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La seconda vita della performance art: intervista al duo Apotropia

di Francesca Piperis.

La seconda vita della performance art: intervista al duo Apotropia

Intricate e visionarie, le opere realizzate da Antonella Mignone e Cristiano Panepuccia possiedono un chiaro intento demonizzante che richiama il nome del duo. Dal greco apotrópaios il nome della coppia artistica racconta una necessità, quella di superare le avversità: le performance assumono la stessa funzione di quelle antiche suppellettili utilizzate per respingere i cattivi presagi.

L’arte apotropaica viene declinata nel linguaggio audiovisivo come strumento di rivendicazione della propria capacità di esprimersi e, allo stesso tempo, ha permesso ai due artisti di superare ostacoli che in precedenza mettevano a repentaglio la loro produzione.

Antonella Mignone e Cristiano Panepuccia si raccontano mettendosi a nudo, rendendo la propria arte una sorta di prolungamento elettronico dei loro corpi, dando ai video un’impronta emotiva che rispecchi a pieno la loro storia.

Attraverso le performance i due spaziano in ambienti culturali differenti, toccando gli ambiti più disparati: dalla scienza alla filosofia, dalla storia all’informatica. Il video si fa cornice di storie inedite che, sussurrate all’orecchio dello spettatore, lo accompagnano nella parafrasi del racconto.

L’intervista

[Francesca Piperis]: Per cominciare vi chiedo come sia nata questa coppia artistica; partendo da quali necessità avete deciso di intraprendere questo percorso?

Antonella Mignone e Cristiano Panepuccia

[Apotropia]: Ci siamo conosciuti a Roma alla fine del 2002 poco più che ventenni, ognuno col proprio percorso artistico alle spalle. Antonella, danzatrice e performer con una formazione in danza classica, iniziava a studiare Arti e Scienze dello Spettacolo all’università ed io (Cristiano) compositore, fotografo e fumettista, da poco avevo iniziato a lavorare anche come videomaker. La nostra collaborazione artistica si è sviluppata fin da subito parallelamente alla nostra relazione. Dopo pochi mesi un grave incidente stradale ci ha messo di fronte ad un cambio improvviso di percorso. Antonella, in particolare, dopo aver rischiato di perdere una gamba, ha dovuto affrontare un lungo periodo di recupero durato circa 8 anni ed ha visto infrangersi da un giorno all’altro la sua carriera di danzatrice. Presto però abbiamo capito che lavorando col video lei sarebbe potuta tornare ad esprimersi con il corpo e insieme avremmo collaborato partendo proprio dai limiti imposti dal danneggiamento del suo corpo. L’audiovisivo era il medium che meglio poteva accogliere le esigenze espressive di entrambi ed il modo migliore per Antonella per poter continuare a danzare e comporre coreografie. Emblematico di tutti quegli anni è “No One/Alone” (2007), un video creato e performato interamente sul letto. Con il tempo ci siamo poi resi conto di aver sviluppato un nostro personale linguaggio basato essenzialmente sulla re-mediazione dell’atto performativo attraverso strumenti di produzione audiovisiva e, soprattutto, il computer.

Quali sono, nell’ambiente artistico contemporaneo e passato, i vostri punti di riferimento o modelli da cui prendere ispirazione (che siano artistici, letterari, cinematografici ecc)?

In passato abbiamo provato a dare una risposta precisa a questa domanda. Ci sono stati sicuramente autori a cui ci siamo ispirati più di altri, soprattutto nei primi anni, per ciò che riguarda l’aspetto formale delle nostre opere. Cinema, videoarte, TV, letteratura e musica in tale quantità che sarebbe impossibile elencare le preferenze senza comporre una lista lunga e comunque parziale. Per ciò che riguarda la produzione contemporanea, invece, non ci confrontiamo con nessuno in particolare: il nostro lavoro è oggi focalizzato sulle possibilità e sui limiti del medium che decidiamo di utilizzare in base ad esigenze espressive che derivano direttamente dal nostro vissuto.

