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Stars and stripes. La bandiera a stelle e strisce

di Matthias Harder.

Stars and stripes. La bandiera a stelle e strisce

Una bandiera nazionale non è un semplice pezzo di stoffa, ma un emblema politico che simboleggia lo stato e i suoi cittadini – e nel nostro contesto anche il “sogno americano”. Quasi tutti i cittadini statunitensi sono emotivamente legati alla bandiera nazionale, alla quale giurano fedeltà. Negli USA essa appare ovunque: esposta sui municipi, sulle facciate delle scuole e nei negozi, stampata sui francobolli delle Poste americane o cucita sulle maglie delle squadre nazionali. All’estero, invece, la si vede solo nelle ambasciate americane, in occasione di eventi sportivi o durante le manifestazioni mondiali di solidarietà per i devastanti attacchi del 2001 alle Torri Gemelle.

A volte capita, tuttavia, che le nazioni con pretese di egemonia globale siano accusate di imperialismo, anche se un paese come gli Stati Uniti afferma di voler difendere solo i propri interessi, spesso anche al di fuori dei propri confini. I militanti islamici, ad esempio, la vedono in maniera diversa e da decenni danno fuoco alle bandiere americane durante le manifestazioni, suscitando grande scalpore. Queste immagini appaiono poi nei telegiornali della sera, sui quotidiani o – praticamente in tempo reale – su Internet, provocando reazioni indignate o entusiastiche nelle varie regioni del mondo. Probabilmente nessun altro simbolo nazionale è amato o odiato tanto quanto la bandiera a stelle e strisce.

Già durante la Seconda guerra mondiale, una delle immagini di guerra più famose e pubblicizzate di sempre era quella in cui la bandiera americana veniva issata sull’isola di Iwo Jima, un avvenimento immortalato nel febbraio 1945 da Joe Rosenthal. Naturalmente una stampa di questa foto fa parte della mostra American Beauty. Da Robert Capa a Banksy. Una scena iconica ricostruita ad arte nello scatto, non meno celebre, della bandiera sovietica che sventola sul Reichstag di Berlino, realizzato a distanza di pochi mesi da Evgenij Chaldej durante la marcia sulla capitale della Germania nazista. La corsa delle due superpotenze per la conquista dello spazio negli anni e decenni successivi culminò, com’è noto, nelle missioni Apollo con equipaggio umano e, come testimoniano le leggendarie fotografie commissionate dalla NASA, con la prima bandiera americana piantata sulla Luna da Neil Armstrong e Edwin Aldrin nel 1969. A quanto pare, altre cinque bandiere sono state issate altrove in allunaggi successivi come simbolo di una conquista. È comunque probabile che nel frattempo la forte radiazione solare sul satellite della Terra le abbia completamente sbiadite.

Installation view della mostra “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy”

Negli Stati Uniti la “Stars and Stripes” è onnipresente, probabilmente più della bandiera nazionale di qualsiasi altro stato, e naturalmente appare in migliaia di fotografie. Nella fase di produzione è un pezzo di stoffa con dimensioni e colori fissi, il cui disegno è formato da 13 strisce bianche e rosse alternate che simboleggiano le 13 colonie fondatrici e da 50 stelle bianche in un riquadro con fondo blu posto in alto a sinistra, introdotto nel 1960, che rappresentano i 50 stati attuali. Non può essere usata impropriamente per scopi pubblicitari né comparire su fazzoletti di stoffa o di carta, come stabilisce tra l’altro il Flag Code statunitense.

Della bandiera si parla anche nell’inno nazionale Star Spangled-Banner, composizione di parole e musica adottata in maniera ufficiale nel 1931. Quando viene suonato, ad esempio nelle gare olimpiche in occasione di una vittoria statunitense, viene issata contemporaneamente la bandiera. Nell’estate del 1969, a Woodstock, Jimi Hendrix ne eseguì la leggendaria versione distorta, ritenuta una critica nei confronti della cultura e della società. Naturalmente capita che gli spiriti liberi critichino sottilmente i simboli nazionali e ne prendano le distanze, ma negli Stati Uniti quasi tutti i cittadini, così come i due partiti che si alternano regolarmente al governo e chi in quel momento vi si oppone, evocano la bandiera nazionale. Alla fine degli anni Sessanta, per esempio, sventolava in tutte le manifestazioni – sia quelle contro la guerra del Vietnam che quelle a favore. Nella mostra American Beauty. Da Robert Capa a Banksy è rappresentato quindi l’intero spettro della società americana: indigenti e privilegiati, hippy e conservatori, pacifisti e guerrafondai, spiriti liberal ed estremisti intolleranti. Nell’insieme la selezione di opere offre un ritratto affascinante di questo mondo variegato, visto attraverso il motivo della bandiera, ma mostra anche una nazione divisa, che in situazioni di crisi riesce sempre a trovare il modo di ricompattarsi secondo il motto “United we stand”. La “Stars and Stripes” diventa allora espressione visiva di questa unità.

Installation view della mostra “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy”

La mostra American Beauty. Da Robert Capa a Banksy riunisce grandi nomi della storia dell’arte e della fotografia, tra cui Robert Capa, Berenice Abbott, Diane Arbus, Elliott Erwitt, Dorothea Lange, W. Eugene Smith e Annie Leibovitz. Qui trovano dunque spazio generi fotografici o storico-artistici diversi, dal ritratto alla rappresentazione storica, immagini costruite e autentiche istantanee, scatti in posa e attimi rubati, realismo e astrazione. In alcuni casi si intuisce una committenza, ad esempio una rivista, in altri si tratta senza dubbio di progetti indipendenti.

