La memoria svelata. Intervista a Maurizio Pometti

di Mariateresa Zagone.

La memoria svelata. Intervista a Maurizio Pometti

Le opere di Maurizio Pometti sono abitate da un senso di velata, inquieta malinconia.
La scelta dei soggetti, dell’inquadratura pittorica-tanto simile a quella fotografica-, del colore dato a tocchi che si affastellano legandosi come fibre del vivente formano il tessuto di memorie lontane costruite anche attraverso la scelta di colori abbassati di tono che attingono ad una palette fredda più in uso in area nord europea che in quella mediterranea.
È come se queste memorie e questi ricordi non dovessero manifestarsi completamente, come se ci fosse la volontà di lasciarli sospesi nello spazio altro del dipinto, in un’eterna attesa nella quale definirsi meglio.
Le forme rimangono parzialmente nascoste, velate dalle pennellate cariche di colore tanto da trattenerle in quel territorio indefinito della mente in cui, appunto, sono custoditi intimi segreti e memorie personali.
L’azione pittorica, catartica, diviene quindi la strada maestra per liberarli e la misura che l’artista sceglie di volta in volta per il disvelamento.
Immergendosi nell’opera di Pometti si prova il senso della nostalgia, dolce e malinconica, di un tempo trascorso, di un tempo più lento legato all’infanzia, di un tempo che ogni osservatore può sperimentare come personale.

L’intervista

[Mariateresa Zagone] Da dove nasce la tua ricerca?

Maurizio Pometti

[Maurizio Pometti] Parto principalmente dalla figura umana, dal ritratto. Da diversi anni lavoro con la fotografia, recupero vecchie foto che poi reinvento secondo il mio sentire e quello del quadro stesso.

La tua pittura è fatta di gesto lieve e vibra di luce. Quando hai affinato questa tecnica?

È stato un processo graduale, che è cresciuto nel tempo, qualcosa che volevo e che cerco di migliorare sempre aggiungendo e togliendo qualcosa, baso tutto su questo eterno equilibrio. Per me è fondamentale che un dipinto o un disegno vibri e abbia una certa tensione.

La tua sembra una realtà fuggevole, è legata anche a luoghi fisici o sono solo luoghi della memoria?

Sono luoghi che in pittura prendono una propria vita, che siano fisici o della memoria. Certi luoghi li ho vissuti, quando lavoro su delle foto personali, in altri casi non conosco i luoghi che ritraggo e la pittura è un modo possibile per conoscerli.

Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?

La memoria è vita e in quanto vita io credo che sia un grande dono. Mi piace pensare che con il recupero delle vecchie foto mi prendo cura di un ricordo spesso dimenticato o smarrito. Conservare la memoria attraverso la pittura per me è una responsabilità.

È vero che il primo atto di un’opera è sempre autobiografico?

Credo che un’opera d’arte parli sempre dell’autore, di qualunque natura essa sia.

A ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Amo leggere il pensiero diretto dei grandi maestri e quindi i loro trattati, lettere e libri. Uno fra tutti le Lettere a Theo di Vincent Van Gogh, ed un libro illuminante è La pratica quotidiana della pittura di Gerhard Richter. I romanzi sono anche un grande nutrimento per il mio sentire, uno dei miei preferiti è Camere Separate di Pier Vittorio Tondelli ma anche Il giovane Holden di Salinger, Il Gattopardo di Tommasi di Lampedusa, Jane Eyre di Charlotte Brontë, Siddharta di Hemann Hesse e I racconti di Kafka (il classico La metamorfosi e Una relazione per un’Accademia). Leggere è un esperienza da regalarsi, i libri ti aprono a nuove dimensioni e a un vasto immaginario dove sei solo tu a crearlo in una determinata maniera, cosa importantissima per un pittore.

I tuoi azzurri danno l’impressione di tradurre perfettamente i colori del silenzio, è così?

Non uso gli azzurri pensando che debbano necessariamente rispondere ai colori del silenzio, li uso semplicemente perché sono una necessità interiore, un bisogno di introspezione che risponde a questo colore. Sono comunque contento che diano questa impressione, perché il silenzio per me ha una grande valenza.

Quando hai iniziato a dipingere e quando hai capito che volevi fare il pittore?

