“A wound in a dance with love”. La danza di Sean Scully al MAMbo

di Fabiana Maiorano

Uno dei misteri più intriganti dell’arte è legato all’inespresso, all’inafferrabilità di senso che molte opere rivelano al momento della loro prima apparizione, che silenziosamente riflette negli occhi di chi guarda la rivelazione artistica. È in queste circostanze che si inserisce l’astrazione e non si può sorvolare sul lavoro di Sean Scully senza superare lo sguardo ed empatizzare con le sue tele graffiate da ritmi geometrici che ricalcano suggestioni visive ed emozionali.

La sua storia, tuttavia, è meno lineare rispetto alle opere realizzate: nato a Dublino nel 1945, non fa mistero di aver vissuto in povertà e senza fissa dimora fino al trasferimento a Londra nel 1950, in una stanza nella casa della nonna. Durante l’adolescenza ha modo di frequentare la scuola serale e si avvicina alla pittura, rimanendo, più tardi, ammaliato da “La Sedia” di Van Gogh, che omaggia con “Arles Nact Vincent” nel 2015.

Sean Scully – Arles-Nacht-Vincent, 2015, olio su lino, 160,5 × 160 cm (cad.); collezione privata © Sean Scully. Immagine courtesy dell’artista. Foto di Christoph Knoch

È lei – dichiara in un’intervista – che mi ha reso possibile tutto questo. Entrare nel mondo dell’arte, pensare che avrei davvero potuto fare dei quadri perché era talmente onesta e sincera. E naturalmente la sedia ha una parte al centro che è intrecciata, nei miei quadri non c’è spazio. Sono molto claustrofobici; sono come Van Gogh”.

Da queste parole è facilmente intuibile l’intero lavoro di Sean Scully, che con sincerità emotiva cerca di piegare le sensazioni cromatiche alle regole dell’astrazione, e lo fa con griglie, grezze strisce intrecciate che insieme a figure di gusto espressionista sono le protagoniste della mostra in corso al MAMbo, che sancisce il ritorno a Bologna dell’artista ventisei anni dopo il suo debutto con la Galleria D’arte Moderna, la quale gli dedicò una mostra nella sede di Villa delle Rose.

A Wound In A Dance With Love” è una danza nella vicenda artistica di Scully, che in oltre cinquant’anni ha consolidato una pratica sempre fedele alle geometrie astratte, eppure mutevole nel tempo, in relazione alle esperienze emotive ed esistenziali come affetti e lutti. Si crea, nell’opera di Scully, una sorta di ritmia tra le parti logiche razionali e le emozioni che le astraggono, rompendo quegli schemi rigidi con colori contrastanti, inserti di diversi materiali e punti di luce accentuati dal gesto energico del pennello sulla superficie.

Il percorso di visita si apre con due grandi dipinti su alluminio, “What Makes Us Too” (2017) e “Uninsideout” (2018-2020) che, come imponenti arazzi, coprono le pareti della sala d’ingresso alla mostra coinvolgendo sin da subito lo spettatore nell’atmosfera sculliniana composta da oltre settanta lavori tra acquerelli, acrilici, dipinti a olio, disegni. L’allestimento nella Sala delle Ciminiere è sorvegliato dall’installazione “Opulent Ascension” (2019), che trova la sua ideale collocazione al centro della sala, dove dialoga con le opere più famose dell’artista.

Per spiegare la sua torre monumentale in feltro, vuota al centro, Scully nel 2020 affermava: “Meret Oppenheim ha preso una tazza e un piattino e li ha foderati di pelliccia animale, rendendoli così inutilizzabili. Erano dunque diventati Arte? Una tazza e un piattino foderati di pelliccia devono essere un’opera d’Arte perché sono strani. E perché io ci rifletto, da decenni. Può la pelle di qualcosa, di qualsiasi essere, di qualsiasi oggetto, essere così preponderante da definire ciò che esso è? Tanto che tutto quanto sta all’interno diventa subordinato a ciò che sta fuori. Amo questa domanda perché non potrò mai darle risposta”.

