. Da non dimenticare il suo Live in Paris 1987 con la versione di All Blues di Miles Davis per cui scrive personalmente il testo. Una delle sue canzoni più famose è Till The Next Somewhere (Precious Thing) del 1989, cantata in coppia con sua Maestà Ray Charles. Con questa canzone la coppia venne invitata al XXXIX Festival di Sanremo in qualità di superospiti. Nel 2007 torna a Los Angeles, riconciliandosi con gli Stati Uniti grazie anche al supporto dato alla presidenza Obama in favore dei diritti degli afroamericani. Una curiosità: Dee Dee è molto conosciuta in Italia proprio grazie a quel Sanremo al fianco di Ray Charles, ma crebbe ulteriormente gli anni successivi dove interpretò fuori gara Angel Of The Night, la versione in inglese del brano Uomini Soli dei Pooh e Just tell me why, cover del brano di Marco Masini Perchè lo fai.
Marco Gotti

Dee Dee Bridgewater nasce il 27 maggio 1950, sotto l’egida del numero 3: tre volte cantautrice vincitrice del Grammy Award, tre mariti, tre figli, e tre vite, dagli esordi alla sfolgorante carriera che (così dichiara) intende proseguire fino agli 80 anni. Suo padre, insegnante e un trombettista, la espone sin da piccola alle vibrazioni del jazz. All’età di sedici anni fa già parte di un trio rhythm’n’blues, canta nei club del Michigan e poi in Unione Sovietica con la Big Band universitaria. Nel 1970 incontra il trombettista Cecil Bridgewater: i due si trasferiscono a New York: Cecil suona nella band di Horace Silver e Dee Dee (più modestamente) nella Thad Jones-Mel Lewis Jazz Orchestra come cantante principale. È all’inizio della sua carriera jazzistica: di lì a poco dividerà il palco con Sonny Rollins, Dizzy Gillespie, Dexter Gordon, Max Roach, Rahsaan Roland Kirk e tanti altri. Nel 1974 appare il suo primo album, intitolato Afro Blue, e si esibisce anche a Broadway nel musical The Wiz, per il quale vince un Tony Award come attrice protagonista. Inizia la seconda vita: appare in diverse altre produzioni teatrali, va in tournée in Francia ed infine si trasferisce a Parigi nel 1986. All’inizio degli anni ’90 torna dal mondo del musical al jazz: chiudendo un cerchio, nel 1994 collabora con Horace Silver, a lungo ammirato nei primi anni newyorkesi. Esploratrice instancabile, negli ultimi anni omaggia il repertorio di Ella Fitzgerald (il suo album tributo del 1997 Dear Ella le vale un altro Grammy Award nel 1998) la musica di Kurt Weil, i classici francesi. È la sua terza vita, quella attuale: di frequente in tour, numerosissimi concerti all’estero in tutto il mondo, nonché l’impegno come Ambasciatrice delle Nazioni Unite per l’organizzazione alimentare e agricola.
Alice Guarente

DIANE SCHUUR (1953)

Deedles, ipovedente dalla nascita nello stato di Washington, ascoltare i dischi di Jazz del padre poliziotto e pianista, e canticchiare per lei non è un problema. Racconta che faceva inizialmente scat perchè non sapeva le parole delle canzoni. La sua storia musicale fatta di spostamenti difficoltosi e bisognosi di un accompagnatore, procede a singhiozzo, fino a quando riesce ad esibirsi con l’orchestra di Dizzy Gillespie al Monterey Jazz Festival del 1979. Stan Getz grande indimenticabile saxofonista, la prende sotto la sua ala protettrice e la guida, la consiglia, le insegna come meglio inserirsi e confrontarsi, come dosarsi. Diane lo ricorda con queste parole: “he really was a mentor of mine. He taught me that less is more.” Stan Getz la invita al concerto presso la Casa Bianca nel 1982; concerto che le restituisce grandissima popolarità grazie alle numerose televisioni collegate ed al grande abbraccio dell’allora First Lady Nancy Reagan a fine esibizione. Torna ad esibirsi nel 1987 per la Reagan addirittura con la Count Basie Orchestra (orfana però del grande Count). E di affermazione in affermazione, la Schuur vola in vetta alla classifica Billboard per trentatré settimane nel 1987 grazie al disco “Diane Schuur & the Count Basie’s Orchestra”, produzione GRP di altissima qualità (di cui ho ancora il vinile). Come la produzione discografica, anche le performance sono numerosissime, in tutto il mondo. Negli ultimi anni ha sperimentato anche altri generi come il Latin, la Caribbean Music ed il Country.
Marco Scotti

DIANNE REEVES (1956)

Dianne, dalla Motown city, Detroit al mondo intero. Una ragazza passata attraverso la dance e la fusion, per approdare da grande regina al Jazz. Dagli anni ‘90 la Reeves è considerata da molti l’erede delle grandi voci del passato e la degna nipote di Dee Dee Bridgewater, altra sensazionale cantante dalla presenza altrettanto importante.
Marco Scotti

Per meglio descrivervi questa donna e artista, ecco l’estratto di un racconto scritto nel 2003 dopo un suo concerto al Blue Note di Milano.

