Il culto delle muse al quale si consacrava il museum antico, è forse soltanto una prima versione di ciò che noi chiamiamo oggi la cultura.
Non è un caso che il termine abbia trovato il suo re-impiego in Italia e che la nozione corrispondente si sia formata nel Rinascimento.
I suoi sviluppi si sono talmente ramificati e ci sono così familiari che ci dimentichiamo di chiedercene il perché.
Eppure, è una grande peripezia storica questa tendenza all’accumulazione rispettosa delle opere del passato, da cui l’Italia ha tratto gloria e prestigio.
Ogni civiltà offre agli uomini rifugi, luoghi di raccoglimento, di ripiego o d’evasione.
‘Essi non sono necessariamente associati all’arte e da questa definiti: gli eremi, le cellule monastiche, i camerini di studio si definiscono al contrario per la nudità e il rifiuto dell’ornamento.
Ma assai presto, nella penisola, si è manifestata, probabilmente sotto l’impulso di ciò che si è convenuto di denominare umanesimo, una tendenza a guarnire di quadri, di ninnoli, di “talismani” intellettuali e di simboli, lo studiolo dell’erudito: la biblioteca non basta più al Petrarca, che ha la sua “icona” di Giotto, la tavola di Simone Martini, le sue medaglie.
Gli intellettuali fiorentini del Quattrocento si allestiranno così dei piccoli santuari personali, sorta di musei-miniatura paragonabili a ciò che i grandi potevano offrirsi allora, su più ampia scala naturalmente.
La dimora medicea della via Larga, con le sue svariate collezioni, rappresenta il punto di convergenza del “tesoro” del principe e dello studiolo dell’intellettuale.
A Urbino, Federico da Montefeltro non esita ad accoppiare due oratori, quello dello Spirito Santo e quello delle muse.
Un po’ dovunque, in Italia, sussistono, fortunatamente conservate, le testimonianze di ciò che fu la preoccupazione di costruire luoghi specifici dedicati “otio et studio”; quadri celebri ne hanno restituito il fascino e la funzione espliciti.
Sono la qualità della scelta, le poche opere trattenute e coccolate, il colore personale dell’insieme che conferiscono un senso a questi “musei privati”, simili all’impronta d’incavo d’uno spirito.
Il movimento parallelo verso l’accumulazione pubblica d’opere d’arte ha lasciato in Italia esempi sorprendenti fin dal Trecento.
Come dovunque in Occidente, ma, sembrerebbe, con ancor maggiore costanza e accanimento, le chiese sono illimitatamente guarnite di statue, di dipinti, di oreficerie… al punto da rigurgitare di ” tesori ” e di opere d’ogni sorta.
Prodigioso e sconcertante accompagnamento della vita in comune, di cui le chiese sono la sede.
Codesto ruolo di ricettacolo costantemente accresciuto non è facile come sembra a spiegarsi e a comprendersi.
Ha provocato a più riprese, fin dal XVI secolo indi, più attivamente nel XVIII, spostamenti, depositi in magazzino e vendite, che tutti gli storici d’arte antica conoscono bene.
Ma in definitiva, in una maniera generale e veramente notevole, l’Italia, che non ha conosciuto ne la Riforma, ne le violenze rivoluzionarie di cui ha sofferto, per esempio, il patrimonio francese, ha preservato qualche cosa d’essenziale della situazione del passato.
Gli aggiornamenti della Chiesa, i rinnovamenti e i restauri operati dai servizi, non hanno pregiudicato radicalmente, come altrove, codesto curioso privilegio storico della continuità.
Un ragionamento analogo varrebbe per le dimore signorili e i palazzi.
La tesaurizzazione vi si manifesta presto con le gallerie di quadri, l’introduzione delle antichità, i gabinetti di medaglie, di pietre preziose, di gioielli, che rendono tanto interessanti gli inventari medicei per il XV e XVI secolo, quelli di Mantova così notevoli, prima della grande cessione del 1624.
I trasferimenti, come quello della biblioteca d’Urbino al Vaticano, le vendite, gli accordi dinastici, i raggruppamenti familiari, hanno spostato le opere senza distruggerle.
Gli inventari Barberini, la cui pubblicazione è assai utile, permettono a poco a poco di raccapezzarcisi.
C’è sempre qualcuno per raccogliere ciò che andrebbe perduto, salvo poi a negoziarlo un po’ più tardi.
Una delle attrattive della storia dell’arte italiana è dovuta a tali comportamenti contrastanti nei riguardi del patrimonio…
Andrea Emiliani
tratto dal volume: “I Musei”
Collana “Capire l’Italia”
Ed.Touring Club Italiano
Milano
1980