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E prima vennero l’asino e la scimmia – Mostra virtuale interattiva 3d

lunedì 30 Gennaio 2023 - martedì 28 Febbraio 2023

E prima vennero l'asino e la scimmia - Mostra virtuale interattiva 3d

sede: Arte.Go.Gallery (Online).
cura: Mariateresa Zagone.

Il progetto di questa mostra si sviluppa su una serrata ma equilibrata polifonia basata su tre elementi imprescindibili: la ricerca concettuale, lo sperimentalismo tecnico in continua evoluzione, l’ottimo stato di salute ed il vigore, ormai più che ventennale, di cui gode la pittura e la pittura figurativa in special modo e vuole porre l’accento, a partire dall’etimo della parola “animale”, su quella che ne è la qualità più evidente e, in qualche modo, più affratellante: il respiro.

L’animale ha rappresentato il primo soggetto della pittura, probabilmente il suo sangue è stato il primo pigmento utilizzato, un essere vivente che ha avuto inizialmente per l’uomo un ruolo magico, quello del messaggero, e rituale, col suo sacrificio. Tutto questo apre a una serie di riflessioni molto ampie; da un lato l’animale è visto nella sua bestialità, archetipo di ferocia e dominio sul più debole, dall’altro è quell’essere la cui danza vitale primordiale indica la vita stessa del vivente, divenendo tramite, quindi, fra uomo e natura.

Al di là dell’approccio tecnico e stilistico e indipendentemente dal giudizio critico più o meno “blasonato” e dalle tanto vituperate leggi di mercato alle quali poi molta critica si prostra, i linguaggi degli artisti scelti mi sono sembrati non solo interessanti ma combinabili, interagibili, compatibilmente dialoganti.

Inizialmente sono stata colpita da alcuni dipinti di asini e di scimmie benché poi le scelte iconografiche siano andate allargandosi.

I cinque artisti invitati a questo dialogo riportano l’animale a ciò che esso ha rappresentato lungo i millenni della storia e della psiche umane: un archetipo, l’anima totemica. Si svincolano così, e per fortuna, dai più recenti esiti internazionali in cui gli animali sono entrati nell’arte da morti, imbalsamati, scuoiati, immersi in liquami conservativi o con i loro resti sotto forma di pelli, pellicce, ossa e quant’altro. Trovo l’utilizzo di questi “reperti” organici che per alcuni artisti, oggi, sono diventati nuovi materiali con i quali rappresentare la fine della vita, concettualmente banale ed esprimo il mio personale scetticismo sul fatto che per rappresentare icasticamente la morte si debba ricorrere alla morte stessa, scetticismo non condiviso probabilmente dai più visto che quest’arte sembra essere molto apprezzata sia dalla critica che dal mercato. I cinque artisti sono pittori, utilizzano magistralmente la tecnica, sottolineano il ritorno amato ad essa.
Mariateresa Zagone

E prima vennero l’asino e la scimmia – Mostra virtuale interattiva 3d

La mostra online è terminata il 28 Febbraio 2023

E prima vennero l'asino e la scimmia - Mostra virtuale interattiva 3d

Marco Campori, in arte El Gato Chimney (Milano, 1981), è un artista autodidatta che inizia il suo percorso nel 1996, quando degli amici lo portano per la prima volta al “Muretto” di San Babila a Milano, noto punto di ritrovo della scena hip-hop locale. Da qui risalgono la folgorazione per il writing e i primi approcci al muro di strada poi divenuti interventi di street art. Al giro di boa con il nuovo millennio, l’artista si unisce alla crew meneghina Krudality, ben nota sulla scena internazionale, contraddistinta dallo stile più figurativo e dall’utilizzo di strumenti artistici non consoni ai writer tradizionali: pennelli, poster e adesivi sono la chiave di un cambiamento di mentalità, forse epocale, per tutta la scena street, segnando un effimero confine tra i fondamentalisti dello spray e la successiva generazione stick & stack. Lo pseudonimo scelto dall’artista è una combinazione di due elementi a lui cari, il gatto e il comignolo, soggetti principali dei suoi primi adesivi e poster. Segue una linea che abbraccia, oltre a tanta storia dell’arte, un simbolismo legato a certo folklore popolare, alla magia, all’esoterico. Un bestiario realizzato in punta di pennello con un’eleganza da illustrazione in cui, in un mondo non più antropico, vari animali nel loro brulicare carnevalesco incarnano vizi e virtù umani o archetipi ancestrali come nel caso dell’orso. Esso infatti, come attestato da varie tradizioni etnografiche, ci offre interessanti spiegazioni sulla contraddittorietà diventando simbolo, al tempo stesso, di energia guerriera e di affetto materno-filiale. L’orso è forse l’animale rispetto al quale l’uomo avverte maggiormente la sua posizione dicotomica nei confronti del mondo animale: familiarità e affinità da un lato, estraneità e opposizione dall’altro.

