di Teresa Lanna.

“Stimo la sua singolarità nel guardare il mondo, che emerge nelle installazioni, sconcertanti rappresentazioni del tragico cambiamento delle cose […]“.
Queste le parole di Hermann Nitsch (29 agosto 1938, Vienna – 18 aprile 2022, Mistelbach), tra i maggiori protagonisti dell’arte internazionale dalla seconda metà del Novecento, a proposito dell’artista Andrea Cusumano; pittore, scultore, performer e regista, la cui opera è talmente eclettica da rendere davvero arduo qualunque tentativo di definirla in maniera univoca.
La ricerca e sperimentazione di Cusumano, negli anni, si è concentrata in modo particolare sulle potenzialità drammaturgiche dello spazio e sulla molteplicità delle interazioni spaziali e prossemiche tra pubblico ed azione scenica, sia in ambito installativo che in quello performativo e drammaturgico.
Andrea Cusumano nasce a Palermo nel 1973. Si forma come psicologo clinico all’Università di Palermo, come scenografo al Central Saint Martins College of Art and Design di Londra, e consegue il dottorato in Scienze Teatrali Musicali e Spettacolari all’Università di Ferrara. Non ancora maggiorenne, segue i corsi di disegno e pittura di Georg Eisler e poi quelli di pittura gestuale di Hermann Nitsch, presso la Internationale Sommerakademie di Salisburgo.
Tra le diverse esperienze lavorative che arricchiscono un curriculum di tutto rispetto, si segnalano, a partire dal 1997, quella di direttore dell’orchestra del Teatro delle Orge e dei Misteri di Hermann Nitsch (Vienna), per il quale esegue tutte le prime esecuzioni assolute; ad esempio al Zwei-Tage-Spiel a Prinzendorf, al Burghtheater di Vienna, al Schauspiel di Lipsia, alla Nationalgalerie im Hamburger Bahnhof di Berlino, all’Arsenale di Verona con l’Orchestra dell’Arena, alla Biblioteca Angelica di Roma, al Museo Nitsch in Bassa Austria, alla Havana Biennial a Cuba ed alla Ex-Theresa a Mexico City.
Tra il 1997 ed il 2003 vive a Vienna, dove collabora alla realizzazione del 6-Tages-Spiel di Hermann Nitsch ed espone nella galleria Hohenlohe und Kalb, e nella Sammlung Volpinum. In Italia espone presso la Galleria Cattelani di Modena.
La sua ricerca sullo spazio e sul suo potenziale drammaturgico lo porta a fondare –insieme, tra gli altri, ad Uwe Brückner, Ludwig Fromm, Frank den Oudsten ed Heiner Wilharm – la ESI – European Scenography Initiative, che raccoglie diversi ricercatori ed accademici europei sul tema della drammaturgia dello spazio e presenta la sua ricerca alla PQ Quadriennale di Praga.
Focalizza ed amplia la sua ricerca sull’autore polacco Taddeusz Kantor, presso la Cricoteka di Cracovia, instaurando una stretta collaborazione con l’ex attrice del Cricot 2, Mira Rychlicka. Con lei esplora la possibilità di tradurre la sua ricerca sullo spazio in azioni teatrali, dando vita, nel 2006, presso la Galeria Krzysztofory di Cracovia, al laboratorio Drabina Jakuba, ispirato a Le botteghe color cannella di Bruno Schulz.
Parallelamente alla ricerca teatrale ed installativa, si confronta con i linguaggi della Live Art e della performance con progetti come Praxis (2001), presso lo Studio Morra di via Calabritto, a Napoli; inoltre, con Le ali della farfalla, insieme a Marino Formenti per la rassegna Corpus: Arte in Azione, a cura di Adriana Rispoli ed Eugenio Viola per il Napoli Teatro Festival al MADRE di Napoli, e tanti altri.
Per oltre quattro anni, tra il 2014 e il 2019, a Palermo, ricopre il ruolo di assessore alla Cultura, curando, tra gli altri, i progetti Manifesta 12 – Il Giardino Planetario e Palermo Capitale Italiana della Cultura 2018, ed ideando, inoltre, la BAM – Biennale Arcipelago Mediterraneo.
Dal 2019 apre un nuovo atelier a Palermo ed inizia a lavorare ad un progetto di sintesi transdisciplinare che lo riporta alla bidimensionalità pittorica e che chiama, simbolicamente, Retablo, ispirandosi alla tradizione spagnola che traduceva la dimensione della drammaturgia liturgica in grandi pale d’altare inquadrate architettonicamente e frutto di un dialogo armonico tra diversi linguaggi.
Le creazioni di Andrea Cusumano sono presenti in diverse collezioni private internazionali ed al MAK-Museum fur Angewande Kunst di Vienna, al Museo delle Trame Mediterranee-Fondazione Orestiadi di Gibellina, alla Sammlung Volpinum di Monaco di Baviera, ed, inoltre, nella Collezione Cattelani di Modena, il cui corpus centrale è costituito da un cospicuo nucleo di opere a tematica religiosa legate al linguaggio contemporaneo, nel quale emerge l’inclinazione degli artisti ad interpretare universalmente valori condivisi legati al territorio comune della spiritualità e dell’arte.

