Arte e identità di genere in Italia. Opere, performance e installazioni di artisti italiani

di Giorgia Mocci.

Attorno al tema dell’identità di genere ci sono stati tanti artisti che hanno svolto degli studi approfonditi sperimentando, plasmando e rendendolo un soggetto delle proprie creazioni. Alcuni di loro esprimono le proprie opinioni in merito mediante degli approfonditi studi sociali con i quali raccontano il vissuto dei soggetti rappresentati, altri invece realizzano in maniera appassionata scatti fotografici che li conducono a riflessioni molto profonde su temi di grande portata sociale e identitaria.

Altri hanno voluto rappresentare temi come la parità di genere, la libertà e l’affermazione della propria identità attraverso il corpo, dando vita ad opere performative molto significative e di forte impatto. Molti sono gli artisti italiani che hanno esplorato nelle proprie opere il tema del gender, dell’identità e della libertà, con lo scopo di dar voce a quelle comunità escluse dalla società e dalla cultura.

Alessia Rollo – Queer is now – Federica e Irene

Alessia Rollo è un’artista italiana che, nelle sue opere, approfondisce il tema del gender grazie a un lavoro svolto presso i centri antidiscriminazione presenti sul territorio nazionale, i quali al loro interno hanno dei servizi e degli spazi volti ad aiutare la comunità Queer. Le sue fotografie ripercorrono il vissuto di sedici persone della comunità LGBTQIA+. La fotografia diventa quindi uno strumento di riflessione con il quale l’artista indaga a fondo sul grande lavoro svolto dai centri antidiscriminazione che combattono ogni forma di discriminazione legata all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

Nei suoi sedici scatti, Alessia Rollo descrive delle “identità in movimento”, inserendo anche elementi di tipo pittorico e testuale, con cui cerca di dare spazio al vissuto e alle storie delle persone ritratte. Intento dell’artista è quello di portare avanti dei progetti che siano capaci di approfondire il concetto di comunità. Le persone ritratte hanno bisogno dei centri antidiscriminazione, considerati come spazi sicuri in cui poter liberamente esplorare la propria identità. Nei suoi lavori analizza anche il significato sociale di opere di artiste e di persone appartenenti alla comunità non-binary e transgender.

Massimiliano Faralli – Onda pride

Dal 2019 Massimiliano Faralli ha iniziato a seguire e documentare le manifestazioni Pride che si sono tenute in varie città, sottolineandone i momenti salienti. Le sue fotografie mostrano uno spaccato sociale contemporaneo in cui le persone della comunità LGBTQIA+ esprimono in maniera energica e dinamica la loro voglia di libertà, con l’intento di affermare la propria unicità e rivendicare i propri diritti.

La fotografia di Faralli è dunque un’indagine sociale il cui scopo è quello di rappresentare l’orgoglio e la gioia di questa comunità. Quest’ultima vuole semplicemente affermare la propria identità e libertà, combattendo ogni forma di discriminazione. Si tratta di un progetto frutto di uno studio realizzato con grande cura nel corso degli anni, il cui obiettivo è quello di diffondere tematiche importanti a livello socioculturale: la libertà, la lotta contro la discriminazione, la possibilità di affermare la propria identità e di vivere liberamente, l’affermazione dei propri diritti sociali.

Ruben Montini – Città del Messico

Ruben Montini è un artista sardo operante nel Nord Italia. Mediante il linguaggio performativo e per mezzo di installazioni si fa portavoce della comunità Queer, in particolare in merito alla sua rivendicazione dei diritti tra gli anni ‘60 e ‘70 del Novecento. Molte delle sue opere lo vedono, inoltre, coinvolto in prima persona: il suo corpo diventa proprio il medium principale dei suoi lavori. Con la sua arte performativa, diventa il simbolo delle rivendicazioni identitarie iniziate a partire dagli anni ‘70. È uno dei pochi artisti italiani che porta avanti le rivendicazioni della comunità Queer con lo scopo di favorirne l’inclusione all’interno della società.

Le sue sono opere di tipo visivo, costituite da lettere realizzate in broccato sardo e da testi cuciti personalmente che richiamano la tradizione. I temi affrontati in modo ricorrente sono la sessualità, l’amore, la paura degli esseri umani nella loro contemporaneità. Nelle sue opere in generale come in quelle dedicate alla comunità Queer, Raul Montini annulla ogni forma di barriera tra arte e vita. Il corpo diventa un elemento fondamentale, che si pone talvolta in modo provocatorio e richiede anche un coinvolgimento del pubblico.

Artista molto discusso, Montini è una delle più importanti voci narranti delle battaglie attuali della comunità LGBTQ+ italiana. Nelle sue performance artistiche, il corpo diventa il simbolo della sofferenza provata dalle persone appartenenti a questa comunità. Ad esempio ha realizzato una collezione dal titolo “Pale d’altare”, che include 210 drappi provenienti da ogni parte del mondo. Questo progetto nasce da una collaborazione con le comunità LGBTQ+ mondiali a cui è stato richiesto di riportare sui drappi vicende di omobitransfobia. Facendo conoscere questi episodi di discriminazione, l’artista spera di incentivare la costruzione di una società laica e libera.

Monica Bonvicini

Operante in campo artistico dagli anni ‘90, Monica Bonvicini ha condotto un’analisi molto approfondita sul rapporto esistente tra architettura, luoghi del potere, genere e spazio. Nelle sue opere critica la crisi delle città, attribuendone le cause alle Istituzioni e alla cultura. Con i suoi lavori e le sue installazioni site-specific, il suo scopo è quello di indicare una via per ridefinire l’architettura urbana e liberarla dall’impostazione esclusivamente basata su organizzazioni di potere guidate da uomini.