Oltre all’ampia scultura e al riferimento ad Oppenheim, tante altre opere esposte nascono da riflessioni su artisti del passato: “Backcloth” del 1970 concilia Pollock e Mondrian, “Dark Windows” e “Black Square”, realizzate durante il lockdown del 2020, presentano al centro della composizione un quadrato nero che ricorda il nichilismo di Malevich. Importante l’omaggio a Morandi con il dittico “Two Windows Grey Diptych” (2000) esposto al piano superiore, nelle sale del Museo Morandi. Gli omaggi ai giganti dell’arte non finiscono certo qui: poiché la sua produzione è incentrata sul colore, puro e vibrante, i suoi dipinti monumentali e talvolta caratterizzati da forme astratte, avvertono l’influenza di Matisse e Rothko.

Tratto distintivo dei lavori di Scully sono gli “inset”, ossia quei i motivi in contrasto con la texture prevalente che vengono fisicamente incassati in appositi ricavi nel corpo del dipinto. Questi elementi creano delle ambiguità geometriche, ciascuna caratterizzata da quella particolare armonia tra razionalità di disegno e trascorsi personali fortemente emotivi come nel caso di “Empty Heart” del 1987 che rievoca la morte del suo primo figlio Paul e conferma l’idea di una doppia esperienza all’interno del quadro. Empty Heart” è un lamento. È un’opera di devastazione e di emozione intagliata entro le bande orizzontali e verticali, come a ricucire una ferita. La stessa, forse, che si legge tra le righe del titolo della mostra, il quale è estrapolato da uno scritto dello stesso Scully: Penso che l’arte sia una ferita in una danza con l’amore. E se la ferita e l’amore hanno le stesse dimensioni, possono danzare bene” (“What Art Is”, 2004).

La sua personale visione dell’arte la si ritrova verso la fine del percorso espositivo, dedicato a disegni su carta dei tardi anni Sessantae a grandi opere recenti dalla dimensione più intima, i quali sanciscono in un certo senso un ritorno al figurativo che l’artista aveva brevemente frequentato agli esordi.

I dipinti della serie “Madonna” (2018-2019) ritraggono la moglie e il figlio che giocano sulla spiaggia: i due personaggi sembrano generarsi dal colore primeggiando su un paesaggio indefinito, come fosse un dolce ricordo che evidenzia un tema da sempre caro a Scully che è quello della madre (una Madonna) con bambino.

Sean Scully – Figure Abstract and Vice Versa, 2019, olio su alluminio, 299,7 × 381 cm. Collection Museum of Fine Arts – Hungarian National Gallery, Budapest. © Sean Scully. Immagine courtesy dell’artista. Foto di Elisabeth Bernstein

Figure Abstract and Vice Versa” (2019) conclude la visita facendo un po’ da riassunto all’intera vicenda artistica del pittore, il quale commenta in occasione della mostra: “E’ un dipinto molto fluido che rispecchia la mia visione dell’arte, e la capacità che ho di entrare e uscire dalla mia stessa storia. Qui faccio riferimento al periodo in cui ero un pittore figurativo e, allo stesso tempo, incorporo le mie strisce e le mie fasce, e anche a questo sono molto affezionato. Poi faccio anche qualcos’altro in questo quadro: metto le cose nel posto sbagliato. Essere nel posto sbagliato è molto interessante, perché ci sono tante persone che si trovano in questa condizione”.

“A Wound in a Dance With Love” è una retrospettiva intrigante, completa e assai complessa, ricca di metafore e rimandi emozionali che umanizzano le logiche geometriche, le quali si aprono all’astrazione grazie agli inserti che rimontano le opere aprendo il piano dell’immagine.
Fabiana Maiorano

fino a Domenica 9 Ottobre 2022
Sean Scully. A wound in a dance with love
cura: Lorenzo Balbi
MAMBO MUSEO D’ARTE MODERNA DI BOLOGNA
via Don Minzoni, 14, 40121 Bologna

Immagine in evidenza: Sean Scully – A Wound in a Dance with Love. Veduta di allestimento – MAMbo Museo d’Arte Moderna di Bologna, 2022. Foto Ornella De Carlo. Courtesy Istituzione Bologna Musei – MAMbo