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Il museo come opera d’arte. Verso la transitività strutturale delle forme merci estetiche relative

di Giancarlo Pagliasso.

Il museo come opera d'arte. Verso la transitività strutturale delle forme merci estetiche relative

In questo saggio, si analizzano le considerazioni di Elisa Caldarola sulla particolarità del restauro conservativo del Neues Museum di Berlino, ritenuto dalla filosofa un’autentica creazione artistica. Sulla base di questo assunto, Giancarlo Pagliasso sviluppa l’ipotesi conseguente: se gli spazi espositivi dei musei odierni, in quanto contenitori (oggetti architettonici) di opere d’arte e reperti antichi di grande valenza culturale e artistica, diventano a loro volta opere artistiche installative specifiche, questo è indizio, sempre più corroborato da evidenza, che in egual misura il profilo mediale degli oggetti di consumo (merci) stia assumendo caratteristiche simili a quello dei prodotti culturali e artistici.

Neues Museum (foto di Joyofmuseums, fonte Wikimedia Commons)

Nell’universo della formalità produttiva ‘estetica’ dell’attuale capitalismo finanziario tecno-informatico (a vocazione maggioritaria sempre più delinquenziale), la mobilitazione sociale globale dei consumi poggia sugli input informativi che gli utenti rilasciano in rete (diventando proprietà privata del ‘privato’ da parte delle piattaforme che li sussumono alla valorizzazione economica a scapito di quella politica, presunta socializzabile al tempo della contestazione sessantottesca) attraverso i social e l’utilizzo del web (la sterminata quantità di dati che Maurizio Ferraris etichetta come documedialità). Testimone della volontà generale di visibilità, che accomuna consumatori e merci, il ‘valore di messa in scena’ (l’Inszenierungswert di Gernot Böhme) fa da puntello ’artistico’ al valore d’uso di qualsiasi genere di prodotto (materiale e ‘spirituale’), non avendo più necessità di soddisfare bisogni primari (almeno nelle economie cosiddette ‘sviluppate’) ma la ‘convenienza’ dei desideri o ‘desiderata’ umani (la cui quantità Pareto definisce come ofelimità, nel tentativo di misurare i bisogni di ‘fantasia’ di Marx per separare il valore di scambio dal lavoro).

Riprendendo quanto scritto (con Enrico M. Di Palma) ne Il nuovo mondo estetico (2020), l’autore riesamina l’emergere della connivenza ontologica tra oggetti e opere d’arte, resa possibile da quanto prima accennato, a partire dalla loro classificazione in forme merci specifiche (ricompattate sotto il registro qualitativo della produzione estetica) : 1) figurativa, 2) gastronomica, 3) erotica. Queste pervengono ad una sintesi sociale, che sembra riaggiornare le ipotesi di Fourier sulla mobilitazione societaria, armonizzata nel circuito ristretto del falansterio falangista, come produzione, educazione e riproduzione sotto le coordinate passionali della messa in scena teatrale, alimentare e sessuale, cioè come esperimento di comunità utopica tesa a trasformare, per soddisfarli, i bisogni in desideri.

In realtà, la sintesi evocata – dal momento che le forme merci ‘estetiche’ relative sunnominate, come tutte le altre, esprimono fenomenicamente la loro generalità equivalente di scambio mediante il denaro, mentre quella d’uso conviene alla metafora della loro transitività omologica strutturale – è da ascriversi più che altro alla possibilità di una loro fruizione esperienziale in luoghi e contesti spaziali atti ad avvalorarne sinergicamente le reciproche valenze performative.

Il profilarsi della nuova forma merce estetica ‘generale’ trova così accoglienza, e modalità di dispiegamento pertinenti (display), già nei ‘contenitori’ del gusto (a funzione ‘gastronomica’, ma capaci di integrare in egual misura anche le altre) quali: Heart di Ferran Adrià ad Ibiza e Alchemist di Rasmus Munk a Copenhagen (per non citare Sublimotion di Paco Roncero, sempre a Ibiza, e Ultraviolet di Paul Pairet a Shangai) o Hudson Yards a New York, che è un complesso immobiliare a dimensione di quartiere in grado di concentrare al suo interno l’intero spettro delle esperienze estetiche, incorporando unitariamente le specifiche particolari del figurativo, gastronomico ed erotico.

Inoltre, adempiono alla medesima finalità strutture, come le fondazioni culturali pubbliche o private, i cui siti rientrano nella patrimonializzazione indotta (dove la valorizzazione immobiliare è riferibile soltanto ad una riqualificazione culturale artistica o estetica), tra cui spiccano le OGR di Torino per la ristrutturazione delle ottocentesche officine ferroviarie cittadine in un hub di 35.000 mq. Questo polo è suddiviso in 4 aree: Cult, Tech, Taste e Shop, che offrono al consumo prodotti ed esperienze culturali variegati (dalle mostre ai concerti, dai workshop aziendali alle consulenze artificate d’impresa), la cui incidenza estetica è alta (anche le offerte edibili dei vari comparti gastronomici sono culturalizzate sotto le voci tematiche della «salute, gusto ed ospitalità») e per questo ‘autoriflessiva’ (dal momento che il pubblico è cosciente di acquistarli o esperirle all’interno di una struttura concepita per presupporre medialmente le sue interazioni).

Infine, venendo a quanto dà il titolo allo scritto, la riflessività estetica, che Fourier assegna alla produzione nel falansterio e che riverbera negli attuali spazi di aggregazione estetica, sembra caratterizzare e indirizzare anche il metro di giudizio circa la felicità funzionale dell’approccio visivo agli oggetti e alle opere contenuti nei musei da parte de-i/lle visitatori/visitatrici. Secondo Elisa Caldarola, nel caso del Neues Museum di Berlino, l’immersività e le procedure installative d’esposizione messe in campo dal pool di architetti, autori del suo restauro (per ripresentare al pubblico le sue collezioni di opere e reperti), hanno avuto una ricaduta estetica tale sugli spazi museali da far diventare quelli, a loro volta, ‘opere’ specifiche dell’arte dell’installazione (installation art) e non solo siti dove le installazioni artistiche sono ‘installate’ ad arte. Il museo come ‘opera d’arte’ accentua così il carattere di riflessività esperienziale estetica, che i contenitori citati in precedenza inducono in quanto ne concentrano il consumo differenziato su più aree, in ragione del suo dimensionarsi metonimico da contenente a contenuto.

Immagine in evidenza: Grand escalier du Hall du Neues Museum (foto di Jean-Pierre Dalbéra, fonte Wikimedia Commons)

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