Fragilità e forza: il teatro umano di Alberto Giacometti

di Redazione Cultura.

Fragilità e forza: il teatro umano di Alberto Giacometti

Alberto Giacometti (1901-1966) è stato uno scultore, pittore e disegnatore svizzero, considerato uno dei maggiori artisti del XX secolo.
Nato a Borgonovo, in Svizzera, in una famiglia di artisti (suo padre Giovanni era un pittore post-impressionista), Alberto mostrò fin da giovane un precoce talento artistico. Studiò arte a Ginevra e poi a Parigi, dove si trasferì nel 1922 e frequentò l’Académie de la Grande Chaumière.

Negli anni ’30, Giacometti fu coinvolto nel movimento surrealista, creando opere scultoree che esploravano l’inconscio e il mondo onirico. Tuttavia, intorno alla metà del decennio, si allontanò dal Surrealismo e intraprese una profonda ricerca sulla figura umana e sulla sua percezione nello spazio.
Questo periodo segnò la nascita del suo stile distintivo, caratterizzato da figure filiformi, allungate in modo quasi innaturale, realizzate con superfici ruvide e vibranti. Il fratello Diego divenne un modello costante e un collaboratore essenziale nel suo lavoro.

Alberto Giacometti – Emmy Andriesse (Wikimedia Commons))

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’opera di Giacometti raggiunse la sua piena maturità e riconoscimento internazionale.
Le sue sculture, spesso solitarie o raggruppate in modo enigmatico, divennero icone dell’esistenza fragile e isolata dell’uomo moderno, riflettendo il clima esistenzialista dell’epoca.
Parallelamente alla scultura, Giacometti portò avanti una intensa attività pittorica e grafica, esplorando le stesse tematiche e ossessioni formali attraverso il disegno e la pittura.

Nel corso della sua carriera, espose in numerose mostre di prestigio e ricevette importanti riconoscimenti.
Morì a Coira, in Svizzera, nel 1966, lasciando un’eredità artistica potente e duratura che continua ad influenzare l’arte contemporanea. La sua opera è oggi conservata nei più importanti musei del mondo.

Alberto Giacometti – Paolo Monti – Servizio fotografico – Venezia, 1962, (Wikimedia Commons)

L’Evoluzione del suo stile: un percorso dalla sintesi all’allungamento radicale
Il percorso artistico di Alberto Giacometti è tutt’altro che lineare, segnato da una costante ricerca e da radicali trasformazioni stilistiche.

Nato nel 1901 in un ambiente artistico (suo padre Giovanni era un pittore post-impressionista), Giacometti si forma inizialmente in un clima figurativo tradizionale. Tuttavia, il suo trasferimento a Parigi negli anni ’20 lo introduce alle avanguardie artistiche, in particolare al Surrealismo. In questo periodo, la sua scultura si fa più astratta e concettuale. Opere come “Donna cucchiaio” (1927) o “La coppia (L’uomo e la donna)” (1931) testimoniano un interesse per le forme organiche stilizzate, per l’inconscio e per l’accostamento inatteso di oggetti e figure, tipico del linguaggio surrealista. Queste sculture evocano spesso un senso di mistero e di arcaicità, quasi fossero reperti di un mondo onirico.
Intorno alla metà degli anni ’30, Giacometti compie una svolta cruciale, allontanandosi dal Surrealismo e ritornando all’osservazione diretta della figura umana. Questo ritorno non significa un semplice recupero della tradizione, bensì una rilettura profondamente originale. Progressivamente, le sue figure iniziano a farsi più esili, allungate in modo quasi innaturale, come se fossero consumate dallo spazio circostante. Questa trasformazione non fu immediata, ma il risultato di una intensa ricerca sulla percezione e sulla rappresentazione della figura nello spazio.
È nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale che lo stile di Giacometti raggiunge la sua piena maturità e riconoscibilità. Le sue sculture diventano icone dell’esistenza fragile e isolata dell’uomo moderno. Le figure allungate, spesso solitarie o raggruppate in modo enigmatico, sembrano emergere da un vuoto denso, cariche di una silenziosa angoscia. Opere come “L’Uomo che cammina I” (1960) o le “Donne di Venezia” (serie realizzata per la Biennale del 1956) incarnano questa visione. Queste figure non sono idealizzate, ma portano i segni di una lavorazione tormentata, con superfici ruvide e irregolari che accentuano la loro fragilità.

Alberto Giacometti – XXXI Biennale di Venezia del 1962, fotografato da Paolo Monti (Wikimedia Commons)

Le sue tecniche scultoree: materia e processo al servizio dell’espressione
La tecnica scultorea di Giacometti è indissolubilmente legata alla sua visione artistica. Il suo approccio alla materia, sia essa gesso o bronzo, è diretto, quasi brutale, lasciando evidenti le tracce del processo creativo.