Disegno da sempre, ho iniziato da piccolo e non ho mai smesso. Dipingo da quando avevo circa vent’anni senza nessuna guida e in maniera acerba, alcuni semi però erano già presenti. Ho iniziato poi l’Accademia di Belle Arti a ventitré anni e pochi anni dopo ho deciso che questo doveva essere il mio lavoro. Oggi sono assolutamente certo che voglio vivere solo di pittura.

Hai scelto la figurazione, e della figurazione hai scelto la figura umana come soggetto principale, ma chi sono i tuoi uomini, gli adolescenti, i bambini che diventano protagonisti delle tue tele?

Parto da vecchie foto e spesso sono persone che non conosco, non so se siano vive o morte, in altri casi sono i miei famigliari, amici o me stesso. Questo non sapere mi stimola a immaginare situazioni possibili. In ogni caso diventano tutti “altro”, manifestazione della mia pittura, i miei fantasmi, le mie tensioni, il mio sentire delle cose. Ma forse sono solo tutti autoritratti.

La tua figurazione è decisamente evocativa, non realistica, non fotografica, non didascalica. In che direzione vai?

Proprio nella direzione dell’evocazione. Per me un’ottima opera d’arte di qualsiasi natura essa sia non descrive mai, perché non ha ragione di farlo.

Cos’è l’evanescenza?

Camminare di notte al buio in un prato con la sola luce lunare e non capire, a un certo punto, se quello che sto vivendo sia vero o un sogno.

Che cosa accade nel mondo che i tuoi dipinti racchiudono?

Ancora nel mondo ci si ferma ogni tanto per apprezzare la semplicità di un momento.

Un artista del passato che avresti voluto conoscere e frequentare.

In realtà non so se vorrei davvero incontrare un artista del passato, mi sembra già impossibile incontrare i grandi maestri di oggi e spesso può essere una delusione incontrare il proprio mito. Ma se proprio dovessi scegliere un artista del passato non potrei non pensare a Rembrandt, sarebbe stato bellissimo lavorare in bottega con un genio del genere.

Cosa racconti. oggi, con la pittura?

Quello che da sempre si è raccontato, l’uomo. Non invento nulla, però lo faccio a modo mio.

La tua è una pittura delicata, arrendevole alla dolcezza. Le tue opere ci parlano del ricordo e della sua parziale rimozione ma trovo anche che siano sottilmente erotiche. Concordi?

Non sempre riconosco della dolcezza nel mio lavoro, almeno spesso io non mi sento con questo stato d’animo mentre lavoro. Penso che l’erotismo non totalmente dichiarato sia più intenso e curioso.

Hai partecipato più volte ad Arteam Cup, parlaci di questa esperienza che ti ha visto per due volte finalista. Quali sono i tuoi programmi per l’immediato futuro?

Ho partecipato ad Arteam Cup due volte come finalista, nel 2016 e di recente quest’anno. É una realtà di alto livello e consolidata nel mondo dell’arte, sicuramente è stata una grande opportunità per far conoscere il mio lavoro a livello professionale e ne sono orgoglioso.
Tra i miei programmi a febbraio ci sarà a Monza alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Leo Galleries, con cui collaboro da diversi anni, la bipersonale del Premio Morlotti-Imbersago a cura di Simona Bartolena, Giorgio Seveso e Chiara Gatti, in quanto ho vinto la diciassettesima edizione del Premio insieme a Zuzana Pernicova. Sto lavorando per una prossima collettiva al nord Italia, ma non posso dire altro, e sono principalmente impegnato a finire il Biennio Specialistico in Pittura a Catania. Il mio obbiettivo più grande è di viaggiare all’estero ed avere uno studio dove poter trovare una mia dimensione.

Contatti
Maurizio Pometti – Instagram

Maurizio Pometti è nato a Catania nel 1987 dove ha conseguito il diploma accademico di primo livello in pittura all’Accademia di Belle Arti con il massimo dei voti. Collabora attivamente con gallerie italiane ed estere, è stato sia finalista che vincitore di premi importanti nonché di numerose residenze.

Immagine in evidenza: Maurizio Pometti – Forse credevamo di avere braccia troppo grandi per abbracciare il mondo, e non era vero, olio su tela, cm 100×120, 2021 (part.)
Tutte le immagini: © Maurizio Pometti