Nelle sue opere tutto è rivisto in un’ottica di recupero della parità di genere. Il suo obiettivo è quello di colpire la società patriarcale, coinvolgendo il pubblico. Il suo mettere in discussione l’architettura di una città è, per esempio, un modo pratico volto a stravolgere i rapporti di potere, di identità e di genere in una società contemporanea ancora dominata dal patriarcato. Tutto ciò che è legato al potere è impostato su logiche maschiliste, dunque Monica Bonvicini ha come intento quello di colpirle, rivoluzionando in primo luogo il modo di pensare.

Tutti i suoi lavori sono il riflesso delle tematiche che le stanno più a cuore: il femminismo, la libertà, l’abbattimento del maschilismo e del patriarcato. Lo spazio viene da lei visto come la conquista di un campo di battaglia immaginario in cui si celano punti di vista femministi. Si rafforza in questo modo la teoria secondo cui l’architettura, riunificata, è fondamentale per la costruzione di una cultura/civiltà: il contemporaneo. Siamo di fronte a una grande rivoluzione artistica che considera l’architettura come un campo in cui si può manifestare la libertà e dove le donne diventano le protagoniste stesse di questo grande cambiamento. Il suo attacco alle strutture di potere è molto forte e viene effettuato non in modo sottile, bensì tagliente. Nelle sue opere si ripete l’utilizzo di elementi come ferramenta scure, cinghie nere, catene e specchi ripetuti, che sono armi personali efficaci e simboliche.

Artista Queer, Andrea Di Giovanni ha lasciato l’Italia all’età di 19 anni per trasferirsi a Londra. Sin da quando era bambino la musica è stata per lui una fonte di salvezza con cui ha potuto esprimere le proprie emozioni, il proprio vissuto. Nelle sue canzoni è riuscito ad esprimere al meglio la sua creatività affermando la sua libertà di espressione e d’essere. Mentre in Italia non è riuscito ad ambientarsi e ad essere accettato dalla società per il suo modo di vestire, nella capitale inglese è stato in grado di trovare sé stesso e realizzare dei testi musicali in cui ha approfondito tematiche che gli stanno a cuore relative alla comunità Queer.

In Rebel, album di grande successo, spaziando nella scelta di vari generi musicali come il gospel, il pop, e l’R’nB, ha modo di raccontare la sua storia personale mediante delle immagini molto forti; in Stand Up invece vuole comunicare che sono i Queer a doversi aprire verso chi è chiuso. Ama scrivere dei testi senza pronomi, in quanto vuole far comprendere come il linguaggio musicale sia universale, capace di abbattere ogni sorta di barriera, anche quelle legate al genere. Da sempre la musica è stata per lui una forma di liberazione, uno strumento che lo rende invincibile. Ottiene ancora più visibilità nel momento in cui il suo carisma e il suo talento vengono notati da Ru Paul, noto cantante e conduttore del programma televisivo Ru Paul’s Drag Race, fondato sulla competizione tra drag queen, che appoggia Di Giovanni come artista. In un mondo in cui si sente sempre più libero, Andrea Di Giovanni è riuscito a superare le barriere di una società “maschilista” potendo finalmente affermare la propria individualità.

Giorgia Ohanesian Nardin ama definirsi “artista meticcia queer”. E’ molto conosciuta per il suo lavoro nei campi della danza e della arti performative, in cui pone al centro delle sue performance il corpo queer/non bianco con lo scopo di veicolare la sua autodeterminazione. Il suo primo solo è Dolly (2012) con cui ha vinto tantissimi premi nazionali e internazionali. Dolly descrive la figura di Barbie, ancora oggi un’icona non solo per le bambine. In questa celebre performance Nardin, acquisendo il linguaggio della classica donna in carriera, affascinante, sensuale e classico oggetto sessuale, si rende una sorta di soprammobile, mostrando però un’aria curiosa e infantile. Si presenta con un’aria di disconnessione, come se al centro della sua performance ci fosse soltanto un corpo e non un io interiore.

Altro suo importante lavoro coreografico è All dressed up with nowhere to go, vincitore del Premio Prospettiva Danza 2013. Sono presenti una cornice vuota e due corpi: uno femminile e uno maschile. Nell’ambito dello spettacolo sono presenti tutta una serie di azioni quotidiane normali che vengono strappate dal mondo reale per essere poi inserite in un contesto considerato etereo, in quanto privo dello scorrere del tempo. Si tratta di corpi pieni di materia, che risultano essere consumati da un vero e proprio sentire “politico” che li attraversa implodendo in un fulcro che sembra nascondersi allo sguardo umano. Nell’interpretazione coreografica solo una gamba sembra stare ferma, come una sorta di piedistallo che ha come scopo quello di reggere il peso della realtà o, secondo un’altra interpretazione, come una sorta di tronco che cerca di scavare e di premere la terra anche se in maniera inutile, visto che alla fine perde l’equilibrio a causa della forza di gravità. È in questo modo che i corpi dei danzatori al centro della scena reagiscono trasformandosi continuamente e avendo consapevolezza del proprio movimento.
Giorgia Mocci

L’articolo e “work in progress” ed è aperto all’inserimento di altri contributi.
Gli artisti italiani che desiderano pubblicare qui i propri interventi sulla tematica dell’identità di genere possono inviare la segnalazione a redazione at arte.go.it

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Andrea Di Giovanni (cover from website)
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