
“Bologna cruciale 1914” è il significativo titolo di un celebre saggio di Carlo Ludovico Ragghianti volto ad evidenziare l’originale posizione assunta da un gruppo di allora giovanissimi artisti formatisi nel capoluogo felsineo, come Mario Bacchelli, Giacomo Vespignani, Severo Pezzati e sopratutto Licini e Morandi i quali, già nei mesi precedenti la grande guerra, sulla base di una intelligente apertura e di un subitaneo aggiornamento, erano giunti a dare una originale sintesi dei più recenti e cospicui portati dell’avanguardia internazionale, distinguendosi così sia nei confronti della “… pittura di condivisione della Secessione, sia di fronte alla pittura dei futuristi… “‘1 allora in auge fra i novatori, non senza, già in quegli anni manifestare dei singolari presagi di un possibile e rivoluzionario ritorno ai primitivi di una tradizione italiana, all’epoca ancora tutta da delineare e da ridefinire al di fuori delle secche dei molteplici accademismi.

Più giovane pressoché di una generazione, essendo nato a Bologna nel 1902, Bruno Saetti verrà invece, fin dagli esordi, palesando attitudini e propensioni del tutto diverse, che lo indurranno sia a respingere ogni immediata conversione ai temi e alle forme dell’avanguardia, a lungo avvertiti come astratti ed estranei alla propria più sentita realtà inferiore, sia sopratutto ponendosi così in atteggiamento per molti aspetti divergente rispetto alle ipotesi preconizzate dalla suddetta generazione di artisti bolognesi anche per ciò che concerne la riscoperta della tradizione, da lui non più intesa come momento eversivo rispetto alle contingenze delle espressioni artistiche all’epoca dominanti (come autorevole riferimento cioè per una rottura di continuità) bensì, all’opposto, come lenta, vivente sedimentazione e stratificazione, sommessa crescita di impulsi profondamente autoctoni e connaturati.
Ciò che non solo lo indurrà, come affermerà il suo più assiduo e fedele studioso ed esegeta, Franco Solmi, a rimanere “… sostanzialmente un isolato” rispetto ai movimenti e ai gruppi che via via si verranno formando in Italia fin dal primo dopoguerra, ma anche in seguito, allorché, meglio chiarite ed approfondite le proprie istanze creative, egli verrà aprendosi anche a molteplici apporti esterni, sempre tuttavia distillati attraverso il filtro riplasmante del proprio sentimento e del proprio animo, lo esimerà altresì dal piegarsi a quella sorta di complesso di inferiorità nei confronti dell’arte straniera, specie transalpina, che in particolari circostanze e svolgimenti della cultura italiana tra le due guerre determineranno in molti tra gli artisti che inizieranno ad essere attivi nella penisola a partire dagli anni ’30.
Completati nel 1924 gli studi all’Accademia Clementina diplomandosi in disegno architettonico, avendo per insegnanti Augusto Majani per il corso di pittura e, rispettivamente Silverio Montaguti e Edoardo Collamarini per quello di scultura e per quello di architettura, Bruno Saetti verrà ben presto imponendosi per la significativa ampiezza delle sue qualità istintive all’attenzione del pubblico e della critica bolognese, partecipando con crescente successo alle varie collettive ed ai concorsi che si svolgevano nel capoluogo felsineo, mostrandosi subito in grado di reggere il confronto con pittori, già affermati nell’ambito cittadino e regionale, come Bertelli, Berlocchi, Protti, Fioresi, Pizzirani e Romagnoli.
Le opere di esordio di Saetti, incentrandosi fin d’ora (oltre che su una breve serie di morbidi e sensibili nudi femminili, su alcune significative rappresentazioni di suonatori e di armonici “concertini” e, per quanto riguarda il paesaggio, sulla tranquilla scoperta delle vicine balze dell’Appennino) principalmente sulla pacata evocazione degli affetti familiari e sulla cordiale ed amabile raffigurazione delle cose e degli ambienti quotidiani – soggetti questi ultimi che pur attraverso notevoli variazioni di concezione e di resa pittorica, rimarranno pressoché costanti lungo tutto l’arco della creatività saettiana – manifestano già una significativa capacità da parte del giovane artista di individuare immediatamente i temi più prossimi e congeniali al proprio animo e alla propria sensibilità.
Pur collocandosi nell’alveo del moderato naturalismo emiliano; per molti versi in bilico fra il sincero e franco senso del reale di Guglielmo Pizzirani e il chiaro e svaporante crepuscolarismo di Giovanni Romagnoli, gli incunaboli dell’opera saettiana tuttavia si distinguono, non solo, come ha osservato ancora il Solmi, per una qualche “… ruvidezza di fondo ed un che di solidamente terragno… “6, ma sopratutto per un significativo amore per la materia pittorica, ricca e consistente, pastosa e fermentante, ma altresì aperta alle modulazioni della vibrazione luminosa e, per certi aspetti, ancora di matrice ottocentesca.

Tratto dal Catalogo Generale dell’Opera
Volume Primo
“Bruno Saetti – Le opere ad olio e affresco”
a cura di Franco Solmi
testo di Dino Marangon
Edizioni Castaldi / Feltre
1991