Maternità, sorellanza, sacralità: il mondo gilianico di Jara Marzulli

di Mariateresa Zagone.

Di fronte al linguaggio e ai temi scelti da Jara Marzulli si può, di volta in volta,rimanere interdetti, colpiti, affascinati; sono sentimenti vari e contrastanti che, al contrario, non mutano davanti alla qualità altissima dei suoi dipinti fatti di una pittura pura, padrona dei suoi mezzi espressivi, rotonda come un accogliente corpo femminile, carnosa come un frutto maturo, inquieta come una donna consapevole che la sua dignità normativa è labile e che la montante marea nera di un mondo patrilineare e androcentrico è in agguato e ha troppi adepti.

Jara Marzulli sceglie deliberatamente di escludere il punto di vista maschile concentrando il suo sguardo sulla donna, sulla maternità, sul parto, sul dolore, sulla “sorellanza”, sul suo perduto ruolo iniziatico, sulla sua sacralità; ma anche sull’infanzia, sulla fascinazione di un momento ineunte da cui può scaturire tutto, l’inferno come il paradiso.

Le protagoniste delle sue tele, sempre donne o bambini, si accampano su sfondi neutri  animati da fiori, uccelli o insetti dal forte valore simbolico e hanno lasciato per strada, lungo il suo percorso di ricerca, la sfrontatezza dissacrante degli abbracci, delle pance gonfie, delle cicatrici e delle mani che le accarezzano, le identità celate da parrucche stranianti dai colori acidi, da bende che coprono il sesso nella mortificazione del corpo denunciata, agli inizi, dall’artista. I corpi delle sue donne sembrano possedere la potenza di dee madri, la potenza matriarcale dell’utero che è calice conviviale, Graal contenente l’unico sangue che non è ferita e morte. La sua pittura ha una cifra stilistica inconfondibile e coerente che si è ammorbidita nel tempo fino a giungere alla purezza lirica di opere come L’Allucinata del 2017, La Sibilla del 2021, Le sette rose del 2018 o La regina delle api del 2019, in cui gli elementi zoomorfi non brulicano più sullo sfondo mentre foglie e fiori, memori delle teatrali metamorfosi barocche, cominciano a spuntare da falangi, omeri, ciocche di capelli. La lenticolarità di certi particolari, poi, la luce degli occhi, le gocce del sudore o delle lacrime, la polpa succosa degli acini maturi o la lucentezza delle unghie rimandano allo stupore epidermico di una pittura concreta che trovo vicinissima, anche per la sua forza simbolica, alla pittura fiamminga del XV secolo con la quale sembra combinarsi il senso onirico di certe visioni preraffaellite e simboliste nonché quel senso del corpo che il dottor Freud aveva disvelato nelle sue pulsioni agli occhi di Klimt e di Schiele.

Jara Marzulli sembra un po’ Matrioska (come la Matrioska porta dentro di se un universo fatto di storie che stanno dentro altre storie – quelle individuali dentro quelle collettive, quelle collettive dentro quelle di “genere”) e un po’ Masciara messapica intenta a ricucire il filo di misteri e magie ancestrali per portarli davanti agli occhi degli spettatori come un altro finale possibile alla storia del mondo.

Jara Marzulli – Tria farta (Moire), 2017

L’intervista

[Mariateresa Zagone]: Chi è Jara Marzulli?

Jara Marzulli

[Jara Marzulli]: Se ti dicessi che mia madre pensava che da piccola fossi sorda? Per poi scoprire che mi isolavo in un mondo tutto mio, non perché non ascoltassi ma perché ho sempre avuto bisogno di metabolizzare tutto dentro di me, farlo fuoriuscire e filtrare attraverso il ricrearlo. Ho dovuto fare i conti con la realtà nuda e cruda da adulta e quindi molte caratteristiche d’anima hanno dovuto essere limate, forse troppo a volte, per cui gli elementi su cui si fondava la mia sensibilità si sono scissi. Quando riesco a trovare la giusta concentrazione e riappacificazione di ciò che sento fortemente, la potenza e la magia ritornano e riesco a trasmetterle sempre attraverso la mia arte.
Fondamentalmente la mia casa e la mia vita vanno in simbiosi con la quotidianità sempre sorprendente nelle fragilità, nei dolori e nelle grandi gioie che non provengono da un concetto di felicità ma dalla curiosità e apertura verso l’umanità.

Quando hai scoperto il tuo amore per la pittura?

Presto. Già disegnavo e usavo il colore più graficamente poi, ero all’ultimo anno del liceo artistico, chiesi al professore di mettermi a dipingere in un angolo, perché in quegli anni si faceva pratica soprattutto nel disegno. Così senza alcun consiglio incominciai ad innamorarmi della pittura ad olio, credo di poter leggere il mondo per cromie e variazioni tonali!

Cosa credi ti abbia dato l’essere nata in Puglia?

