L’arte di Francesco Diluca: un’incessante ricerca dell’armonia che lega ogni cosa

di Teresa Lanna.

L’uomo è parte della Natura; e viceversa. Entrambi sono, a loro volta, anelli di una catena che non si spezza, se non per collegare altri elementi d’infinite forme e dimensioni, in un incessante dialogo tra forma e contenuto, che dimostra l’esistenza di una forte connessione fra tutte le cose.
Ne è pienamente convinto Francesco Diluca, che ha fatto del rapporto Uomo-Natura, il centro di gravità attorno al quale, da sempre, ruota il suo percorso artistico.

L’intervista

Il suo rapporto con pittura e scultura è iniziato oltre vent’anni fa presso l’Accademia di Brera, dove si è laureato nel 2004. Qual è stata la sua prima esposizione personale e cosa ha influenzato il suo interesse verso il connubio Uomo-Natura?

Della mia prima personale ricordo il forte desiderio di confrontarmi con lo spazio assegnato e di armonizzarlo con l’ambiente circostante. La figura umana ed il mondo della natura sono sempre stati il centro di gravità del mio lavoro; attraverso i simboli, cerco, infatti, possibili dialoghi. Ernesto Giuntini, il curatore della mia nuova mostra personale, ha recentemente coniato un termine che spiega molto bene la mia curiosa visione delle cose.

La sua prima mostra di rilievo è stata Salon I 1999 presso il Palazzo della Permanente di Milano. Quali erano le opere esposte?

Ho un bel ricordo del Salon I; è stata una mostra emozionante. All’epoca ero giovanissimo; fu il docente di anatomia, con molto orgoglio, a presentarmi alla commissione. In quell’occasione, esposi due lavori di medie dimensioni: il primo lavoro era un disegno, ed in particolare un volto fatto con grafite ed ossido di ferro; l’altra opera, decisamente più grande, era una scultura in metallo e pietra.

Le sue opere partono sempre dalla figura umana, mettendone in risalto gli organi interni; simbolicamente, è come dire: “Non siamo macchine, ma esseri umani”?

Noi esseri umani siamo Natura. Le mie sculture rappresentano ibridazioni umane; cerco una forte connessione con tutte le cose. Guardando i miei lavori si percepisce un incessante dialogo fra forma e contenuto; credo, infatti, in una natura che si espande e genera nuove realtà. Personalmente, penso che non potremmo mai essere macchine. Siamo Natura.

Nelle sue opere, troviamo una commistione di materiali; soprattutto il ferro, che lei trasforma a seconda della figura che intende definire. Oltre alla sua formazione accademica, ha avuto modo di affinare la lavorazione dei metalli frequentando anche qualche fabbro o artigiano?

Lavoro il metallo da ventisei anni, da autodidatta. Ho imparato ad utilizzare diversi tipi di saldatori; un fabbro direbbe che li uso in un modo barbarico, ma in maniera molto efficace. Mi piace sbagliare! Trovare nell’errore nuove possibilità creative mi stimola ogni giorno. Non ho mai frequentato né fabbri né artigiani.

Lei omaggia spesso il mondo vegetale, integrandone i simboli (come le foglie) all’interno della figura umana; è un messaggio che vuole inviare al mondo affinché non rovini l’ambiente?

L’essere umano è una creatura imprevedibile; se, attraverso il mio lavoro, ci sarà un cambiamento sociale rispettando l’ambiente, ne sarò felice! Ma non è questa la ragione per cui, da tempo, creo opere che raffigurano uomini – natura. Il motivo? Non so spiegarlo.

Le è capitato di ricevere proposte di valore sull’utilizzo delle sue opere per campagne ambientaliste?

No, mai. Sarebbe interessante, però.

Nella scultura Post Fata Resurgo, in filato metallico, lei pone al centro dell’attenzione il fuoco; qual è sua funzione e cosa rappresenta, per lei, quest’elemento?

