Diritti civili e di genere, leitmotiv della musica dei Kimeia

di Teresa Lanna.

I wish I knew how
It would feel to be free
I wish I could break
All the chains holding me
I wish I could say
All the things that I should say
Say ‘em loud, say ‘em clear
For the whole round world to hear

I wish I could share
All the love that’s in my heart
Remove all the bars
That keep us apart
I wish you could know
What it means to be me
Then you’d see and agree
That every man should be free

Vorrei sapere come
Ci si sentirebbe liberi
Vorrei poter spezzare
Tutte le catene che mi trattengono
Vorrei poter dire
Tutte le cose che dovrei dire
Dillo forte, dillo chiaro
Perché tutto il mondo possa ascoltarlo

Vorrei poter condividere
Tutto l’amore che ho nel cuore
Rimuovere tutte le sbarre
Che ci tengono separati
Vorrei che tu potessi saperlo
Cosa significa essere me
Allora vedresti e accetteresti
Che ogni uomo dovrebbe essere libero

Sono i primi sedici versi della canzone “I Wish I Knew How It Would Feel To Be Free“, scritta nel 1954 dal pianista ed insegnante di jazz Billy Taylor, e che divenne popolare con la nascita del Movimento per i Diritti Civili e la versione di Nina Simone, inclusa nell’album “Silk & Soul” del 1967.
Nina Simone, pseudonimo di Eunice Kathleen Waymon (Tryon, 21 febbraio 1933 – Carry-le-Rouet, 21 aprile 2003), è stata una grandissima cantante, pianista, scrittrice ed attivista per i diritti civili statunitense, il cui stile spaziava fra svariati generi musicali, come soul, blues, folk, gospel e jazz.

È a lei e a ciò che rappresenta la sua figura che è dedicata la performance musicale dei Kimeia, dal titolo “I Wish I Knew How“, che rivisita proprio uno dei più celebri brani della cantante americana.

I diritti civili sono il leitmotiv del loro primo disco,”Words for Freedom“, come avranno modo di affermare i membri stessi del gruppo in più di un’occasione.

Abbiamo intervistato la band bergamasca, nella quale gran parte dei componenti non ha ancora compiuto trent’anni. Ascolteremo sonorità moderne che accompagnano una voce capace di reinterpretare alcuni standard jazz con arrangiamenti originali accattivanti che strizzano l’occhio al soul, al pop, al funky.

La formazione è composta dalla giovanissima bassista Chiara Arnoldi, dal pianista Alex Crocetta, da Lorenzo Beltrami alle percussioni e alla batteria; inoltre, da Marco Gotti Jr e Marco Scotti che sono, rispettivamente, sax tenore e contralto del gruppo. Alessia Marcassoli, giovane cantante con solide basi, interpreta le canzoni che ha scelto di cantare, presentandole in un racconto pieno di pathos, che riesce a trasmettere con potenza il messaggio che il disco intero intende diffondere. E cioè che “se non ci sono libertà, uguaglianza e pari diritti umani e di genere, non si può parlare di civiltà evoluta”. 

L’intervista

[Teresa Lanna]: In che modo una band come voi, che suona jazz e dintorni, affronta la tematica della nostra mostra virtuale, Gender Fluid ?

[Alessia Marcassoli]: Innanzitutto, dobbiamo contestualizzare il progetto che dà origine al disco Words for Freedom, che abbiamo pubblicato a maggio 2023 con Emme Records.
L’idea nasce ben prima della pandemia del 2019, anche a seguito dell’ennesimo atto di violenza perpetrato ai danni di George Floyd, afroamericano, da parte della Polizia di Minneapolis (la città di Prince, n.d.r.).
Poter cantare canzoni con una forte radice di denuncia sociale era un’idea che stava nascendo forte dentro di me.

[Marco Scotti]: In quegli anni io e l’amico Marco Gotti Jr (sax tenore dei Kimeia) organizzavamo, per conto del Comune di Azzano S. Paolo (BG) una rassegna di jazz per musicisti under 30. Chiesi ad Alessia di propormi un’idea per l’edizione 2020, che avremmo sviluppato insieme. E, da lì, è cominciata questa avventura.

[Alessia Marcassoli]: L’idea di base è quella di dare voce a chi non ce l’ha, e qui entra in gioco la storia del jazz, da sempre portavoce di una lotta per l’uguaglianza ed il riconoscimento dei diritti civili degli afroamericani.

[Alessia Marcassoli]: Siamo convinti, e abbiamo usato questo concetto più volte nei nostri interventi, che “se non ci sono libertà, uguaglianza e pari diritti umani e di genere, non si può parlare di civiltà evoluta”. E capisci bene che, sulla scorta di questo pensiero, sarebbe riduttivo porre l’accento solo sul problema degli afroamericani, che non è che uno spunto, la “scusa” per abbracciare con forza tutte le realtà o gruppi che subiscono discriminazioni ogni giorno, in ogni Paese del mondo, da parte di molti governi con visioni limitate della realtà.

