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Un architetto al servizio dell’industria: Gio Ponti e la Richard-Ginori

di Oliva Rucellai.

Un architetto al servizio dell'industria: Gio Ponti e la Richard-Ginori

Quando Giuseppe Benassai e Urbano Lucchesi, principali direttori artistici della Ginori di fine Ottocento, fornivano alla fabbrica i loro disegni e modelli, ne seguivano la perfetta esecuzione, ma poco si curavano delle logiche industriali e tanto meno della vita del prodotto una volta uscito dalla fornace, della sua promozione e della sua distribuzione. Al lombardo Luigi Tazzini, giunto a Doccia con la gestione Richard, è attribuito il rinnovamento della produzione in stile liberty, tuttavia non abbiamo neanche un oggetto che rechi la sua firma e la mancanza di documentazione rende assai indefiniti i contorni del suo contributo autoriale. Nessuno insomma, prima di Gio Ponti – che pure era alle prime armi – aveva interpretato (e interpreterà) il ruolo di direttore artistico della Richard-Ginori coniugando così magistralmente un poderoso talento creativo con l’attitudine progettuale di un moderno designer. Nessuno si era tanto speso per tenere in pari considerazione le ragioni dello stile, le ragioni produttive dell’industria e la diffusione sul mercato. Inoltre, evidentemente, tale era la consapevolezza dell’importanza del proprio lavoro, che fin dall’inizio egli ottiene di far apporre la sua firma sulle sue creazioni.

Forme e decori
Ponti
inizia a collaborare con lo stabilimento Richard-Ginori di San Cristoforo intorno al 1922, ma esordisce come direttore artistico nel 1923, alla prima esposizione biennale di arti decorative di Monza, riscuotendo da subito notevoli consensi da parte dei critici. I suoi decori sono moderni, ma spesso traggono ispirazione da fonti antiche. Protagoniste sono silhouettes stilizzate in movimento, vibranti di un’elegante vena umoristica; ma anche motivi geometrici, semplici superfici scandite da elementi architettonici o da intrecci, griglie ortogonali e fasce sovrapposte, in forte contrasto cromatico. Con la stessa leggerezza e ironia, ed esigendo sempre il massimo della qualità, inventa serie come la Conversazione classica o Le mie donne, dipinte tutte a mano su maiolica, oppure Labirintesco, Circo e Fantini, che si prestano invece all’esecuzione a decalcomania e sono adattabili a piccoli oggetti, posaceneri o portasigarette, alla portata di un più vasto ceto borghese. Per arricchire l’offerta di oggetti d’arredo e articoli da regalo sviluppa tipologie nuove, con un’utilità pratica oltre che decorativa, come basi per lampada, fermalibri, vasi da burro, vasetti per cactus, o ne recupera altri caduti in disuso, come la geliera, che rivisita per Doccia partendo da modelli del Settecento, o ancora il surtout da dessert, reinventato per il Ministero degli Esteri. Predilige volumi essenziali – come il cilindro, il cono, il semisferico “bolo” – e forme chiuse, dalle grandi ciste alle più piccole bomboniere, passando per urne, barattoli e calamai che paiono edifici in miniatura. Raffinate prese plastiche ornano di saporosi accenti figurativi i coperchi e i profili nitidi dei contenitori.

Le sculture
La produzione di sculture in ceramica, dai piccoli fermacarte alla statuaria da tavolo di maggiori dimensioni, anche se minoritaria nell’insieme del suo catalogo, è curata da Ponti con grande attenzione. Pensata per essere riproducibile in serie a costi relativamente contenuti, è il veicolo ideale per realizzare quell’idea di “arte nella casa” che è sottesa alla sua futura direzione della rivista “Domus”: un’arte moderna accessibile anche a chi non potrebbe permettersi un pezzo unico in bronzo o in marmo, ma riconosce il beneficio che le opere – sia pur “d’arte decorativa” – recano all’abitare. Nella maggior parte dei casi Ponti si rivolge ad artisti esterni a cui fornisce i disegni da tradurre in modelli plastici. Soggetti come L’Ospitalità e La Letizia, Il pellegrino stanco e L’uva della terra promessa nascono come decori per poi diventare sculture. A San Cristoforo collabora soprattutto con Salvatore Saponaro e per Doccia si avvale di allievi dell’amico Libero Andreotti, di Geminiano Cibau per Il Poeta e Il Maestro di Danze, e dal 1926 soprattutto di Italo Griselli, lo scultore con cui instaura la collaborazione più duratura. Non mancano tuttavia esempi di modelli di invenzione altrui, come alcune opere di Carlo Lorenzetti, Édouard Sandoz e del giovane Fausto Melotti, che vengono inseriti nella linea delle ceramiche moderne d’arte con la sua supervisione.

