Le opere del Bosch sollevarono un interesse pronto ed elevato, rapidamente estesosi dal Brabante alla Spagna, ove durò vivace per gran parte del ‘500, forse favorito dallo stringersi dei legami tra Spagna e Paesi Bassi.
Così, mentre Guicciardini, Lampsonius, Lomazzo e van Mander indugiavano sugli aspetti fantastici del pittore, e mentre il de Guevara ne tentava un ricupero in senso naturalistico, frate Sigüença riusciva a commentare il Bosch con un’intuizione che in qualche modo anticipa gli odierni esegeti più desti.
Seguì un lungo oblio (con l’unico barlume dei rilievi tecnici da parte del Baldinucci, ma echeggiando il van Mander, mentre le nozioni correnti sul pittore dovevano trovarsi al livello incredibilmente basso rivelato dall’Orlandi), protrattosi fino allo scorcio dell’800; e quando si considerò di nuovo il Bosch fu soprattutto per ricostruirne il corpus pittorico, sfrondandolo delle inconsistenti attribuzioni addossate appunto da secoli di vacanza critica.
Un intervento, codesto, sicuramente necessario, il cui merito spetta allo Justi, e poi a Baldass, Friedlünder, Tolnay, Combe; e certamente più utile di quello operato da coloro (Lafond, Maeterlinck, ecc.) che, impegnatisi a interpretare il mondo figurativo dell’artista, non seppero scorgervi che il febbrile produttore di mostri, l’inventore di forme assurde, il satirico implacabile.
Peraltro si trattò di tentativi sporadici.
Più sostanzioso l’apporto del Bax per i richiami all’antico folclore locale (costume, teatro, gergo e letteratura popolare); mentre è ancora da menzionare il Tolnay per essere stato il primo ad affrontare sistematicamente il problema delle interferenze simboliche e allegoriche del mondo onirico in rapporto con le antiche “chiavi dei sogni” e la moderna psicanalisi : insomma, di quello che si vuole chiamare l’Enigma del Bosch.
Al suo seguirono ulteriori contributi (Fraenger, Wertheim-Aymès, nell’ambito delle dottrine eretiche, esoteriche, antroposofiche; Pigler, Cuttler, Brand-Philip, in quello dell’astrologia; ancora Combe, per i richiami all’alchimia e all’occultismo dei tarocchi); e, nella dovizia delle indagini, non mancarono qualche delucidazione plausibile e un notevole arricchimento dell’apparato iconologico.
Tuttavia, bisogna dire, l’accresciuto interessamento doveva far registrare anche un’infinità di divagazioni più o meno dotte, esami talora acuti ma spesso fuorviati, frequenti rimasticature di quanto la critica in generale era venuta via via acquisendo.
Le dottrine di Freud e Jung, più ancora i miti ripensati da Breton suscitarono il miraggio che le fantasie del Bosch contenessero il remoto avvio alle manipolazioni dei surrealisti.
Così, un quattrocentista del Brabante diveniva padre ideale di Tanguy, Dali, Ernst e relativi epigoni.
Era, è, una rivalutazione – se così la si può chiamare – in chiave di curiosità epidermica, spesso malsana : tale da identificare un repertorio di straordinaria ricchezza con le trovatine, i magri trucchetti, le ambiguità per collegiali troppo spesso coltivate dai surrealisti con viscida e pruriginosa minuteria.
Il tutto presuppone, nel Bosch, un forte desiderio di épater i contemporanei; i quali – a quanto risulta – non rimanevano per nulla turbati dai suoi quadri, continuando a commissionargliene per palazzi e per chiese (dove erano usi a vedere ben altro, in fatto di astruseria e sensualità), e riserbandogli intatta la stima dovuta ai galantuomini pii e laboriosi.
Sarebbe anacronistico supporre che, allora, esistesse l’idea di artista ‘maledetto’, ne persuade che un barlume di essa si accendesse nel pittore in seguito alla crisi imperversata nel tardo ‘400, o al terrore per l’alba dell’anno 1500 (un succedaneo del “Mille, non più mille”), alle visioni infernali dei teologi e dei mistici, ai disastri della guerra, alle cerimonie delle confraternite bigotte.
In tal senso il Bosch non fu ne più allucinato e nemmeno più sensibile di tanti miniaturisti, scultori, silografi, poeti e narratori del proprio e dei due o tre secoli precedenti.
Astrologia, tarocchi, maglierie, alchimia, psicologismi e mormonismo ante litteram, folclore, satira, allucinazioni, mostri, diavolerie, torture e storture contano per lui come per numerosi altri, prima e dopo, magari fino a Goya e, se si vuole, fino ai surrealisti; anche se lui, più d’ogni altro, lasciò profonde tracce nella pittura dei posteri, nella letteratura e nel cinema.
L’appartenenza medesima a sètte clandestine ossessionate da morbidità erotiche, qualora fosse provata – però non ne sussiste alcun indizio – potrebbe costituire un’ipotesi di ricerca, ma non la sola ammissibile.
Oltretutto sarebbe gravemente ingiusto, nei confronti del Bosch, trascurare la vasta parte della sua produzione estranea al satanico.
Nell’ambito odierno – prescindendo da isolate posizioni quasi incredibilmente limitative, come quella manifestata dal Fogolari – rivela casomai maggiore legittimità l’altra corrente critica, intesa a cogliere le innovazioni del Bosch nei fattori linguistici: incisività della linea, colorito estremamente vario e sottilmente ‘tonale’, spazialità respirante e suasiva, vigore formale, acume paesistico.
Nondimeno – e finalmente qualche critico se n’è accorto – per penetrare l’arte del Bosch necessita sorprendere l’attuarsi della sintesi fra gli uni e gli altri elementi, cogliendo il punto stupendo in cui immaginativa iconografica e raffinatezza di stile danno luogo a un'”unica realtà spirituale”.
(Salvini)
Tratto da
“L’opera completa di Bosch“
Classici dell’Arte Rizzoli
Presentazione di Dino Buzzati
Apparati critici e filologici di Mia Cinotti
Rizzoli Editore – Milano, 1966