Gender Fluid

Bill Viola. La Wunderkammer delle emozioni

di Paola Milicia.

Bill Viola. La Wunderkammer delle emozioni

Doppio evento per la città di Roma che vede la riapertura della storica residenza di Palazzo Bonaparte, pronta ad accogliere la monografica del videoartista statunitense: Bill Viola. Icons of light. Un ritorno alla normalità che s’intreccia con un secondo, metaforico e affettivo, compiuto dall’artista nei suoi oltre quarant’anni di carriera, a conferma del legame di sangue e professionale con l’Italia, instauratosi già a partire dagli anni Settanta.

Complice il buio avvolgente delle sale che riverbera un senso di mistero e di attesa, le quattordici installazioni in mostra si palesano dentro una Wunderkammer, un gabinetto delle meraviglie, un luogo adibito all’osservazione e alla custodia degli “oggetti” emozionali, un laboratorio di recupero e di riconciliazione con l’esperienza umana. Da subito, ci si lascia affascinare dall’osservazione, a tratti, intima e solitaria, ma sale anche la consapevolezza del valore spintamene scenico, intrinseco ed estrinseco, di cui sono impregnate le opere. Tanto che domandarsi in quale misura si instaura l’interazione tra il messaggio filosofico e la performance, quanto, cioè, possono risultare adiacenti e in equilibrio queste due componenti tra loro e con chi osserva, trova un suo prepotente spazio di dubbio.

L’arte di Bill Viola dialoga principalmente con il pensiero filosofico e mistico da una parte (l’approccio antropologico, la visione del mondo relativistica, il mistero e l’ignoto come processi conoscitivi dell’umano essere), e con quello dei performance studies, con la Theaterwissenschaftorientale, con la cinematografia cinese e coreana, dall’altra. Dialoga, soprattutto, con la modernità, attraverso un medium che ha dimostrato e continua a dimostrare come sia possibile riformulare il profilo di una cultura intrinsecamente “liquida” e di un’arte che, licenziando le sue specifiche convenzioni statiche della cornice e del quadro, della pittura e della scultura, si racconta per mezzo di “dispositivi” alternativi quali il corpo, il suono, il tempo, lo spazio.

Bill Viola- Water Martyr, 2014
Executive producer: Kira Perov. Performer: John Hay. © Bill Viola Studio

Come un evento, le videoinstallazioni di Viola sono scandite da sequenze, per giunta, tragiche ed enigmatiche, che si riproducono dentro il ciclo autopoietico dell’esecuzione artistica, esattamente come in un ciclo di vita sulla terra: c’è un inizio di scena, una nascita, uno sviluppo, un cambiamento, una perdita, una fine, un commiato…, dentro ai quali si installano altri processi, altrettante unità di tempo frammentato, quali mangiare, camminare, dormire, piangere, atti ad accentuare la natura transiente dell’umanità. L’arte di Bill Viola non è fondata sulla coerenza cronologica, non nel senso che segue il tragitto causa- effetto razionale, ma è comunque scandita da una rappresentazione cronologicamente sensibile: c’è un tempo riavvolto che si ripete in un tenace andamento “anacronico” e che simula il riavvolgimento e la ripetizione della scena (rewinding e replay), tracciando semmai una traiettoria fatale ed emozionale.

Stanchezza, disperazione, mistero, sofferenza declinano gli atteggiamenti del corpo che si trasforma, così, in un misuratore catarifrangente di esperienza e di conoscenza: come quando assorbe il suono paesaggistico, fondendosi con la Natura in un ritorno ad essa (The Reflecting pool, 1977-‘79); o quando, in cammino, i corpi di una madre e suo figlio infrangono una tempesta di polvere (Ancestors, 2012); quando, a metà strada tra elevazione spirituale e inabissamento, il corpo di un uomo irrompe nella staticità dell’acqua di cui si potrebbe dire: come di una vita embrionale che si installa nell’utero e comincia ad esistere, o addirittura, di una fecondazione invisibile (Ascension, 2000); o quando il corpo è martirizzato dal fuoco, dall’acqua e dall’aria di cui subisce la potenza e la sconfitta senza opporvi resistenza, anzi, riconciliandosi con il cataclisma, l’apocalisse, la fine… (Water Nartyr, Fire Martyr, Air Martyr, Earth Martyr, 2014).

Di fondo, la convinzione che la profonda realtà di un destino personale si possa manifestare in avvenimenti discontinui e apparentemente insignificanti. Ciò che conta non è la comprensione delle azioni compiute dall’artista o dal performer, ma le esperienze che suscita in chi osserva: ciò che conta, in breve, è la trasformazione di coloro che partecipano alla performance, quella connessione invisibile di emozioni in slow motion. Ed è in questo frangente che entra in azione il dubbio tra speculazione e sperimentazione artistica.

La tesi sostenuta da Michael Fried nel saggio Art and objecthood (Arte e Oggettualità, 1967) è che l’arte, a partire dalle esperienze minimali, è teatrale, e che “si corrompe ogni qualvolta si avvicina alla condizione del teatro”. La salvezza dell’arte moderna – sostiene – consisterebbe nella sua capacità di sconfiggere la teatralità.

L’opera di Bill Viola viola la pura contemplazione estetica, che se da una parte ne costituisce il pregio, dall’altra, si vincola troppo alla eterna formula dell’arte contemporanea che preme sulla necessità di identificare arte e vita. Albergano costantemente queste due polarità: sembra che la volontà di catalogare la vita umana, pure riuscita in alcune videoinstallazioni più specificatamente paesaggistiche, o dove c’è un elemento naturale a spezzare la scena, debba patire anche un’esasperazione recitativa, teatrologica e performativa, capace di generare disaffezione, dubbio, perplessità.

Paola Milicia

Bill Viola. Icons of light

fino a domenica 26 Giugno 2022
Bill Viola. Icons of light
a cura di Kira Perov

PALAZZO BONAPARTE
Via del Corso, 295B, 00186 Roma