La diffusione sul mercato
Ponti
progetta sempre tenendo presente l’intero iter del prodotto, dal disegno alla vendita, attento alle necessità produttive quanto alle esigenze del cliente finale. Il suo non è un esercizio di creatività fine a se stessa o all’affermazione della sua personalità, ma arte al servizio dell’industria. Una naturale predisposizione lo porta a preoccuparsi di tutto ciò che riguarda l’identità del marchio Richard-Ginori, disegnando, oltre a forme e decori, anche le confezioni, i cataloghi, le marche da porre sotto ai manufatti e proponendo persino i canali di distribuzione più adatti ai vari prodotti. Non disdegna di svolgere funzioni che sarebbero di competenza di un ufficio stampa, tiene i rapporti con i giornalisti più autorevoli e cura le campagne fotografiche. Per coprire le diverse fasce di mercato per la prima volta organizza e coordina la linea delle “ceramiche d’arte” sui tre stabilimenti di Doccia, San Cristoforo e Mondovì, che fino ad allora erano stati gestiti in modo indipendente dai rispettivi direttori. Affronta così la complessità della Richard-Ginori creando un sistema organico che valorizza le specificità delle diverse tipologie ceramiche, come se fossero diversi registri stilistici del suo personale linguaggio, sempre coerente e contemporaneo: più aulico e prezioso per le porcellane e le maioliche di Doccia, ricercato, ma informale per la terraglia forte industriale di San Cristoforo, rustico e vivace per la terraglia tenera di Mondovì.

Piattella “Le Attività Gentili”, Manifattura Ginori di Doccia, 1923, Gio Ponti (disegno), porcellana, Sesto Fiorentino (Firenze), Museo Ginori, inv.22.M611-1.3513 (già 3514)

Tecniche tradizionali e nuove sperimentazioni
A Doccia Ponti riesce a infondere nuova vita nelle tecniche tradizionali più raffinate, come la pittura su maiolica, alla quale attribuisce un ruolo fondamentale, e l’oro segnato a punta d’agata. Quest’ultima è la specialità di Elena Diana. La decoratrice viene assunta nel 1924 e diventa in poco tempo una virtuosa del genere. La sua presenza stimola Ponti a ideare, a partire dal 1926 circa, molti decori interamente realizzati con tale tecnica, che aveva raggiunto vette di eccellenza nel periodo Impero con gli ampi fregi delle porcellane di Vienna e di Sèvres. Alla Biennale monzese del 1927 Elena Diana è citata nel catalogo ufficiale della mostra come autrice di alcune placchette, un riconoscimento che non era stato mai concesso ad alcuna decoratrice prima di lei. Il confronto con le produzioni concorrenti, italiane e straniere, richiedeva però innovazione costante, non solo attraverso i disegni tracciati su carta dalla matita dell’architetto, ma anche tramite la ricerca su impasti, smalti e soluzioni espressive proprie alla materia ceramica e alla finitura delle superfici. Nel 1927, ad esempio, Ponti presenta a Monza una serie di maioliche con un inedito smalto turchese opaco e con l’orcio Circo equestre sperimenta rilievi smaltati “su fondo naturale”. Negli anni seguenti indirizza i tecnici dello stabilimento di Doccia verso la ricerca di nuovi effetti come le maioliche graffite, il “gran rosso”, il biscuit grigio e oro e il celadon.

Piattella “Passeggiata archeologica”, Manifattura Ginori di Doccia, 1930, Gio Ponti (disegno), porcellana, Sesto Fiorentino (Firenze), Museo Ginori, inv.22.M611-1.3657 (già 3658)