Andy Warhol, Moonwalk, 1987, serigrafia, © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc.

La “Stars and Stripes” compare anche nella street photography classica come nella sua evoluzione successiva, e non solo nelle sfilate del 4 luglio tra New York e Los Angeles. Da decenni negli Stati Uniti la bandiera è usata come simbolo anche durante scioperi, marce o manifestazioni, in mostra negli scatti di Robert Frank, Tom Arndt, Jill Freedman, Stephen Shames, Steve Schapiro e Leonard Freed, o in occasione di eventi elettorali, come quelli immortalati da Raymond Depardon nel 1968 o Larry Fink nel 1988, e persino nei cortili delle carceri, come nella foto realizzata da James Nachtwey nel 1994 in Alabama. Viceversa, l’immagine della bandiera accanto a una croce in fiamme in un raduno del Ku Klux Klan nella Carolina del Sud, documentato da W. Eugene Smith nel 1950, ci appare oggi come una bizzarra appropriazione indebita di matrice pseudo-patriottica.

Molti cittadini statunitensi espongono la bandiera nazionale anche a casa, tra le mura domestiche, sulla facciata principale o in giardino; un insopprimibile attaccamento alla patria, nonostante vessazioni, esclusioni e ferite, si manifesta persino tra i Navajo, fotografati da Laura Gilpin nel 1950, o nell’immagine, scattata da Robert D’Alessandro nel 1970, di un veterano del Vietnam con gli arti inferiori amputati che siede nudo e perso nei propri pensieri sulla bandiera trasformata in copridivano nel suo appartamento newyorkese. Quello stesso anno, Leonard Freed fotografò un altro uso stravagante – e forse altrettanto contrario al Flag Code – della “Stars and Stripes”, messa a copertura di una Volkswagen Maggiolino in un campeggio.

Banksy – Flag, Santa_s Ghetto, 2006

Nel 1940, Margaret Bourke-White immortalò le operaie di una fabbrica che cucivano bandiere, ma qui si tratta ancora di semplici pezzi di stoffa senza valore di simbolo. Particolarmente toccante è invece la scena fotografata da Dorothea Lange a San Francisco nel 1942, anno in cui gli Stati Uniti entrarono in guerra: una dozzina di bambini di diversi gruppi etnici, tutti maschi, tra gli otto e i dieci anni, fanno un giuramento di fedeltà con la mano destra sul petto, forse intonando l’inno nazionale, mentre il ragazzo al centro dell’immagine solleva la bandiera – all’epoca con solo 48 stelle – su una sottile asta metallica. Questi bambini erano ancora troppo piccoli per combattere nella Seconda guerra mondiale e liberare l’Europa dai fascisti, ma potrebbero aver partecipato a missioni in Corea o nel Vietnam. Forse nel corso di quelle guerre alcuni di loro sono morti per il loro paese e sono stati riportati in una bara coperta dalla bandiera americana.

Naturalmente in una raccolta così ampia non potevano mancare trasfigurazioni del motivo operate da pittori, illustratori, grafici e scultori, tra cui Robert Longo, George Maciunas, Vik Muniz, Andy Warhol e Banksy. A volte radicali interventi e interpretazioni astratte ci impediscono di riconoscere il motivo a una prima occhiata, ma nel contesto della mostra anche questo aspetto risulta estremamente stimolante e rivelatore.

Installation view della mostra “American Beauty. Da Robert Capa a Banksy”

L’esposizione tematica American Beauty ci apre una prospettiva del tutto nuova sulle bandiere e sui simboli nazionali. Pensando ad altre bandiere, compresa la “nostra”, noteremo immediatamente differenze sorprendenti nell’uso che se ne fa nei diversi stati e nell’orgoglio nazionale dei cittadini. In quanto icona universale, la “Stars and Stripes” è naturalmente più presente e conosciuta della bandiera di un piccolo stato europeo, africano o asiatico. All’esterno simboleggia la libertà e la democrazia ma anche il capitalismo e l’imperialismo; all’interno unisce, come un collante invisibile, le diverse popolazioni, religioni e gruppi etnici tra l’Alaska e la Florida, tra Washington e le Hawaii. Nonostante il tema circoscritto, il concept della mostra American Beauty. Da Robert Capa a Banksy diventa in fin dei conti un progetto globale capace di suscitare reazioni emotive presumibilmente diverse in tutto il mondo, stimolando un dibattito ogni volta nuovo a seconda del contesto e della sede che ospiterà le opere.
Matthias Harder

Testi e immagini dalla mostra:
American Beauty. Da Robert Capa a Banksy
Mostra a cura di Daniel Buso.
13 settembre 2023 – 21 gennaio 2024
Centro culturale Altinate San Gaetano
Via Altinate, 71, 35121 Padova
049 8204522; altinatesangaetano.it
Mostra organizzata da Artika in collaborazione con Kr8te ed il Comune di Padova, Assessorato alla Cultura.
Immagine in evidenza: Maurice Sorrell – Shirley Chisholm