L’arte come metodo scientifico per salvare il Pianeta. Intervista ad Andreco

di Maurita Cardone.

L'arte come metodo scientifico per salvare il Pianeta. Intervista ad Andreco

L’arte è uno strumento per immaginare mondi possibili, per creare scenari alternativi, per inventare il futuro. E l’artista che scelga di concentrarsi sull’ecologia e gli ecosistemi può essere un agente di quel cambiamento che la crisi climatica rende sempre più necessario e urgente.
Negli ultimi decenni, alcuni artisti ambientali si sono resi protagonisti attivi di quel processo di invenzione di un futuro alternativo a quello catastrofico verso cui l’umanità sembra condannata. Questi artisti propongono soluzioni concrete e fanno della propria arte un metodo per superare l’emergenza ambientale. Tra questi è Andrea Conte, in arte Andreco (Roma, 1978), artista e ingegnere ambientale che da sempre coniuga ricerca artistica e scientifica, realizzando performance, video, installazioni, wall painting e dipinti attraverso cui indaga le questioni ambientali, le relazioni tra uomo ed ecosistemi, la rigenerazione urbana e la cura della natura.

Andreco è uno degli artisti che abbiamo scelto per raccontare l’arte ambientale nella mostra “Altre Ecologie: Quando l’arte difende il Pianeta“, con cui Arte.go.it celebra il suo trentennale.
Dal suo ricco corpus di lavori abbiamo scelto due opere: Tiberina, una performance con cui l’artista chiede giustizia per un Tevere maltrattato e che abbiamo incluso nella sezione Coscienza e, nella sezione Futuro, Aula Verde, un’installazione che è anche una soluzione basata sulla natura (tanto da essere stata pubblicata in forma di articolo scientifico sulla rivista Nature) e un percorso di cittadinanza attiva. La ricerca multidisciplinare di Andreco conduce verso nuove visioni, simboli e formule, in grado di mostrare la bellezza dei processi naturali.
Lo abbiamo intervistato per farci raccontare il suo pensiero e il suo lavoro.

L’intervista

[Maurita Cardone]: Tu hai una formazione scientifica. Come ti sei avvicinato all’arte?

[Andreco]: In verità l’arte c’è sempre stata nella mia vita, è la scienza che è entrata dopo. Dipingo da quando ero piccolo, i miei nonni erano entrambi pittori. Ma da sempre sono stato anche affascinato dalla fisica, dalle scienze naturali e da tutto ciò che è legato agli ecosistemi e così ho deciso di studiare ingegneria ambientale con l’idea della gestione sostenibile delle risorse. Nel corso degli anni quella scientifica e quella artistica si sono evolute come ricerche parallele fino a che non si sono fuse. Ora faccio l’artista a tempo pieno ma la parte di ricerca ambientale non si è mai interrotta. Faccio ricerca interdisciplinare tra arte e scienza, le due cose sono diventate indistinguibili e creano un unico lavoro.

Cosa pensi che possa aggiungere l’arte alla conversazione ambientale e scientifica?

Il linguaggio dell’arte nel mio caso si basa sulla ricerca, come la scienza, ma il metodo è diverso. Il metodo scientifico è verificabile, mentre il metodo dell’arte lavora sulla percezione e su cose non per forza dimostrabili. Arte e scienza hanno però in comune l’intuizione. L’arte parla ai sentimenti più profondi di chi osserva. Mi interessa poter guardare la complessità di un ecosistema e poterla trasmettere con la sensibilità e la poetica dell’opera d’arte.

È un processo di traduzione da un linguaggio più ostico a un linguaggio più intuitivo?

Nel corso della mia ricerca, ho usato diversi media, a volte anche dati e ricerche scientifiche, alcuni dei miei lavori sono data driven. In quel caso, sì, forse è una traduzione. Altre volte si tratta di una trasposizione sul piano del sensibile di concetti scientifici rilevanti da un punto di vista ambientale, ma non per forza collegati a specifici dati o informazioni.