Il processo creativo ha indubbiamente delle fasi di incubazione, vi andrebbe di raccontare in che modo si sviluppa la preparazione di una vostra opera (che sia un’opera video, un’installazione o un’opera performativa)?

Di solito, dopo aver individuato un input propulsivo, scegliamo gli strumenti che ci sembrano più adatti per iniziare a lavorare e ci avviamo, senza voler sapere esattamente dove si andrà a finire, in quale luogo ci ritroveremo, proprio come in un viaggio. A volte l’input iniziale rimane sempre a far da guida, come in “DROP”, la suite di 7 video ispirata al nostro incidente a cui stiamo lavorando da dieci anni, o come in “Altered Ego”, il nostro più recente live sulla decostruzione dell’individuo nell’era digitale. Altre volte ci si ritrova in luoghi inaspettati […]. Ciò che accomuna i nostri lavori è la stratificazione dell’esperienza creativa in fasi e medium successivi. Nel caso delle AV Performance, più che in altri casi, costruiamo l’opera con un processo a spirale partendo da una performance dal vivo, ripresa e trasformata in audiovisivo, scomposta in frammenti come dei passi di danza, poi performata nuovamente dal vivo ma attraverso l’interfaccia del computer e di controller musicali, video-proiettata su un palcoscenico dal vivo di fronte ad un pubblico.

Apotropia – Antonella Mignone e Cristiano Panepuccia

Chiedo ad entrambi, singolarmente, di raccontare la propria esperienza all’interno del progetto. Riuscite sempre a trovare un punto di incontro tra le idee, in modo da rappresentarle in maniera efficace attraverso la vostra arte?

[Cristiano Panepuccia]: Capiamo che c’è qualcosa che non va proprio quando non troviamo un punto d’incontro. Quando troviamo una soluzione alternativa che soddisfi entrambi di solito lo fa in misura maggiore della precedente. Ad ogni modo, prima di arrivare a confrontarci passiamo anche molti momenti di creatività in solitaria. Io personalmente, al di là del legame di lunghissima data con il disegno e la pittura, trascorro lunghi periodi a dedicarmi soprattutto alla musica. In realtà il primo motore che mi ha spinto a scegliere l’audiovisivo come medium è stato il desiderio di poter creare lo strato visivo di alcune delle mie composizioni musicali. Ho sempre pensato che prima di poterle ritenere in qualche modo “complete”, molte delle mie musiche dovessero essere messe in relazione ad una dimensione visuale. Questo avviene quando lavoro al suono delle nostre opere. Non vedo grandi differenze tra la timeline di un software di composizione musicale e quella di un software di video editing, si tratta sempre di un modo per scrivere movimenti nel tempo, ed è in quelle fasi che torno a confrontarmi con Antonella. Fasi di coordinazione e collegamento della dimensione sonora con quella visiva, come ad esempio quando lavoriamo al video editing.

[Antonella Mignone]: La ricerca della forma finale dell’opera passa attraverso un processo di costante messa in dubbio. Per me si tratta di un’analisi volta alla ricerca dell’essenziale che, attraverso il ridimensionamento dell’ego, mi permette di trovare un giusto equilibrio tra personale e universale. Il lavoro in coppia, il costante confronto, ci permette di elevare la storia privata a simbolo, spogliandola degli elementi superflui. Il processo di costruzione dell’opera è molto simile ad una caccia al tesoro, alla soluzione di un rompicapo, di un rebus, di un puzzle, il cui scopo è accogliere il punto di vista dell’altro e integrarlo al proprio generando un terzo (l’opera) che non è univoco ma molteplice. La mia ricerca personale si concentra prevalentemente sul movimento in relazione all’emozione, il cui etimo significa “scuotere, smuovere”, un turbamento di uno stato emotivo di quiete ed equilibrio. La scintilla che dà origine alla Danza può essere definita, a livello generale, usando quasi le stesse parole: un turbamento dello stato fisico tra quiete ed equilibrio. Lo stimolo alla creazione può essere generato da una domanda, una riflessione, un’ipotesi, un suono, una melodia o un sogno che provochi un’emozione, una contrazione, una vibrazione, che disegni un’espressione sul mio viso, che stimoli la mia spina dorsale, che “scuota, smuova” il mio corpo anche impercettibilmente. Lì rivolgo la mia attenzione, perché è lì che nasce la Danza.

