Il decimo senso del corpo politico nel mondo digitale. Intervista a Marco Donnarumma

di Mariateresa Zagone.

Il decimo senso del corpo politico nel mondo digitale. Intervista a Marco Donnarumma

Marco Donnarumma è un artista e new media performer, nato in Italia ma che da anni vive a Berlino. Le sue opere sono state presentate sia in Europa, che negli USA e in Asia. Focus del suo linguaggio è la dimensione del corpo umano in relazione alla tecnologia, al suono, al movimento ma anche il rapporto sociale del corpo individuale col corpo politico e la relazione liberatoria o soggiogante uomo/macchina.

Premiato al Guthman Musical Instrument Competition, per Xth Sense, tecnologia da lui creata, Donnarumma ha indagato l’azione della contrazione muscolare nel mondo fisico e la conseguente produzione di segnali elettronici e suoni nel mondo virtuale (il decimo senso appunto).

Xth Sense

Le sue opere audiovisive e le sue performances sono intrise da una grande intensità ispirandosi spesso a quella che una categorizzazione apparentemente desueta indica come “vizi”. Al centro del suo linguaggio il corpo è sempre strumento potentissimo e viscerale, sono le pulsazioni del sangue, la contrazione dei muscoli a produrre quei segnali biofisici che vengono amplificati dalla tecnologia del Xth senso, i cui sensori rendono udibili le onde acustiche prodotte dal corpo.

A “risuonare” sono quindi i tessuti muscolari, il sangue, il battito cardiaco, quell’ammasso di carne, unica certezza posseduta, che chiamiamo corpo, i cui suoni incontrano lo spazio e gli spettatori in una sorta di “inferno” dantesco fatto anche di immagini, di luci e di forme visive prodotte sempre dal biosegnale iniziale.

I C::ntr::l Nature

Fra i vari lavori dell’artista, troviamo anche musica elettroacustica, performance audiovisive come per esempio I C::ntr::l Nature, al cui centro si trova una farfalla e la sua metamorfosi, in iterazione con un software music. Di nuovo ritroviamo una variazione sul tema del controllo della sonorità da parte dell’uomo, inserito in un sistema più complesso come quello naturale.

Sempre all’interno della sound art, Donnarumma ha esplorato il suono generativo, con Golden Shield Music realizzata nel 2009, un’installazione multicanale basata su indirizzi IP. Opera di arte generative, al cui centro si pone la riflessione sulla censura e l’accessibilità digitale.

L’intervista

[Mariateresa Zagone]: Come nascono le tue opere? Qual è il procedimento creativo che di solito segui?

Marco Donnarumma

[Marco Donnarumma]: Non seguo un procedimento unico, ogni opera richiede un processo particolare. Molte volte parto da una visione e sviluppo le idee estetiche e gli strumenti tecnologici più adatti a realizzarla. Altre volte parto da una tecnologia e ragiono sul suo impatto socioculturale per trovare degli spunti concettuali ed estetici. In generale, sono sempre alla raccolta di ispirazione e trovo interessante coltivare idee a lungo, per farle maturare abbastanza prima di presentarle al pubblico.

La Sound Art, in contrapposizione alla pratica musicale che si occupa dell’organizzazione dei suoni nel tempo, è interessata alla percezione spaziale del suono, alla sua “proiezione” nello spazio, in questo senso la danza e ogni attività che prevede un corpo “scenico” ne sembrano la trasposizione visibile. È così?

Certamente si può vedere cosi. Io mi muovo fra composizione musicale e sound art, ibridizzandole l’una con l’altra e con altre discipline, come la danza, il teatro, la performance art, e la robotica. Per me il suono è primariamente un’esperienza corporea e sociale e in questo senso è imprescindibile dal movimento e dalla collettività. Quindi nella mia pratica la danza, la ricerca sul movimento e le pratiche di performance vivono in simbiosi col suono, la ricerca di timbriche e mondi sonori, come anche l’esperienza percettiva delle onde sonore attraverso tutti i sensi, e non solo l’udito.

Come si relaziona il corpo sonico che tu esplori con gli altri corpi viventi?

Una delle mie invenzioni più conosciute è l’Xth Sense, che cattura suoni corporei – come il battito cardiaco, le vibrazioni dei muscoli e il flusso sanguigno – da un performer in movimento e permette di utilizzarli per comporre musica in tempo reale, una commistione di musica, performance e tecnologia che ho chiamato “biophysical music”. Questo mi permette di creare spettacoli dove la comunicazione fra performer e pubblico avviene attraverso una sorta di vocabolario sono-cinetico, un’espressione sinestetica di suono e movimento intrinsecamente legata alle sfumature del linguaggio corporeo, che quindi bypassa la parola e attiva altri organi di percezione meno razionalizzabili.