Che reazione ti interessa suscitare nello spettatore? Una reazione più razionale o emotiva?

Le mie opere sono un tributo, un omaggio all’ecosistema. Mi piace creare immagini aperte che vengono ultimate da chi le osserva secondo il suo vissuto. Non voglio lanciare un messaggio specifico ma voglio avvicinare lo spettatore allo stupore che io provo osservando gli ecosistemi e cercare di favorire un processo di conoscenza ed empatia. Conoscere gli ecosistemi e stupirsi della loro magia, del loro funzionamento, significa favorire empatia e quindi poi tutela. Il fine ultimo è la coscienza eco-politica, il rispetto per i sistemi naturali, per le altre specie, di tutto ciò che il pensiero antropocentrico considera risorse da sfruttare. Attraverso l’arte, voglio creare una poetica che ci renda persone più consapevoli e in grado di prenderci cura dell’ambiente.

Quindi il focus della tua arte non è tanto sulla crisi ambientale ma sulla cura come soluzione?

Sono vent’anni che mi occupo della questione ambientale e in passato il mio lavoro analizzava di più il problema. Per i primi 10 anni ho urlato al disastro, mi sono concentrato sulla crisi, sul danno, era un lavoro catastrofista che cercava di accendere le coscienze sul problema. Parata della fine, del 2017, è l’apice del mio lavoro catastrofista. Poi ho cambiato approccio e ho iniziato a integrare nel lavoro le cosiddette climate action, a concentrarmi sulle buone pratiche e i processi rigenerativi, a promuovere un’arte che va verso le soluzioni, piuttosto che continuare a dire che moriremo tutti. [ride]

Cosa ti ha portato a cambiare approccio?

Parlare solo del problema rischia di paralizzare. Si crea questo iperoggetto, difficile da capire e affrontare, mentre attraverso le climate action ci si può spostare verso un approccio più orientato alle pratiche. Credo che il mondo ormai si sia accorto che abbiamo un problema, la crisi è sotto gli occhi di tutti, è tempo di parlare di soluzioni. L’arte aiuta a prefigurare futuri, l’artista è un future teller, l’arte può essere uno strumento immaginifico per inventare nuovi modelli di sviluppo.

Ti consideri anche un attivista?

Sì. L’impegno civico è da sempre un’altra storia parallela della mia vita. Credo che chi fa arte ambientale non possa non relazionarsi con i movimenti e con chi fa politica e ricerca. Dobbiamo per forza essere collegati altrimenti il lavoro peccherà di ingenuità. A modo mio sono un attivista, lo faccio tramite l’arte.

Tendi a portare nel tuo lavoro elementi vivi, che siano corpi umani o alberi. Come si inserisce questo elemento di vita nel tuo lavoro?

Le performance sono uno strumento collettivo attraverso cui condividere soluzioni e idee. Il corpo performativo è un “supersimbionte”, un unico corpo che crea una pratica collettiva e condivisa. L’uso delle piante è più legato alla loro capacità rigenerativa che io mostro in forma di opera. Creare infrastrutture verdi oggi è una necessità, lo può fare un ingegnere al computer o possono invece farlo i cittadini che vivranno quelle infrastrutture e se ne prenderanno cura. La questione ambientale e la questione sociale sono legate.

© Andreco – Parata Tiberina, 2020-in corso

Raccontaci l’opera Tiberina, in mostra nella sezione Coscienza della mostra virtuale promossa da Arte.go.it.