L’intervista
[Teresa Lanna]: Il suo percorso artistico si snoda attraverso una molteplicità di tecniche, materiali, media e luoghi. C’è un’opera, tra le tante create, che sceglierebbe come suo alter ego, e perché?
[Andrea Cusumano]: Forse il trittico L’ultima cena, opera del 1995 in cui confluiscono le mie esperienze con l’arte gestuale di Hermann Nitsch e dell’Azionismo, la mia formazione sulla pittura monumentale italiana, il mio interesse per il teatro e la dimensione rituale. È un’opera della mia “immaturità” da cui non ho mai voluto separarmi e che, di fatto, ha, in modo premonitore, enunciato molti dei miei successivi interessi di ricerca ed estetici.

Una delle sue più recenti personali, Raumdramaturgie (Drammaturgia dello spazio, ndr.), al Nitsch Museum di Mistelbach (Austria), racconta la sua carriera trentennale, dagli inizi degli anni Novanta sino ad oggi. Essa è come un tentativo di rappresentare un’arte che vuole essere totale. C’è un messaggio, o un fil rouge, che accomuna le sue creazioni, e se sì, qual è?
La mia ricerca non è messianica, e non è mossa da un messaggio. È, piuttosto, mossa da una passione epistemologica ed estetica; nel senso che, per me, creare è come indagare la conoscenza, e questa indagine è il contenuto della mia comunicazione. Le singole opere potrebbero avere un messaggio, ma sarebbe riduttivo voler rinchiudere una ricerca estetica e la sua complessità in un unico messaggio. Non credo, peraltro, in un’arte che voglia comunicare univocamente un contenuto. Il messaggio è l’arte dell’interpretazione, mentre il mistero è l’arte dell’opera.
Tra le sue installazioni, c’è Palikè/il Cristo degli specchi (2021), dove gli specchi hanno la funzione di amplificare gli spazi. Cosa rappresenta, invece, la figura del Cristo e, se vuole dircelo, che rapporto ha lei, in generale, con la spiritualità?
I cristi di Palikè sono tutti cristi fragili, incompleti, accidentati. Ci siamo abituati al fatto che l’immagine di un uomo sofferente inchiodato ad un tronco, sia quella di un trionfatore. Eppure, è l’immagine massima di chi è stato sopraffatto, di un uomo fragile e sconfitto. È la sua divinità che lo rende vincitore, la sua resurrezione. Ecco, volevo rappresentare in modo ancor più palese questa immagine di sconfitta, di sofferenza dell’uomo – Cristo. Faccio questo sullo sfondo di uno specchio; un’immagine che non esiste finché non saremo noi ad osservarla, e nell’osservarla non possiamo che esserne parte. Cristo è fragile al nostro cospetto. Noi abbiamo arrogantemente relegato la divinità ad un mondo che non ci appartiene più; la nostra alienazione è sempre più palese. Ciò ha molto a che fare con il mio rapporto con il divino: nel mio lavoro cerco costantemente di ritrovare, attraverso la ritualità e l’intensità, la nostra natura divina. Non è Dio che si deve fare uomo, ma l’uomo che deve farsi dio, e per far ciò ha bisogno, paradossalmente, di molta umiltà, perché il divino non è l’espressione della vittoria e della forza, ma della totalità e dell’universalità in cui la nostra esperienza particolare è immersa. Farsi dio è un modo per mettere da parte il proprio protagonismo ed immergersi nell’amore universale.


