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“Perdonami”. L’arte di Silvia Lorenzin tra addio e resurrezione

di Paola Milicia.

Silvia Lorenzin - Perdonami

Fotografa e scultrice, Silvia Lorenzin eredita sei oggetti-reliquie dalla scrivania di M. (persona amata scomparsa), e li posiziona dentro a urne di argilla da lei modellate, sigillate e cotte in bassa temperatura, risparmiandoli dalla perdita e dall’oblio permanenti.

Il processo dell’artista di raccogliere la terra, setacciarla, attendere il momento perché la si possa lavorare, se rimanda in tutto all’idea di un rito funebre, cela anche il desiderio ancestrale, biblico e divinatorio di creare, di dare forma e vita, o di prolungarla, di lasciare ai posteri qualcosa di sé, di “partorire” una platea di oggetti-significato, ora dotata di un valore rinnovato, e vergineo, attraverso la quale ci si possa confrontare, e da cui sopravvivere.

Smembrati da una separazione e insigniti di un messaggio di resurrezione e di eternità (ma anche di una nuova e personalissima funzionalità), gli oggetti perdono la loro antica consistenza per acquisirne una nuova, assieme a un significato simbolico e intimamente originale. Così mutati nella fisionomia e orfani di un luogo, gli oggetti, più vicini alla idea di salme private della loro anima, attribuiscono al progetto artistico “Perdonami” (2022) un valore migratorio spazio temporale che metaforicamente calca il ciclo di vita delle cose, e la caducità insolente e indisciplinata del tempo, ma contraddizione a parte, il progetto sembra conservare anche un grande potere fissativo e documentale di un episodio personale.

Silvia Lorenzin – Allestimento “Perdonami” in occasione della mostra “Out of blindness” a cura di Percorsi fotosensibili presso spazio Condominio, Milano, 2022

Il lavoro di Silvia Lorenzin è anzitutto quello di trattenere: trattenere un ricordo, archiviarlo, censurarlo (quanto avviene in cottura è un processo solo deducibile e immaginabile, proprio come avviene con la morte fisica), disarticolarlo e renderlo perpetuo, attraverso la sua materializzazione (l’oggetto) e la sua successiva ristrutturazione formale (la cottura), ovvero, la sua simultanea rievocazione e trasformazione, come se ad agire fosse una inconscia volontà di custodirne un senso unico ed esclusivo – immortale, appunto -, ma anche la necessità di conferirgli un valore sopraggiunto.

Ma a mutare è soprattutto la utilità di questi non-oggetti: la forma nuova che Lorenzin racconta non è più serenamente ed esclusivamente frutto del passato, ma appartiene già al suo domani, alla prossimità di vita non solo ricordata, ma in divenire. Perché confessar(si) un dolore e invocare un perdono, rivelano dopotutto una trasformazione alchemica dell’anima e dei sentimenti. In questo senso, il progetto è custode e simulacro di vita “rielaborata”, innescata, e motrice.

Tra addio e resurrezione, l’arte di Silvia Lorenzin si avvicina a una pratica di meditazione al servizio di una consapevolezza espansa, potenziata e aumentata che non censura l’esperienza dolorosa né la resistenza, semmai le integra in un duplice percorso di rimembranza e riabilitazione episodica, di cordoglio e contemplazione, di rimpianto, ma anche e soprattutto riabilitazione di sé.

“Perdonami” ci raggiunge con l’impeto taciuto e sommesso di chi implora un’emancipazione e mentre il nostro tempo esalta il futuro, il progetto ricorda che lo sguardo rivolto all’indietro può anche alimentare le risorse che servono per essere capaci di ridare vita alle cose, a costo di trafugarne la desiderata immortalità.
Paola Milicia

Le fasi di preparazione di “Perdonami”

L’intervista

[Paola Milicia]: Senza troppo divagare, la fotografia, si dice, sia la figlia ribelle e di successo della scultura. Normalmente, uno scultore si avvicina alla fotografia in un secondo momento della sua carriera; raramente, un fotografo sceglie la scultura alla fotografia. Come e perché è avvenuta questa conversione nel tuo percorso artistico?