“Post Fata Resurgo” è un lavoro sul tempo presente; il fuoco è solo un mezzo per rendere vivo il materiale. Come la candela, che deve consumarsi per far luce, anche il filato metallico si consuma cambiando la sua struttura fisica, trovando nella caduta la sua bellezza più autentica.

Tra le varie mostre di rilievo, tenutesi nel corso degli anni, c’è quella del 2022, dal titolo Giardini, allestita in spazi storici della città di Lodi. Quali sono state le sculture esposte, e in base a quale criterio si sono scelti gli spazi in cui collocarle?

“Giardini” è stata una mostra monumentale, con 150 opere e sette sedi istituzionali; ha, quindi, richiesto un gran lavoro curatoriale. Ho cercato di creare un percorso legato ai luoghi e alla loro storia, coinvolgendo, nello specifico, il Museo Gorini, con la sua collezione “Anatomica”, l’antica biblioteca delle spezie all’interno del vecchio ospedale; inoltre, la chiesa dell’Angelo, l’antica sala dei Filippini all’interno della biblioteca Laudense ed il vecchio Linificio; tutti spazi con una propria storia ed un proprio simbolismo. Le opere sono state scelte rispettando un preciso pensiero; si tratta di giardini ideali, in cui lo spettatore ha potuto scoprire molteplici forme scultoree; entrando in contatto con l’architettura dei luoghi, poi, si sono create ulteriori fascinazioni. “Giardini” era stata pensata e creata prima della pandemia globale; il suo vernissage doveva aver luogo nel 2020, ma purtroppo, come molte altre esposizioni, è stata ferma per quasi due anni. Successivamente, dal 2022 ho deciso di amplificare la fruizione delle mostre, creando sul mio sito una sezione speciale, interattiva, che desse la possibilità a tutti di vedere, virtualmente, le varie locations, utilizzando delle telecamere 360° e generando, così, tridimensionalmente, la mappa dei vari spazi espositivi. Anche per la mostra genovese “Agapanto” è utilizzato questo metodo VR immersivo. Il vecchio Linificio Lodigiano, per esempio, è stato scelto proprio per testare le possibilità del VR 360°, dando così l’opportunità di scoprire un sito meraviglioso ma non fruibile fisicamente per ovvi motivi di sicurezza. Ho creato, quindi, un’istallazione all’interno del grande fabbricato, negando, però, una fruizione fisica del luogo; come è accaduto durante la pandemia. Bisogna porre interrogativi, rendere irraggiungibile un luogo, per poterlo scoprire ed apprezzare. Oggi, il Linificio è stato scelto per un grande lavoro di riqualificazione ambientale e culturale; nei prossimi anni, vi sorgerà un museo e delle strutture volte a valorizzare il luogo e la sua storia.

Francesco Diluca – Agapanto – Tempo Radicarsi rendering pergolato a colori

Agapanto, di cui ha parlato poc’anzi, è uno dei suoi ultimi progetti, concepiti all’interno di Palazzo Nicolosio Lomellino, a Genova. Perché questo titolo, e in cosa consiste?

“Agapanto” è il nome di un bellissimo fiore, molto presente nel meraviglioso giardino pensile del palazzo. La ricerca fatta su di esso ha generato nuovissime opere, che hanno dato vita, a loro volta, ad una mostra sul mare e sulle sue creature più nascoste e misteriose. Il piano nobile del palazzo ha ospitato le grandi sculture “Kura Halos” e “Rusticles” (un curioso batterio che vive nei relitti sommersi nutrendosi di metallo).

Infine; se dovesse scegliere un’opera che rappresenta, per qualche motivo particolare, il suo alter ego, quale sarebbe?

Si tratta di un piccolo lavoro che tengo in studio, ma non lo sento come un alter ego. L’opera è stata creata dopo un evento importante che mi ha cambiato la vita; essa mi ricorda, ogni giorno, la bellezza del tempo, della natura e dell’armonia che lega ogni cosa.

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Tutte le immagini: © Francesco Diluca
Immagine in evidenza: Francesco Diluca – Giardini, 2021, installation view

Francesco_Diluca – Germina, 2016, istallazione di 20 sculture, 180x60x40cm cad