Matriòske dal margine. A partire da “Out of Sight” di Marina Ballo Charmet e Walter Niedermayr

di Ginevra Amadio.

Matriòske dal margine. A partire da "Out of Sight" di Marina Ballo Charmet e Walter Niedermayr.

«Nel ritratto fotografico – almeno in uno, degli uomini di cui conosciamo, sia pure sommariamente, la vita, la storia personale, l’opera – si realizza un’attendibilità che non pone o allontana il problema della somiglianza fisica e però restituisce il senso di quella vita, di quella storia, di quell’opera compiutamente, in “entelechia”».

Questa riflessione di Leonardo Sciascia, in perfetto equilibrio tra occhio e riproduzione, tra gli assunti – per dirlo in termini di riferimento artistico – di Raoul Hausmann e Walter Benjamin (Piccola storia della fotografia, 1931, in Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, 1935-36) sembra cogliere l’attitudine di Marina Ballo Charmet, quello sguardo ‘dal margine’ che restituisce il senso del soggetto al di là del concetto di vero, di perfettamente riconoscibile. È la visione periferica che l’artista mutua dagli psicanalisti Salomon Resnik e Anton Ehrenzweig, quell’idea per cui sia necessario percepire la presenza, l’essenza di un oggetto senza in realtà accorgercene. L’obiettivo di Ballo Charmet si comporta come quello di Benjamin: fissa più di quanto crede, parla alla mente, all’inconscio, pescando ai limiti del razionale.

Così è anche per Walter Niedermayr, artista e uomo di confine, italiano di lingua tedesca, sudtirolese, in equilibrio nello spazio del “tra” – tra le lingue, tra le culture – e dunque capace di riflettere sul carattere transitorio del paesaggio, sulle sue crepe, su quanto la fotografia, di riflesso, risulti provvisoria e manchevole, dunque capace di cogliere l’attendibilità di un attimo – in perenne mutazione. La serie sulla Val di Fiemme, in quest’ottica, svela senza dire – senza mostrare – e allarga lo sguardo alle case, agli orti, agli spazi antropizzati che sono un po’ la sua ‘ossessione’, il marchio di una riconoscibilità che procede dalla riflessione sul passaggio dell’uomo sulla terra, sul suo intervento scellerato o, come in tal caso, necessario, frutto dell’invisibile retaggio valoriale che consente, da anni, di rivitalizzare lo spazio fisico.

Walter Niedermayr. Raumfolgen 238. 2007

Ecco allora che Out of Sight, (15 ottobre-4 dicembre 2022, Fondazione Bevilacqua La MasaPalazzetto Tito, Venezia), si pone come summa di un duplice sguardo potenzialmente interminabile. Un intreccio di anime con al centro la videoinstallazione Casanza, realizzata nel 2022 all’interno della Casa di reclusione femminile Le Convertite alla Giudecca. Un non luogo per eccellenza, o meglio ancora un chiaro esempio di eterotopia foucaultiana che Ballo Charmet e Niedermayr colgono nella loro essenza sovversiva, nel farsi spazio di inclusione laddove esistono solo sbarre, muri, separazioni. Qui è l’orto, che ha carica simbolica che risale fino ai testi antichi, a porsi come luogo di sospensione, un’area fuori dalle regole e dagli sguardi, in cui il margine si fa centro e torna, anche solo per momento, a regalare respiro, un’idea di libertà. Così le foto realizzate dalle stesse detenute con macchine usa e getta richiamano i cascami di un tempo altro, forse non così lontano da quello vissuto fuori, anni addietro, e tanto vicino a un’illusione di lentezza, di sottrazione al regime dell’oggi.

A partire dall’esposizione, la curatrice Gabi Scardi ha risposto alle nostre domande allargando lo sguardo all’opera dei due artisti, alle loro prospettive di indagine, a un concetto di spazio che è debitore di tante fonti.

Marina Ballo Charmet, Walter NIedermayr. Casanza 2022

[Ginevra Amadio]: Quella di Marina Ballo Charmet e Walter Niedermayr è un’intesa generativa, che si sostanzia in rivoli di motivi comuni, dal senso del luogo – in un’ottica che salda geografia umana e sguardo quasi ‘letterario’ – al rapporto tra individuo e spazio. Come definirebbe la loro arte?

[Gabi Scardi]: Il lavoro di Marina Ballo Charmet riguarda il quotidiano, il ‘sempre visto’, il ‘fuori fuoco’; e la cura nelle sue diverse accezioni, in molti casi l’infanzia e il rapporto che con essa l’adulto può avere. Quello di Walter Niedermayr si incentra sullo spazio come realtà occupata e plasmata dalle persone. L’artista fa emergere le strutture che informano la realtà, ossia i modelli di potere e di programmazione sociale che la ordinano. Entrambi tendono dunque a evidenziare ciò che normalmente resta al di sotto della superficie visibile: i margini del visibile, il rimosso, il latente, lo scarto della realtà, il quotidiano dimenticato. Questo intento, che li accomuna, è effettivamente generativo, in termini di consapevolezza.