Cos’è esattamente l’XTH Sense, lo strumento musicale biofisico con cui lavori ancora oggi?

Si tratta di un’invenzione che ho creato nel 2010, premiata internazionalmente e i cui dettagli tecnici ho rilasciato con licenza open source, cosi da poter essere ricreata da chiunque voglia sperimentare. In sostanza è un sistema di wearable hardware e un software che ho creato per poter amplificare e manipolare in tempo reale i suoni del corpo. Si basa su un comune piccolo microfono che cattura vibrazioni a frequenze molto basse dal corpo. Queste vibrazioni vengono poi manipolate digitalmente come una fonte sonora attraverso un software apposito che ho scritto negli anni. La manipolazione avviene esclusivamente attraverso i gesti e il movimento, senza dover accedere a un computer o altri tipi di interfacce esterne al corpo. L’Xth Sense riesce, grazie a degli algoritmi di machine learning o AI, a catturare informazioni sull’attività muscolare del perfomer in tempo reale. Queste informazioni, come ad esempio il ritmo delle contrazioni muscolari, la velocità delle contrazioni, quanta energia una contrazione produce, possono essere usate per controllare o influire su diversi sistemi di musica interattiva o AI. Lo uso da tanti anni per installazioni, performance, spettacoli teatrali, e lo vedo utilizzare anche da altri in maniere sempre stimolanti.

L’arte, in un rapporto collaborativo con scienza e tecnologia, può limitarsi allo sfruttamento linguistico di tali discipline per determinare una nuova coscienza di progresso? Quali responsabilità dovrebbe assumersi una forma d’arte che sceglie di indagare questi temi? E quali responsabilità ti assumi, in questo senso, quando crei una performance o un’installazione?

Penso che l’arte non debba limitarsi a lavorare con concetti scientifici e tecnologici, ma debba invece intervenire su quei concetti in maniera critica. La tecnologia non è neutrale e porta con se sempre dei bias, gli interessi e i valori dettati da chi la crea. Per un artista in questo campo è fondamentale conoscere a fondo una tecnologia o un metodo scientifico con cui si vuole lavorare per poterlo affrontare con profondità intellettuale e piena responsabilità artistica. Questo è sempre stato importante, ma lo è ancora di più oggi, in un mondo in cui gli oligarchi dell’industria tecnologica hanno più potere degli stati nazionali. Dal canto mio, preferisco creare tecnologie da zero con le mie mani, vite per vite, cavo per cavo, per essere poi in grado di sovvertirle a fondo sia concettualmente che tecnicamente. I miei robot , strumenti biofisici e protesi, creati in questi decenni di pratica, li ho concepiti come strumenti estetici, disegnati e costruiti personalmente attraverso la mia esperienza e i miei errori ma soprattutto a servizio di una particolare visione artistica; questo, penso, permette di evitare di cadere nelle trappole dell’industria, che ci fa credere che una tecnologia si possa e debba usare solamente per lo scopo per cui viene venduta. Questo non fa altro che addormentare progressivamente l’immaginazione. Quindi è fondamentale intervenire con l’arte nei metodi tecnologici, per poter creare delle riverberazioni a livello socioculturale e degli orizzonti nuovi di esperienza individuale e collettiva.

Secondo te la tecnologia continuerà a modellare il corpo umano tramite androidi, protesi, macchine intelligenti, con obiettivi lontani e, magari, anche divergenti, rispetto all’ingegneria biomedica con finalità cliniche?

Sicuramente. Purtroppo le idee transumaniste che disdegnano il corpo, e specialmente il corpo non normativo, sono molto forti di questi tempi e sono anche, in alcuni casi, alla base di molte sistemi di credo del capitalismo contemporaneo. Questa commistione sta diventando normalizzata, per questo c’è bisogno di più artisti criticamente coinvolti e attivi con questi temi.

Credi che l’interazione del corpo con la tecnologia serva più alla normalizzazione (che è uno dei modi che la società capitalistica o quella teocratica ha di controllare gli individui) o allo scardinamento dello stesso? E parlando di corpo, per te esso è politico? In che senso?