Nella serie dei Neri (2022/2023) l’essere umano è quasi come inghiottito dal buio che lo circonda; c’è un particolare significato che sottende tale rappresentazione?
Non lo so; forse si ricollega a quanto detto precedentemente sull’universalità della nostra esperienza. Il nero, comunque, per me ha a che fare con il rigore formale. Trovo il bianco più simbolico del nero. Il mio sfondo neutro ideale è nero, mentre il mio luogo di significato è pieno di luce: è bianco.
Nel suo ricco curriculum accademico c’è anche la specializzazione come psicologo clinico; cosa l’ha spinta ad intraprendere questa scelta e come ha influenzato, negli anni, il suo modus operandi?
Sono sempre stato affascinato dalla conoscenza, dall’epistemologia, dalle teorie evolutive sulla costruzione della coscienza e del sapere. Inoltre, ho sempre subìto una fascinazione per le esperienze estreme e borderline di personalità; sono queste le storie che ho voglia di raccontare. Storie che, da un lato, sconvolgono, ma che definiscono anche il limite della nostra umanità. Gli studi in psicologia mi hanno aiutato ad approfondire questi aspetti e a renderli parte integrante della mia ricerca artistica. Inoltre, nel mio corso di studi, ho potuto approfondire il senso e la modalità di funzionamento psicodinamico dei gruppi, e questo ha avuto una enorme portata sulla comprensione del mio lavoro. È anche grazie a questa consapevolezza ed esperienza che sono uscito dal solipsismo della creazione artistica, per abbracciare processi di creazione collettiva in ambito performativo e teatrale. È stato un percorso di studi per me molto formativo ed ho avuto ottimi maestri, anche se non ho mai fatto lo psicologo di professione.
Tra il 2014 e il 2019, lei è stato assessore alla cultura del comune di Palermo, sua città natale. Ci racconta come è stata questa esperienza e le sensazioni che prova ogni volta che ha modo di ritornare nel capoluogo siciliano?
È stata un’esperienza esaltante e molto impegnativa; estenuante, direi. Abbiamo raggiunto importanti risultati e, credo, portato la città ad un alto grado di esposizione e narrazione, naturalmente grazie anche a progetti come Manifesta e Capitale italiana della cultura nel 2018. Tuttavia, non ho mai avuto ambizioni politiche; ho abbracciato questo progetto per amore della mia città e per condivisione di visione dell’allora sindaco Leoluca Orlando, che ha saputo in modo inequivocabile esprimere una politica basata sulla legalità e sui diritti della persona. Questo in tempo di grandi migrazioni in transito per la Sicilia e di politiche spesso miopi e semplificatorie. Difficile riassumere in poche parole quest’esperienza, ma posso dire che ho imparato molto in quegli anni, che lo rifarei subito, ma anche che non lo rifarò. Comunque, a Palermo ho deciso di restare; è il luogo in cui attualmente vivo con la mia famiglia e nel quale ho installato il mio atelier. Ovviamente, giro spesso il mondo per mostre o altri progetti.


Tra i tanti materiali da lei utilizzati per le sue opere, vi sono terracotta, vernice, gesso, pastello, etc. Ce n’è uno, in particolare, col quale si sente più a suo agio, o che è più semplice da “gestire”?
In realtà, non ho un mezzo prediletto e quelli che uso li adopero perché so padroneggiarli. Tuttavia, mi sono sempre e profondamente sentito pittore. Anche quando faccio scultura, quando faccio teatro e quando scrivo.
Nel 1998 lei si trasferisce a Prinzendorf (Austria) presso la sede del Teatro delle orge e dei misteri (o.m.t.) di Hermann Nitsch, dove assumerà il ruolo di direttore musicale e d’orchestra dell’ O.M.T.,trascrivendo ed eseguendo gran parte delle prime esecuzioni sinfoniche e performative di Nitsch, sino alla sua morte. Ci racconta la figura di Nitsch, come artista e come uomo, e se c’è qualche aneddoto, episodio, particolarità, che le fa piacere condividere del rapporto che ha avuto con lui?
Nitsch è stato il mio maestro quando ero giovanissimo; poi, sono stato il suo assistente da giovane artista, e per diversi anni il direttore musicale del suo teatro sino a dopo la sua morte. Posso dire che gran parte della mia vita adulta l’ho vissuta in strettissimo rapporto con lui.
Ci siamo voluti molto bene, ed abbiamo condiviso molte passioni. Eravamo molto amici. Che dire… Era un uomo straordinario, con una sensibilità ed un’intensità fuori dal comune.
Sono stato molto fortunato ad averlo incontrato sulla mia strada. Spesso è stato mistificato il suo lavoro, e questa mistificazione ha finito per appiccicargli addosso l’etichetta di un uomo violento, sadico; cosa che lo ha fatto molto soffrire, ma che non lo ha piegato minimamente. In realtà, era una personalità estremamente complessa, ma anche un uomo dolcissimo e capace di grande umanità. Un gigante.
Riferimenti e contatti
Andrea Cusumano official website
Immagine in evidenza
Andrea Cusumano – Palikè/Il Cristo degli specchi, particolare, mix media, 2021, foto di Mike Palazzotto (part.)
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