Riccardo Fioretti. L’energia dell’emozione

sede: Chiesa di San Francesco a Camerano (Camerano, Ancona).

Le sue opere nascono nel suo studio, ma sono il frutto della vita vissuta, durante la quale come forma comunicativa sceglie la pittura, la realtà che si incrocia con la fantasia, tramite i colori che riempiono quel luogo magico che è il suo laboratorio.
La sua terra, il Conero, le sue radici, sono un riferimento fondamentale, che traspare chiaramente dalle sue opere, di ispirazione figurativa, nelle quali interviene con espressioni informali, con tagli di colore, e con materia che dona movimento all’opera stessa.

Le forme della realtà, pur essendo parte fondamentale, da cui Fioretti trae ispirazione, non sono particolarmente interessanti in se stesse ma sono il punto di partenza di un percorso che lo porta, in spazi meglio idonei ad esprimere il sentire profondo.
I colori sfuggono, dai confini, la costrizione dei limiti viene meno, creando dalla smaterializzazione stessa dell’esistente, panorami fluidi ed atmosfere in continuo divenire.
Ascoltando le sue opere, si va al di là del visibile, si entra in sintonia con l’intima aspirazione che Riccardo Fioretti rappresenta nelle proprie opere, che è quella di andare oltre, oltre la quotidianità, oltre gli spazi, e nella confluenza degli elementi, trovare il proprio appagamento.

L’artista ripercorre la sua esistenza in molte delle sue opere, mediante gli affetti cari, e con oggetti simbolici, rappresentativi, che si dissolvono anch’essi, senza confini e diventano eterei, simboli di vita che si fondono con ambienti aperti, nature nuove e nuovi viaggi.
È così che Riccardo Fioretti interpreta l’Emozione e la sua Energia.

“Benché ricca di fonti di ispirazione e di contaminazioni, la voce di Riccardo Fioretti si distingue per una sua coerenza poetica, che testimonia l’intenzione di dare vita a un proprio canto, ad una propria, particolare narrazione di sé e del mondo. Si parte da un momento preciso della storia della pittura italiana, quando, tra gli anni Cinquanta e Settanta, realismo ed espressionismo si toccarono, stimolati dagli sviluppi che in quei tempi conoscevano l’illustrazione, e soprattutto la fotografia. Un momento preciso, ma anche, diciamolo, poco esplorato, perché molto trasversale e difficile da catalogare: pensiamo, tra gli altri, al nostro quasi conterraneo Gigino Falconi, ma soprattutto a Giosetta Fioroni, solo di recente riconosciuta in tutta la sua importanza per l’arte del nostro Paese con una bellissima antologica al Museo del Novecento di Milano. Fioretti non ricalca, ma recupera lo spirito di quelle esplorazioni, estremamente libere, e riconosce la centralità del rapporto tra lo sguardo e l’oggetto guardato, della relazione tra soggetto e paesaggio, che si traduce ora in ambivalenza, ora in opposizione. Attorno a questo nucleo tematico, l’artista, come è giusto che sia, gioca: naviga nell’universo della fotografia, del digitale, del collage, dello strano multiverso visuale contemporaneo che viviamo tutti i giorni, smonta, rimonta, e infine ci sorprende, allagando ogni cosa di un colore liciniano, come se la pittura si facesse natura, una natura che si riprende ogni cosa nel momento stesso in cui crediamo di aver colto qualche forma. Una testimonianza di vita della pittura che assume tratti a volte drammatici, altre volte intimamente affettuosi, sempre attraversati da una vena di inquietudine e di incertezza che, poi, è la cifra del tempo che viviamo. ”
Paolo Marasca

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La mia musa (part.)