Il rapporto con Ojetti
Il talento e la portata innovativa del lavoro di Gio Ponti per la Richard-Ginori vengono riconosciuti fin dal 1923 da voci autorevoli come Roberto Papini, Margherita Sarfatti e Antonio Maraini, che ne scrivono in occasione della prima Biennale di Monza e negli anni seguenti. Tra questi estimatori il più influente è Ugo Ojetti, critico, giornalista e scrittore, che Ponti, nei suoi anni alla Richard-Ginori, considera come un maestro al quale chiedere aiuto e consiglio. A sua volta Ojetti lo incoraggia e lo sprona aimpegnarsi a beneficio delle industrie artistiche italiane. È, ad esempio, per interessamento di Ojetti che nel 1925, dopo aver vinto il Grand Prix all’Expo di Parigi, l’architetto riceve il prestigioso incarico di scrivere una relazione ufficiale sulle ceramiche ivi esposte, che serva di indirizzo per la futura affermazione delle manifatture italiane. Ponti si reca a Parigi apposta per assolvere al compito, nonostante qualche titubanza: “Pietà, Ojetti, mi faccia dividere con qualcun altro la responsabilità di servir d’esempio al peccator decorativo” e sottopone il testo alla revisione di Ojetti, prima di consegnarlo all’editore. Negli stessi giorni Ugo e la moglie Fernanda ordinano le due ciste oggi conservate al Museo Poldi Pezzoli. Il volume contenente il testo verrà pubblicato solo alla fine del 1928 con sorprendente ritardo e tiratura limitata (a giudicare dalla sua rarità). Se dunque la relazione non potè avere l’impatto auspicato da Ojetti, resta un documento illuminante per comprendere la visione maturata da Ponti nei suoi primi anni di esperienza come direttore artistico della Richard-Ginori. Inoltre quel primo cimento con la scrittura contribuì forse a far scoprire a Ponti quella vocazione per la promozione dell’arte e l’educazione al gusto che alimenterà per tutta la vita la sua intensa attività pubblicistica.

Vaso biansato con figura di Edile su fondo rosso, Manifattura Ginori di Doccia, 1924, Gio Ponti (disegno), maiolica, Sesto Fiorentino (Firenze), Museo Ginori, inv. 22.M611-1.6999

Il graduale distacco
I successi del 1925 favoriscono il moltiplicarsi degli impegni di Ponti: la progettazione di edifici, il coinvolgimento nell’organizzazione delle mostre di Monza del 1927 e 1930 e di Milano nel 1933, la fondazione della rivista “Domus”, suggeritagli dallo stesso Ojetti. Fatalmente l’assiduità del suo lavoro alla Richard-Ginori tende a diminuire, soprattutto a Doccia, dove dal 1928 arriva, ad affiancare Luigi Tazzini, Alfred Brown, sul quale Ponti darà qualche anno dopo un giudizio non troppo lusinghiero. Il distacco si avverte soprattutto dopo il 1930, forse motivato anche dalla morte del presidente Augusto Richard, che per primo aveva dato fiducia all’architetto. Il 30 giugno del 1931 Ponti commenta con amarezza: “come Lei ha capito, le cose a Doccia non le posso condurre come vorrei e come sarebbe bene, ed esercito la pazienza in luogo dell’intelligenza“. Dalla corrispondenza con gli Ojetti si evince che anche i rapporti con la dirigenza milanese della Richard-Ginori non sono sereni. Non a caso il suo lavoro più significativo dell’ultimo periodo è realizzato a San Cristoforo su commissione dell’architetto Mezzanotte. Ponti ne scrive entusiasta a Fernanda Ojetti nell’agosto del 1931: “Per la borsa di Milano (sotterranei: nel ristorante) disegno delle figure alte due e cinquanta e mi appassiono moltissimo“. Per il resto si affida molto al suo “caro e fedele collaboratore Giovanni Gariboldi” che dal 1926 lo assiste nello stabilimento milanese e a cui si deve probabilmente la maggior parte dei disegni dei primi anni trenta. È ancora dalla corrispondenza con gli Ojetti che apprendiamo delle sue dimissioni, presentate alla vigilia della V Triennale di Milano, nell’aprile del 1933. Vi saranno in seguito altre episodiche collaborazioni, ma si conclude così la direzione artistica che fino a oggi ha segnato più profondamente la storia della Richard-Ginori e che per Ponti ha rappresentato oltre che il fortunato esordio di una lunga e brillante carriera un fondamentale apprendistato nel mondo dell’industria e della ceramica.

Immagini dalla mostra
“Oro bianco – Tre secoli di porcellane Ginori”
a cura di Rita Balleri, Federica Manoli, Oliva Rucellai
25 ottobre 2023 – 19 febbraio 2024
Museo Poldi Pezzoli
via Alessandro Manzoni, 12, 20121 Milano

Immagine in evidenza: Piattella Venere Stracciona, Gio Ponti per Richard-Ginori, stabilimento di Doccia, 1927- 1929, porcellana, Sesto Fiorentino (Firenze), Museo Ginori, inv.3499.