Apotropia – Timepulse

All’interno delle produzioni elettroniche, quali sono le tecniche più utilizzate? Cercate di associare determinate modalità rappresentative ai concetti esposti nelle performance?

Siamo sempre curiosi delle novità ed oltre alla produzione audiovisiva negli anni abbiamo lavorato con diversi altri medium, realtà virtuale ed aumentata, installazioni immersive e soprattutto performance audio-video dal vivo. Non ci sentiamo costretti ad utilizzare l’ultimo ritrovato tecnologico ma valutiamo di volta in volta quali siano i linguaggi e gli strumenti più appropriati per affrontare la creazione dell’opera. Ad esempio, dopo molti lavori di sperimentazione sulla decostruzione del corpo in movimento e sugli algoritmi di (pseudo)randomness, nel nostro ultimo video “A Deepward Rise” abbiamo lavorato con l’audiovisivo in maniera molto più “classica”, per dare più spazio all’aspetto performativo dell’opera ma anche per intaccarne il meno possibile l’aspetto simbolico.

Parlando di un’opera in particolare, Timepulse (2017), quali sono i principi culturali/filosofici alla base di questa produzione? In che modo avete voluto raccontare lo scorrere inesorabile del tempo mediante elementi digitali o artificiali?

Timepulse è più di altre nostre opere un autoritratto di entrambi. È l’unica opera che contiene scene della nostra vita privata e descrive a pieno la condizione di entrambi nei confronti del mistero dell’esistenza e dello scorrere del tempo. È anche l’unico video in cui abbiamo utilizzato la parola. Il testo poetico finale chiude con una rielaborazione di un brano di Jorge Luis Borges (in “Nuova Confutazione del Tempo“) in cui va a confluire un magma di concetti formatosi a partire dall’interesse per la filosofia e per le più avanzate ipotesi scientifiche. È un video diviso in tre parti ed in quella centrale abbiamo costruito la coreografia ispirati ai concetti di entropia e sintropia (la sua forza opposta) e l’abbiamo composta direttamente in post-produzione, invertendo ritmicamente lo scorrere della timeline video. Come gli altri video della suite DROP, anche Timepulse è un’opera acquatica. Il corpo della protagonista è immerso, sgocciola ed infine si scioglie lavato via dalla pioggia finale, ovvero lo scorrere del tempo. Volevamo che il volto di Antonella si sciogliesse come fanno le gocce di pioggia più lente, sui vetri. Abbiamo ottenuto quell’effetto con un lentissimo morphing.

Apotropia – A Deepward Rise

Avete spesso a che fare con l’intelligenza artificiale, ritenete che la fusione tra l’ambiente artistico, universalmente inteso, e le nuove tecnologie sia adeguata al nuovo panorama contemporaneo?

Grazie ad internet il panorama contemporaneo oggi coincide con l’umanità intera, quella che ha accesso alla rete almeno, e la tecnologia pervade la vita degli artisti, come quella di tutti, sempre di più. I nuovi strumenti evolvono rapidamente e le intelligenze artificiali stanno oramai dimostrando di riuscire ad emulare l’essere umano con un grado di realismo e ad una velocità sempre piú impressionanti. Oggi facilitano la possibilità dell’uomo di esprimere il suo punto di vista, con il loro avanzamento forse le vedremo esprimere più o meno autonomamente il loro. Un punto di vista che potrebbe costringerci a ridefinire il concetto stesso di vita, di umanità, di arte. La fusione tra arte e tecnologia è sempre più consolidata, quantomeno sul piano pratico, e dal nostro punto di vista non è tanto importante se sia adeguata o meno ma piuttosto se, come umanità, saremo noi adeguati ad una rimodulazione che si prospetta radicale.
In questo senso l’arte può essere il migliore specchio dei tempi.

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Apotropia – The Kiss
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Tutte le immagini © Antonella Mignone – Cristiano Panepuccia