Tiberina fa parte di un corpo di parate nello spazio pubblico che facevo una quindicina di anni fa. Questa parte del mio lavoro è molto incentrata su performance e coreografie che seguono regole e strutture che si ripetono ma che allo stesso tempo variano ogni volta sulla base dello spazio che occupiamo, del contesto eco-politico e delle risorse umane a disposizione. Nello specifico Tiberina è un progetto su Roma, città dove sono nato e che ho lasciato per 15 anni per vivere altrove ma dove sono poi tornato per iniziare un progetto sui parchi e i fiumi della città. Dopo aver fatto progetti in giro per tutto il mondo, ho costituito un’associazione e deciso di dedicare due-tre mesi all’anno a Roma, concentrandomi sul capitale naturale che abbiamo. Volevo creare un lavoro di lungo termine, che potesse avere un reale impatto, e che coinvolgesse una comunità che cresca nel tempo. Attraverso una rete che coinvolge associazioni culturali, attivisti, centri ricerca e università ho fatto progetti su fiumi e parchi come tributo a un patrimonio che è la dorsale per la sostenibilità urbana e per la salute della città e dei cittadini che la abitano. Tutto questo è il progetto Flumen. Tiberina è un pezzo di questo progetto realizzato su incarico dalla città di Roma, per il capodanno, in collaborazione con il Teatro dell’opera e l’Accademia di Santa Cecilia. È un’opera che cerca di portare l’attenzione sullo stato e la gestione del fiume chiamando in causa le amministrazioni che devono prendersi in carico la salute del fiume. Come associazione siamo firmatari del Contratto di fiume Tevere e facciamo un lavoro di lobby politica ambientale. Questa performance è questo, non è intrattenimento ma eco-politica che si sviluppa attraverso un rituale e mette in primo piano il fiume stesso. Gli antichi romani veneravano il fiume perché sapevano che la vita della città dipendeva da esso, ma oggi il Tevere è usato come discarica. Con Tiberina volevamo ricordare la sacralità del corso d’acqua. Portando bandiere che riproducono i diversi tratti del Tevere e raccogliendone l’acqua, i performer diventano il fiume che invade la città e urla giustizia

© Andreco – Aula Verde. Climate Art Project for Earth Day

L’altra opera scelta per la mostra virtuale è Aula Verde che abbiamo incluso nella sezione Futuro e che ha un approccio molto diverso. Ce ne puoi parlare?

Aula Verde consiste in una serie di cerchi di alberi che creano un spazio al centro che è punto di incontro per attività di vario genere, tra cui didattica all’aperto, incontri e seminari. Ha avuto diverse iterazioni in contesti diversi, a partire dal 2019. Si tratta di rigenerazione urbana, ma con l’arte al centro. Aula Verde si inserisce in quel cambio di approccio di cui parlavo prima, nel desiderio di fare opere orientate alle soluzioni, di fare un’arte che possa creare percorsi inclusivi di cittadinanza attiva, processi partecipativi, comunità e rituali, un’arte in grado di inventare nuove pratiche e nuove azioni. C’è anche un lato spirituale e simbolico nel fare un rituale, un’azione insieme. Aula Verde è quindi un lavoro che scaturisce da un processo di coinvolgimento dei cittadini in un’opera d’arte che è anche un’azione rigenerativa, che è un modo per contrastare una problematica ambientale. L’altro pezzo importante di Aula Verde è l’articolo scientifico pubblicato sulla rivista scientifica Nature che definisce quest’opera da un punto di vista scientifico-filosofico e che la fissa come metodo. Attraverso la pubblicazione dell’articolo scientifico, Nature ha riconosciuto Aula Verde come una soluzione basata sulla natura, un’azione per la giustizia climatica che include processi rigenerativi, linguaggio artistico e approccio filosofico. Nella ricerca abbiamo coinvolto persone come Qing Li, esperto di Forest medicine e riabilitazione attraverso il contatto con la natura, e Amanda Boetzkes, storica dell’arte specializzata nelle intersezioni con le scienze naturali e l’energia. L’idea era di calcolare i benefici ambientali concreti di un progetto rigenerativo partecipato.

Riferimenti e contatti
Andreco official website
Immagine in evidenza
© Andreco – One and only. boarder IT/AU, per Walking. Arte in cammino, a cura di Michela Lupieri e Giuseppe Favi, 2016
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Tutte le immagini © Andreco