Marco Bettio e Giovanni Blanco, sono artisti profondamente concentrati sulla compattezza della stesura pittorica e sulla coerenza estetica ed etica di un mestiere che si risolve in sé senza retorica, nel quale ogni parola risulta di troppo. Nonostante ciò torna alla mente il titolo voluto da Gauiguin per quella maestosa tela che ne è il testamento “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?” proprio perché sia l’asino con la sua intelligente mansuetudine accettante (sarà questo il segreto della vita?), sia la scimmia, così tanto a noi imparentata nella morfé e forse anche nell’eidos, sono archetipi di quella vita fluente ferina e panica che anche noi, dimentichi, abbiamo abitato.

Marco Bettio è nato a Padova nel 1974 e dopo aver frequentato la scuola d’arte ha frequentato la sezione Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Durante gli anni accademici partecipa e organizza le sue prime mostre in spazi pubblici e privati. Nel 1996 si trasferisce a Pistoia, dove espone e inizia a collaborare con studi di architettura e interior design. Dal 2002 al 2014 ha vissuto e lavorato a Milano, collaborando con diverse gallerie e spazi indipendenti. Dal 2014 vive tra Torino e Aosta dove, nel 2015, espone nelle sale del museo archeologico regionale. Tra le sedi istituzionali più significative in cui ha esposto ci sono la Fonderia delle Arti di Roma (2013) e Palazzo Zenobio di Venezia (2012). Per lui la pittura rappresenta il luogo e il tempo del viaggio. Un viaggio che vede il desiderio come stimolo vitale, ma anche un viaggio che lo mantiene in relazione al luogo in cui vive e ai luoghi in cui ha vissuto. Così dipingere un animale è entrare in stretta relazione con l’essenza stessa del dipingere, qualcosa che ricerca sempre ma che in questi soggetti risulta amplificata. E’ infatti presente tutto ciò che gli risulta affascinante dipingere: le parti del muso, in cui è proprio il colore a creare volumi ed espressioni, parti più ariose, la pelliccia, dove spesso il gesto crea più del colore. Infine lo scintillio e lo splendore delle tinte, che si ritrovano nei riflessi dello sguardo, oppure, quando l’uomo entra in relazione con l’animale cercando di antropizzarlo attraverso la caricatura terribile del costume, nelle sete e nelle plastiche che diventano panneggi da circo. Il tutto va a dialogare con un colore che è spazio e atmosfera, ed è la somma dei pigmenti utilizzati per dipingere il soggetto.

Giovanni Blanco è nato a Ragusa nel 1980. Ha studiato pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e attualmente vive e lavora a Modica.
La sua ricerca espressiva si costella di un immaginario poetico concepito per cicli narrativi, dove ogni singola immagine è pensata come un frammento di un discorso più ampio, “plurale”, vivendo così l’esperienza della pittura come un mezzo e mai come un fine.
Al centro dell’universo metaforico animale di Blanco vi sono delle scimmie che rappresentano le figure dell’artista e del collezionista. Il tema della scimmia-spiega lo stesso artista- ‘è ricorrente nell’ambito della storia dell’arte, soprattutto nel Settecento, quando il ruolo dell’artista viene scardinato perché liberato dalle grandi commissioni della storia. Da un lato, questo lo farà emancipare da una produzione “servile”, a favore di una libertà più ampia – penso all’ultimo Goya – ma, allo stesso tempo, non riuscirà a sottrarsi da una crisi che in molti paragoneranno a un labirinto senza uscita’.

Salvo Catania Zingali è nato a Tripoli nel 1967 ma vive e lavora a Comiso (Rg), si è diplomato all’Accademia di Belle Arti di Agrigento. La sua pittura prende in prestito dal vissuto quotidiano anche molti animali, fra cui l’asino ma soprattutto i cani randagi, che paiono raccontare storie umili e prive di azione nonostante le fiere figure si staglino su sfondi monocromi di strade arse dal sole. Sono figure viste dall’alto, schiacciate al suolo e che proiettano ombre lunghissime che diventano altrettanti soggetti densi di silenzi. La sua è una ricerca di dignità e valore da tributare a situazioni e cose apparentemente insignificanti e banali che la pittura impregna di lirica malinconia e, a volte, di consapevole ironia.

Davide Puma è nato a Sanremo nel 1971. La sua visione del mondo, la natura e la riflessione spirituale sul posto occupato dall’uomo nell’universo permeano fortemente il suo lavoro seguendo i percorsi di una narrazione potente che, come un filo rosso, si dipana in tutta la sua produzione artistica. La sua pittura racconta gli animali e le piante con una pennellata leggera e vibrante dove il colore, da quello tiepolesco a quello impressionista, inventa nuovi alfabeti contemporanei. L’atmosfera è di fiaba, la luce sembra la controprova ottica dell’epiteto omerico della dea Aurora, “dalle dita di rosa”. Puma ri-crea un mondo lenticolare in ogni dettaglio che è possibile ritrovare nel mondo reale ma paradisiaco nell’insieme, un mondo non più antropocentrico ma biocentrico, in cui è la vita e il vivente in ogni sua forma ad essere soggetto, un mondo che incanta e seduce.

Immagine in evidenza: di Giovanni Blanco

 

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