Il corpo è sempre politico perché al centro di relazioni di potere in molteplici assi temporali, siano esse interpersonali o istituzionalizzate. La tecnologia può servire sia alla normalizzazione che al suo scardinamento, anche allo stesso tempo proprio perché va a toccare e modificare quelle relazioni, spesso in maniera invisibile. Credo che il ruolo della tecnologia, penso a IA e robotica in particolare ma non solo, nello sviluppo del concetto di corpo a livello culturale sia estremamente sottovalutato nelle grandi arene culturali e di mass media. Il modo in cui il corpo viene concepito è dettato in maniere particolarmente autoritarie dalle tecnologie di oggi. Ad esempio, i governi in occidente stanno solo ora cominciando a capire l’impatto dei social media sulle vite dei bambini e adolescenti; come quelle piattaforme incentivano i propri utenti a creare visioni distorte del proprio corpo (e di quelli degli altri), mettendoli quotidianamente a confronto con corpi che sembrano perfetti, ma sono banalmente finzioni algoritmiche. Ci sono tanti altri esempi come questi. Il problema è che la tecnologia si evolve molto più in fretta dell’educazione. E, qui mi ripeto nuovamente, l’arte in questo senso può giocare un ruolo incredibilmente importante, se porta avanti un approccio critico, riflessivo e di avanguardia, invece che uno puramente estetico o superficialmente “politico”.

Potrebbe sembrare ossimorica la relazione tra la creatività insita nella volontà di esistere di un corpo e la tecnologia, appannaggio di multinazionali che la creano secondo agende asservite esclusivamente alle logiche capitalistiche di accumulo, di potere e di controllo. Perdona questa domanda un po’ cruda ma, tu, come ti poni rispetto a questa relazione in teoria ed in pratica?

Concordo. È proprio li dove bisogna intervenire come artisti. Personalmente, cerco di tenere sempre vivo uno spirito critico e DIY (do it yourself) per poter navigare l’ossimoro di cui parli. Cerco di creare aree di affascinante ambiguità, di svelare la banalità di discorsi binari e di rivelare attraverso il mio lavoro, sia teorico che pratico, dimensioni alternative di percezione, di esperienza e di rituali collettivi attraverso la tecnologia. Questo spero possa contribuire a coltivare l’immaginazione di altre pratiche corporee e sociali. Facendo questo tipo di arte non sconfiggeremo il capitalismo ne oggi ne domani ne fra cento anni, ma sicuramente contribuiremo a coltivare la resistenza che è necessaria per creare spazi resilienti di mutualità e di attrito.

Eingeweide, by Marco Donnarumma x Margherita Pevere. Nella foto: Donnarumma fotografato da Manuel Vason

Come vedi il rapporto dell’Italia con la New Media Art? Pensi che oggi un artista italiano emergente debba necessariamente andare all’estero per avere delle possibilità di crescita in questo campo?

Questa è una domanda che mi viene posta spesso. Purtroppo penso di si. Ho lasciato l’Italia nel 2007, a 23 anni. Non è stato per niente facile, avevo pochi mezzi economici a disposizione, ma per fortuna il pieno supporto della mia famiglia. È stata questa la scelta che mi ha permesso di crescere, sviluppare la mia voce artistica e costruirmi una posizione dove l’arte è il mio mestiere a tempo pieno. Il problema in Italia non sono le comunità artistiche per se, anzi. Ci sono tantissime persone in Italia che si impegnano costantemente per creare gli spazi che servono ad un certo tipo di espressione che non accetta i canoni più comuni e ritritati. Il problema, per me, è la società in generale e chi la governa. Ad oggi non vedo cambiamenti significativi in questo senso, anzi, quei pochi passi avanti che si erano fatti sembrano essere ripercorsi all’indietro. Detto questo, spostarsi non è sempre facile, quindi il mio consiglio per una giovane artista è di affacciarsi fuori dall’Italia, fare delle esperienze e capire se fuori dal paese c’è qualcosa che in Italia non si può avere. Ognuno deve fare le proprie scelte in base ai propri bisogni, al proprio contesto e situazione. Sicuramente ho un infinito rispetto per chi rimane in Italia e si da da fare, nonostante le difficoltà, saranno loro a cambiare qualcosa!

Riferimenti e contatti
Marco Donnaruma official website
Copyright
Tutte le immagini © Marco Donnaruma
Immagine in evidenza: Eingeweide, by Marco Donnarumma x Margherita Pevere. Nella foto: Donnarumma fotografato da Manuel Vason