Al centro di Out of Sight c’è la videoinstallazione Casanza, realizzata all’interno della Casa di reclusione femminile Le Convertite alla Giudecca. Il video, girato in alcuni ambienti interni e nello spazio verde del carcere, presenta lunghi piani sequenza che restituiscono il senso di sospensione tipico dell’isolamento. È un lavoro visivamente potente, al cui centro sta la gestualità, il movimento, un’idea di corpo ‘ribelle’, che impone uno strappo nella temporalità fissa dei giorni…

L’idea di Casanza si sviluppa a partire da una peculiarità di questo carcere, che ha sede in un antico monastero femminile; esso comprende infatti un appezzamento di terra reso fertile da secoli di manutenzione femminile; oggi, dopo le monache, sono alcune detenute a coltivarlo a orto, e nel carcere stesso si consuma e si vende quanto vi cresce.
Le scene del video sono state girate principalmente in quest’area verde, protesa verso l’acqua della laguna, resa però invisibile dalle alte mura di cinta che la circoscrivono celandola all’esterno.
Riprendendo le donne nella loro quotidianità di lavoro, i due artisti hanno voluto indagare il rapporto che si può instaurare tra individuo ed elemento naturale in situazioni di ristrettezza organizzata.
Dalle immagini si evince infatti come il lavoro a contatto con la natura, sebbene intramuraria, e l’esposizione alle sue leggi inalienabili costituisca un’alternativa alla regola, ai rigidi schemi di relazione e al linguaggio del carcere; e come la durezza e la tenerezza di questo impegno, che è impegno di cura, possa indurre un momentaneo ripristino della centralità del corpo e della sua espressività consentendo un temporaneo alleggerimento rispetto alla stretta dei rapporti sociali, alla privazione di qualità emozionale degli spazi del carcere e della vita che vi si svolge.

Opere delle partecipanti al seminario nel carcere, 2022

Il percorso espositivo va completandosi, come uno sbocco naturale, attraverso le fotografie scattate dalle detenute con macchine usa e getta. La loro disposizione è significativa, perché incrocia ancora il concetto di spazio, un dentro e un fuori che passa attraverso l’occhio mediato (qui i fotografi cedono il passo, e il mezzo, ai soggetti fotografati) e costruisce un ambiente nuovo, di compenetrazione. Lei ha a lungo studiato la questione dello spazio, facendo della sua ri-organizzazione una chiave d’accesso a molti progetti. Come si evidenzia qui tutto questo?

Il processo di lavoro, durato alcuni mesi, ha visto alcuni momenti laboratoriali che hanno coinvolto le donne nel carcere. Da queste fasi di cooperazione e di dialogo è originata una serie di fotografie in cui le signore stesse hanno ripreso l’ambiente o si sono ritratte reciprocamente. Le immagini che ne sono nate, con le loro implicazioni in termini di sensibilità individuale e di soggettività sociale, confluiscono nella mostra Out of Sight, di cui costituiscono parte integrante. Queste opere, realizzate in un luogo e in una situazione caratterizzati da un’inevitabile marginalità, ma in molti casi estremamente interessanti dal punto di vista del contenuto e dell’esito formale, finiscono così per trovarsi al centro: della città di Venezia, dell’attenzione dei visitatori, del mondo dell’arte. E le loro autrici assumono il ruolo di protagoniste. Viene dedicata loro un’intera sala, e l’allestimento, che ha un andamento verticale ed è frutto di una specifica attenzione formale, intende intensificare la presenza e l’effetto di questo insieme a molte mani.

Ballo Charmet e Niedermayr nel loro percorso artistico hanno fotografato rispettivamente città, interni quotidiani e poi spazi naturali alterati dall’intervento dell’uomo. Anche Out of Sight sottende un intento ‘contestatario’, di messa in discussione del tempo, dello spazio, al fine di disegnare nuove prospettive?

Tutte le opere presenti in Out of Sight sottendono la necessità di una maggiore consapevolezza rispetto alla dialettica marginale – centrale e di una rinnovata attenzione nei confronti di ciò che si trova alla periferia: dei pensieri, del territorio, della società. Nel caso di Casanza, in particolare, la possibilità di un’alternativa alla norma, di un miglioramento delle condizioni di vita emerge dal contatto con la natura, che genera spazi di momentanea autoaffermazione e di libertà per la mente e per il pensiero di persone che stanno vivendo una condizione esistenziale di ristrettezza fisica, e spesso un grave carico di dolore e psichico.

Marina Ballo Charmet, Walter NIedermayr. Casanza 2022

Tornando al video, il vero protagonista dell’installazione è l’orto – colto direttamente nella sua natura, senza passare per muri o sbarre. Lei ha riflettuto sul rapporto tra arte, paesaggio e società: in che modo l’orto – che restituisce, con il suo ordine, la realtà fisica del carcere – può raccontare qualcosa in termini di presa di coscienza di un particolare contesto? Oltretutto, si è quasi in un gioco a matriòska: un orto che è dentro una casa di reclusione, che è dentro un’isola, che è dentro una città…

Nel video a tratti si ha l’impressione che questo orto antico, con i suoi ritmi, con i suoi tempi lunghi, funga da protagonista. D’altra parte esso costituisce sicuramente l’agente di una trasformazione: nelle voci delle donne intente al lavoro, nel modo in cui lavorano la terra e si relazionano con l’elemento vegetale si avverte un senso di intimità fisica e psicologica; una momentanea disinvoltura che contrasta con la rigidità della struttura del carcere, e fa da contrappunto alla contrazione della soggettività che esso impone. Proprio il contrasto tra le due situazioni, quella che viene vissuta nell’orto e quella dell’interno, acuisce la consapevolezza del senso di isolamento, di alienazione dal mondo esterno e dal corpo sociale che caratterizza il mondo della reclusione; su quanto sia importante trovare soluzioni diverse, che consentano di evitare questo strappo e di preservare l’integrità della persona.

Immagine in evidenza: Marina Ballo Charmet, Walter Niedermayr, two-chanell video piece, Casanza, 2022
Tutte le immagini: © Marina Ballo Charmet, Walter Niedermayr,