Silvia Lorenzin

[Silvia Lorenzin]: È avvenuta nel momento in cui sentirmi “fotografa” non mi bastava più. Sono nata come fotografa e sarà sempre il linguaggio espressivo che mi sento mio ma a un certo punto della mia vita molti anni  prima di questo progetto ho sentito l’esigenza di lavorare l’argilla, di costruire forme. Come se da una fase molto visionaria e proiettata all’esterno fossi entrata nel bisogno di fare un’introspezione e lavorare con le mani in modo meditativo.
L’argilla ha i suoi tempi, non le puoi imporre i tuoi, ti aiuta a fermarti, a respirare. E’ un rituale che ti porta al tuo centro.
Il contatto con la terra e darne forma ha in sè la magia come quando un immagine in camera oscura si rivela ai sali d’argento ma qui sei tu il sale d’argento, sei tu che tiri fuori l’immagine e ne puoi sentire i volumi, il peso, il calore, la fragilità e la forza.
E’ arrivata come esigenza personale prima ancora che artistica.

Il progetto “Perdonami” nasce intorno a 6 oggetti, proprio come i sei personaggi pirandelliani che cercano un autore, un luogo, una voce, una casa. Perché questi oggetti? Cosa rappresentano?

Bello vederli come sei personaggi in cerca di autore; In effetti io li vedo ancora adesso, anche se ne ho solo le immagini, come davvero degli esseri . Esseri che ho custodito gelosamente e ora ho lasciato andare. 
Sono 6 oggetti che nel momento in cui li ho ricevuti come ultimo ricordo di una persona profondamente amata che se ne è andata prematuramente sono diventati sacri, hanno perso la loro funzione e forma per diventare simulacri. Li ho custoditi in una scatola per 13 anni.

In progetti in cui ci si mette a nudo l’arte sembra “rivestire” il proprio dolore, le proprie intenzioni e consegnarle allo sguardo indiscreto di chi osserva. Credo ci voglia anche coraggio a intraprendere certi percorsi così espliciti e sfidare il giudizio (non sempre unanime e benevolo) degli altri. Sei d’accordo? Ti sei sentita in qualche modo non compresa?

Questo progetto è nato in seno a un percorso creativo gestito dall’artista visuale Silvia Bigi di Percorsi Fotosensibili dove a ogni artista era richiesto di lavorare su un tema urgente, e attraverso un dettaglio parlare di qualcosa di molto ampio. Io attraverso questo dettaglio di 6 oggetti su una scrivania parlo di temi che toccano tutti, la morte, la separazione, il dolore, il lutto e i suoi tempi.
Si sono d’accordo che mi sono esposta molto ma non mi sento assolutamente non compresa anzi credo che quando qualcuno si avvicina alla mia installazione ed entra in punta di piedi in questo dolore non può che stare in silenzio e ascoltarsi.
Non è un lavoro che va giudicato o che attiva il giudizio, perché non è un lavoro provocatorio. È un lavoro poetico.

Possiamo definirla arte-terapia la tua pratica di ricreare qualcosa come elaborazione di un dolore?

Ora che il tutto ha avuto il suo processo e ha creato anche un movimento dentro di me potrei dirti di si anche se non conosco bene questa disciplina o metodo come si voglia definire. Ho rispetto per tutte le strade che portano a una maggiore consapevolezza e l’arte sicuramente, coscientemente o non, ha queste potenzialità.

Contatti
Silvia Lorenzin official website

Silvia Lorenzin – Allestimento “Perdonami” in occasione della mostra “Out of blindness” a cura di Percorsi fotosensibili presso spazio Condominio, Milano, 2022