Molte delle sculture di Giacometti nascono come modelli in gesso. Questo materiale duttile gli permetteva di lavorare rapidamente, di aggiungere e sottrarre materia con gesti istintivi. Il gesso conserva l’impronta delle sue mani, le increspature, i graffi, testimoniando la lotta dell’artista con la forma. Spesso, queste sculture in gesso venivano poi dipinte, arricchendosi di ulteriori sfumature espressive.
Il passaggio al bronzo, attraverso il processo della fusione a cera persa, non comportava per Giacometti una semplice riproduzione. Al contrario, egli interveniva attivamente anche in questa fase, rilavorando la superficie del bronzo con scalpelli e lime per accentuare la rugosità e la vibrazione della forma. La patina, spesso scura e opaca, contribuiva a conferire alle sculture un senso di antichità e di immobilità sospesa nel tempo.
È fondamentale sottolineare come il disegno fosse parte integrante del processo scultoreo di Giacometti. Attraverso il disegno, egli esplorava le proporzioni, il rapporto tra la figura e lo spazio, la resa della luce e dell’ombra. I suoi disegni, spesso realizzati con linee sottili e ripetute, quasi ossessive, testimoniano la sua incessante ricerca della forma essenziale. Questa pratica costante del disegno alimentava direttamente la sua scultura.

Alberto Giacometti dans son atelier de Montparnasse à Paris, photographié par sa femme Annette (Wikimedia Commons)

I temi ricorrenti nella sua Arte: un’esplorazione dell’esistenza
L’opera di Giacometti è intrisa di temi profondi e universali, che riflettono la sua personale visione del mondo e la condizione umana.

Molte delle sue figure, soprattutto quelle singole, emanano un forte senso di isolamento. Sono immerse in uno spazio vuoto, apparentemente incomunicabili, come se fossero intrappolate nella propria interiorità. Questa sensazione di solitudine riflette probabilmente l’esperienza esistenziale dell’uomo moderno, alienato e fragile di fronte all’immensità del mondo.
Giacometti era profondamente interessato alla percezione dello spazio e al modo in cui la figura umana lo occupa e ne è condizionata. Le sue figure allungate sembrano quasi dissolversi nello spazio circostante, ma allo stesso tempo lo definiscono con la loro presenza esile ma intensa. Lo spazio non è un semplice sfondo, ma un elemento attivo che interagisce con la scultura, accentuandone la fragilità o la monumentalità.
Le sculture di Giacometti sono spesso interpretate come allegorie della condizione umana, con le sue fragilità, le sue incertezze e la sua ineluttabile finitezza. Le figure allungate e sofferenti possono essere viste come metafore dell’angoscia esistenziale, del senso di precarietà e della difficoltà di trovare un significato nella vita.
In alcune opere, come le “Figure tra loro” o le “Piazze”, si percepisce un senso di sospensione temporale, come se le figure fossero fantasmi che popolano uno spazio della memoria. Le loro posture immobili e il loro sguardo assente evocano un passato indefinito, un ricordo sfumato.

Giovanni e Annetta Giacometti con bambini Alberto, Diego, Bruno e Ottilia. fotografia in bianco e nero su carta fotografica (Andrea Garbald, Wikimedia Commons)

L’importanza del fratello Diego: modello e collaboratore indispensabile
La figura di Diego Giacometti, fratello minore di Alberto, riveste un ruolo cruciale nella sua vita e nella sua opera. Diego non fu solo un modello costante per le sue sculture e i suoi disegni, ma anche un collaboratore fidato e un sostegno fondamentale.

Diego posò innumerevoli volte per Alberto, diventando il volto e il corpo attraverso cui l’artista esplorava le sue ossessioni formali e concettuali. La familiarità e l’intimità del rapporto tra i due fratelli permisero ad Alberto di concentrarsi sulla resa espressiva e sulla ricerca interiore, senza la necessità di mediazioni o convenzioni.
Diego fu anche un abile artigiano e collaborò attivamente alla realizzazione delle sculture, soprattutto nella fase della fusione in bronzo e nella creazione delle patine. La sua competenza tecnica e la sua profonda comprensione del lavoro di Alberto furono essenziali per la concretizzazione delle sue visioni artistiche.
Al di là del ruolo di modello e collaboratore, Diego fu una presenza costante nella vita di Alberto, un punto di riferimento affettivo e intellettuale. Il loro legame fraterno fu un elemento fondamentale di stabilità in un’esistenza spesso tormentata.

Alberto Giacometti (1901 – 1966), peintre et sculpteur (Fondation pour la photographie, editeur, Wikimedia Commons)

Il suo rapporto con la pittura e il disegno: due linguaggi complementari
Sebbene Giacometti sia celebre soprattutto per la sua scultura, la pittura e il disegno ebbero un ruolo altrettanto importante nella sua pratica artistica.