Sicuramente l’atmosfera, appunto, cromatica, la forte luce che bagna le campagne e i muri bianchi di queste città, nonché l’appartenenza ad aspetti rituali di questa terra.
Che poi il profeta non possa essere riconosciuto in patria si sa, ma adesso è “Matria” il concetto più universale e libero che ci possa essere, cambiando profeta in sacerdotessa.
Siamo in una fase di rivoluzione linguistica, che ben venga!

Anche ad uno sguardo non approfondito le tue opere comunicano un senso di autobiografismo. E’ così? Ce ne parli?

Sì, i periodi infatti si diversificano in base a ciò che sento, che provo nel corpo e dentro di me, nei cambiamenti della mia vita. Ho iniziato, appunto, sondando profondamente la visione delle ferite sul corpo della donna, i cambiamenti ciclici che non sono superficiali o scontati ma mettono in discussione la propria anima e carne costantemente, perché sono madre, compagna, sorella. Le opere raccontano me stessa ma attraverso gli occhi delle persone che incontro, le quali vengono trasportate da ciò che sento perché alla fine c’è interconnessione, in noi vivono pezzi di vita e di vibrazioni degli altri e delle altre. Racconto delle criticità quotidiane, dei combattimenti e contrasti interni, il ritorno all’infanzia come determinazione della propria essenza, anche attraverso i passaggi di crescita dei miei figli. Ultimamente sto provando a far emergere la riflessione sulle fragilità che stiamo percependo in maniera potente.

Che importanza ha la fotografia nella tua opera?

E’ molto importante. Attraverso lo studio fotografico chi posa mi dona qualcosa di sé e rende possibile il cogliere gli attimi delle proprie espressioni. Sono momenti il kmodello o la modella ripone fiducia in chi lo/la immortala in un movimento, in una tensione o nel lasciarsi andare. Tutte meraviglie che si trasformano in un lavoro rituale in pittura, fondamentale per avere un connubio con una riflessione più universale.

E la scenografia?

Pongo più attenzione alla persona sicuramente, la scenografia è qualcosa che può favorire l’immedesimazione del soggetto ad estraniarsi dalla realtà quotidiana e a salire su un palco intimo.

Il corpo, quello femminile, è centrale nel tuo linguaggio. Ce ne vuoi parlare?

Il corpo femminile ha una potenza che viene espressa nella sua trasformazione e accoglienza, perciò è messo sempre in discussione ed è vettore del nostro principale mezzo di comunicazione, di esternazione ma anche di contrasto. Fare luce su di esso significa essere consapevole di questa sacralità e scoprire ogni volta i dettagli meravigliosi.

Quali artisti o correnti artistiche hanno influenzato il tuo lavoro?

Leonardo Da Vinci, Caravaggio, Michelangelo, l’espressionismo austriaco, l’impressionismo francese, il verismo italiano.

Qual è il tuo rapporto col cinema?

Traggo ispirazione dalla fotografia che si utilizza nella costruzione dei film e dai movimenti ed espressioni delle attrici e attori, il mio occhio si ferma soprattutto su questi elementi, perciò faccio ricerca anche in questo ambito.

Quali sono gli autori della letteratura su cui ti sei formata?

Le sorelle Bronte, Jane Austen, Marguerite Duras, Margaret Mazzantini, Melania Mazzucco, Isabel Allende, Jung, James Hillman, Emily Dickinson, Sylvia Plath, Rilke, ma tanti altri autori e autrici contemporanei e non. Sono sempre in formazione.

Quale dovrebbe essere, secondo te, il ruolo di un’artista donna oggi in Italia?

Essere vigile e aperta per riflettere e agire per i cambiamenti nella nostra società. Richiede molto lavoro anche su stesse, ma abbiamo molta responsabilità sul presente e sul futuro.

Puoi definire la tua arte “politica”?

Penso che non si possa definire così, è piuttosto intima e introspettiva, benchè riguardi il nostro mostrarci nella società e nei nostri luoghi.

Una tua opera a cui sei particolarmente legata e perché?

Intro ventre”, l’apoteosi dell’essere madre, del legame con la propria figlia ma anche dei drammi interni che nascono dalla consapevolezza che un altro essere si aggrappa alla tua vita.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

I miei prossimi progetti sono, in questo momento di continuare la mia ricerca e di realizzare una nuova raccolta di opere fondata essenzialmente sulla inquietudine e la fragilità, al di là delle programmazioni di mostre in Italia e collaborazioni con gallerie e committenti del nord Europa. Il tutto in divenire, mi sono fermata un po’ di mesi per dedicarmi ad affrontare gli sconvolgimenti e i drammi nella mia vita, non temo nel comunicarlo.

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Tutte le immagini © Jara Marzulli
Immagine di copertina: Jara Marzulli – Il torrente di Ofelia, 2013
Immagine in evidenza: Jara Marzulli – La memoria del sole, olio su tela, 24×18 cm, 2022