Le luci indugiano su di lei, ovvio. L’atmosfera è “caldamente” blu. Il suo sorriso si apre con l’inizio dei forti applausi, e con la sicurezza dei grandi, impugnato il microfono con la mano destra, si inserisce in modalità scat (il BeBop vocale) sulla band che l’ha preceduta sul palco e che già suona da un po’. Quello che stiamo mangiando si ferma a metà strada, e i nostri occhi sono solo per lei, la nostra nuova dea del jazz. Alla fine del vocalizzo di riscaldamento, l’inizio vero e proprio del pezzo, con la sua voce ferma, calda, decisa ma soave al contempo, con il perenne sorriso stampato sul viso piacente, anche durante note impossibili ai più. Lei è visibilmente emozionata, dice che non si aspettava un’accoglienza così a Milano, città a lei sconosciuta se non per la moda e ammette di voler tornare quanto prima “to sing & shop”. D’altra parte noi non risparmiamo ovazioni calorose e fischi di incitamento “all’americana”, e non si perde neanche una nota di standard (Embraceable you, Skylark, ecc.) e nuove composizioni, accompagnata da una band davvero all’altezza della situazione. Il tempo però è traditore e per noi, amanti di sonorità cristalline come quelle appena ascoltate, questa avventura al Blue Note finisce dopo poco più di un’ora di show. Lei si allontana e la vediamo prendere con estrema classe e serafica calma, la scaletta per i camerini mentre la band continua il brano sfumando. Beh, signori miei, quella di stasera è stata la conferma: dopo Estival Jazz del 1999 posso affermare con la tranquillità dei forti che si tratta una delle più belle voci afro-americane che frequentano l’ambiente jazz e dintorni. Se potete, non perdetevi Dianne Reeves dal vivo!
Marco Scotti

ESPERANZA SPALDING (1984)

Esperanza Spalding nasce a Portland nell’84. Abbandonata dal padre alla nascita, cresce con la madre che le dona i primi approcci alla musica. Mostra le sue innate doti musicali sin dall’età infantile, diventando la bambina prodigio che tutti vorremmo essere. A quindici anni suonava già il violino, il violoncello, il clarinetto, l’oboe e il contrabbasso. Studia alla Berklee di Boston pagandosi interamente le ingenti rette con le sole borse di studio. Divenuta un portento, oggi è tra le donne più acclamate nel panorama jazzistico. La voce dolce ed assolutamente perfetta, l’estrema sapienza musicale e la coordinazione nei più infinitesimali tecnicismi, il gusto artistico che esprime anche attraverso lo stile. Esperanza raccoglie in se una femminilità dal gusto elegante e retrò ma allo stesso tempo moderno ed attuale. Negli anni di carriera dà vita a un nuovo jazz, che riesce a rappresentare vividamente in ogni suo album, sempre intriso di personalità e sperimentazione. Vanta innumerevoli collaborazioni sin da giovanissima, concerti prestigiosi, quattro album all’attivo e quattro Grammy Awards. Indubbiamente una delle poche cantanti del jazz moderno che ritroveremo nella storia.
Martina Cirillo

CECILE MCLORIN SALVANT (1989)

La prima volta che ho incontrato Cécile è stato ad Umbria Jazz – Winter, Orvieto, nel dicembre 2013. Cécile McLorin Salvant nasce a Miami il 28 agosto 1989 e “si ha una cantante così una volta per generazione o al massimo due” [New Yorker 2017] dice Wynton Marsalis, uno degli immensi nomi con cui Miss Salvant ha collaborato. Una delle voci più talentuose ed espressive del nostro secolo, la jazz vocalist all’oggi colleziona Grammy Awards e svariati rinomati premi per miglior album e migliore voce jazz dell’anno. Cécile Mclorin oltre ad avere un’elegante, morbida ed incredibilmente flessibile voce, rende la performance luogo di congiunzione tra musica e teatro. Da lei stessa sottolineato più volte, l’ironia, il sense of humor e la risata sono aspetti centrali non solo della sua arte e della sua espressione, ma della sua stessa persona, profondamente legata e interessata alle manifestazioni più umane della vita. “I think music is just an expression of who I am. It’s just an extension of it, and so I sing things that I think about, things that I feel, things that I would talk about in life. / Penso che la musica sia un’espressione di chi sono. È soltanto un’estensione di ciò che sono, e dunque canto cose a cui penso, cosa che sento, cose di cui vorrei parlare nella vita“ [McLorin Salvant, Cécile, intervista a “Open Mind” con Alexander Heffner, CUNY TV, 8/02/2017] In queste parole risuona il fluido e umile intento della cantante di comunicazione intima e sincera con i musicisti che sempre con piacere l’accompagnano nel viaggio musicale e soprattutto con ogni singolo spettatore.
Claudia Buzzetti

 

Expo 3d: Jazz Female Vocals