Questi due linguaggi non furono discipline separate, ma piuttosto complementari, attraverso cui esplorava le stesse tematiche e le stesse ossessioni formali.
Come accennato, il disegno fu per Giacometti un vero e proprio laboratorio di idee. Attraverso la ripetizione ossessiva del tratto, egli cercava di cogliere l’essenza della forma, la sua struttura interna e il suo rapporto con lo spazio. I suoi disegni, spesso realizzati con matita sottile o carboncino, sono caratterizzati da un’intensa concentrazione e da una continua interrogazione visiva.
La pittura di Giacometti, pur meno nota della sua scultura, rivela un interesse per il colore e per la resa della luce. I suoi ritratti e le sue nature morte sono caratterizzati da una pennellata nervosa e da una gamma cromatica spesso limitata, ma intensa. La pittura gli permetteva di esplorare la tridimensionalità della figura su una superficie bidimensionale, anticipando in qualche modo le sue ricerche scultoree.
Il disegno e la pittura non erano semplici studi preparatori per la scultura, ma forme espressive autonome che dialogavano costantemente con il suo lavoro tridimensionale. Spesso, un’idea nasceva da un disegno, si sviluppava in una scultura e trovava una nuova interpretazione in un dipinto, creando un circuito creativo continuo.

L’influenza del contesto storico e filosofico: l’eco dell’Esistenzialismo
L’opera di Giacometti non può essere pienamente compresa senza considerare il contesto storico e filosofico in cui si sviluppò. Il trauma delle due guerre mondiali e la diffusione della filosofia esistenzialista ebbero un’influenza significativa sulla sua visione artistica.

La devastazione e l’incertezza del periodo postbellico crearono un clima di profonda riflessione sulla condizione umana, sulla sua fragilità e sulla sua solitudine. Le figure esili e sofferenti di Giacometti possono essere interpretate come una risposta viscerale a questo senso di smarrimento e di precarietà.
L’esistenzialismo, con la sua enfasi sull’esistenza individuale, sulla libertà, sulla responsabilità e sull’angoscia di fronte al non-senso della vita, trovò un’eco potente nell’arte di Giacometti. Le sue figure solitarie, immerse nel vuoto, sembrano incarnare la condizione dell’essere umano gettato nel mondo, costretto a definire la propria essenza attraverso le proprie scelte. Il suo rapporto con figure chiave dell’esistenzialismo, come Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, fu anche personale e intellettuale. Sartre scrisse un importante saggio sulla sua opera, intitolato “La ricerca dell’assoluto”.
In un’epoca dominata dall’astrattismo, il ritorno di Giacometti alla figura umana rappresentò una scelta controcorrente. Tuttavia, la sua non fu una semplice riproposizione della tradizione, ma una radicale reinvenzione della figura, filtrata attraverso la sensibilità del suo tempo e carica di un nuovo significato esistenziale.

Analisi di opere specifiche: icone dell’Arte del Novecento
Per concludere questa nostra analisi, soffermiamoci brevemente su alcune opere iconiche di Alberto Giacometti:
“L’Uomo che cammina I” (1960)
Questa scultura in bronzo è forse l’opera più celebre di Giacometti. La figura allungata, con la sua superficie ruvida e vibrante, sembra avanzare con passo incerto ma determinato. Incarna la fragilità e la forza dell’essere umano in cammino attraverso l’esistenza, un simbolo potente della condizione umana.
“La Place” (1948)
Quest’opera rappresenta un gruppo di figure isolate, collocate su una base stretta e allungata, che evoca uno spazio urbano desolato. Le figure, pur vicine, sembrano distanti e incomunicabili, accentuando il tema dell’isolamento e della solitudine nella modernità.
“Le Donne di Venezia” (1956)
Questa serie di sculture femminili, create per la Biennale di Venezia, presenta figure alte e slanciate, con corpi sottili e superfici lavorate. Le loro pose frontali e i loro sguardi fissi conferiscono loro una presenza enigmatica e arcaica, quasi fossero idoli di un’antica civiltà.
“Testa su una canna” (1947)
Quest’opera, con la sua testa piccola e intensa posta in cima a un corpo filiforme, esprime una forte tensione tra la fragilità fisica e la forza interiore. La verticalità della canna accentua la solitudine e l’elevazione spirituale della figura.

Attraverso queste opere, e molte altre, Alberto Giacometti ha lasciato un segno indelebile nell’arte del Novecento, offrendo una visione profondamente umana e intensa della condizione esistenziale. La sua capacità di trasformare la fragilità in forza espressiva continua ad affascinare e a interrogare lo spettatore.

Maggiori informazioni: Fondation Giacometti
Immagine in evidenza: Alberto Giacometti (1901 – 1966), peintre et sculpteur (Fondation pour la photographie, editeur, Wikimedia Commons)