[Marco Scotti]: Il principio è che la musica, così come l’identità individuale e, quindi, l’identità di genere, è profondamente legata alla libera espressione e al sentimento del singolo. Il jazz è da sempre portavoce delle minoranze, dei gruppi sociali lasciati ai margini, che hanno potuto parlare di loro stessi attraverso un linguaggio democratico e universale, ovvero quello delle note, delle armonie e dei testi delle loro canzoni. Il movimento sociale e politico che nasce dal jazz è, da sempre, strettamente legato alla difesa dei diritti civili e delle discriminazioni di genere, supportando, sin dai primi decenni del ‘900, anche il ruolo artistico e politico della donna nella società, portando in luce alcune tra le voci femminili più talentuose di sempre, come Billie Holiday o Nina Simone, per esempio. In generale, pensiamo che questa musica possa rappresentare un mezzo di comunicazione potentissimo, attraverso i messaggi di uguaglianza, di libertà d’espressione e di diritti umani che veicola. Questi messaggi assumono un significato che non è solo legato al periodo storico in cui la musica è nata e si è diffusa, ma sono un manifesto etico, sociale e politico dal valore assolutamente contemporaneo e in linea con i nostri tempi.

[Alessia Marcassoli]: Anche le persone che fanno parte del mondo LGBTQIA+ subiscono, ancora oggi, derisioni, discriminazioni, e violenze che, nella storia, si ripetono con le stesse dinamiche, proprio come i meccanismi sociali e politici che avevano portato le minoranze afroamericane a lottare per i propri diritti civili e a cercare nella musica la propria libertà (come faceva, per esempio, la musicista Nina Simone all’interno dei testi delle proprie canzoni).

[Marco Scotti]: Per questo abbiamo deciso di utilizzare una canzone come “I Wish I knew How” della Simone (in questa versione con un arrangiamento del chitarrista brasiliano Torcuato Mariano) per rappresentare qui il nostro progetto. “I Wish I Knew How” ha un testo estremamente denso di significati, che, partendo da una denuncia contro le discriminazioni razziste e sessiste, può oggi prestare i propri versi a qualunque tipo di lotta da parte di una minoranza discriminata.

[Teresa Lanna]: Quando le parole di denuncia raccontano una storia che non è necessariamente legata ad un avvenimento particolare, si possono tranquillamente scegliere e adattare ad altre circostanze analoghe, condividendone la forza e facendola propria.

[Alessia Marcassoli]: Sì, come ad esempio “Soweto Blues“, che parla di un episodio gravissimo accaduto nella periferia di Johannesburg, in cui morirono circa mille persone, tra cui molti bambini.

[Teresa Lanna]: Il nome della vostra band, Kimeia, cosa significa?

[Alessia Marcassoli]: Kimeia deriva dalla parola greca χυμεία – khymeia che viene tradotta in alchimia.

[Marco Scotti]: … E L’alchimia altro non è che una scienza esoterica il cui primo fine era trasformare il piombo, cioè ciò che è negativo, in oro, ossia ciò che è positivo per l’uomo, per fargli riscoprire la sua vera “natura” interna, il proprio dio interiore. Ma è anche il principio (alchemico) del solve et coagula, della continua trasformazione.

Nina Simone – Immagine generata con IA © Redazione Arte.go.it

[Teresa Lanna]: Nina Simone è stata una convinta attivista per i diritti civili; oltre al vostro prezioso contributo in tal senso, quali sono, secondo voi, altri colleghi del mondo della musica che seguono egregiamente la sua scia?

[Marco Scotti]: Nel corso degli ultimi anni c’è stato come uno stallo da parte delle voci importanti della musica internazionale, afroamericana soprattutto, che si muovevano in blocco per concerti di solidarietà, in modo un po’ generico. Con l’omicidio di George Floyd, da parte della polizia, la voce è tornata a farsi sentire, in primis quella di rapper e hip-hopper, soprattutto (ma non solo) Black. In alcuni casi sono tornati alla ribalta brani pubblicati prima dell’omicidio di Floyd, che non avevano avuto grande risalto (diciamo che erano ascoltati da un pubblico specifico). Penso a Kendrick Lamar, molto attivo (e arrabbiato), ma anche a cantanti come ad esempio Erykha Badu, che ha portato avanti anni di impegno sociale. Spesso il mondo “bianco” si è schierato al fianco dei colleghi neri (e penso ai Rage Against the Machine – che però hanno subito una sconfortante battuta d’arresto; penso ad Allen Stone che ha cantato dei “privilegi dei bianchi” e di come sia un qualcosa di “sbagliato” nella società degli Stati Uniti). Purtroppo molti vengono “stritolati” dalla macchina (le major) e probabilmente “ghettizzati”, poco pubblicati, trasmessi, ecc.

[Alessia Marcassoli]: L’influenza di Nina Simone sull’industria musicale contemporanea è molto ampia. Icone come Beyoncé e Alicia Keys la considerano una dei loro punti di riferimento musicale principali, ed hanno entrambe reinterpretato i suoi brani durante la loro carriera. Anche Joss Stone, per esempio, le ha dedicato un intero album tributo nel 2012. L’impatto di Nina si estende anche al mondo dell’hip-hop, con Lauren Hill che la cita come ispirazione musicale e politica nei suoi testi. Come sottolinea Marco, inoltre, negli ultimi tempi, le proteste antirazziste negli Stati Uniti hanno fatto riemergere la musica e le sue parole come potentissimi mezzi di espressione e di denuncia, anche politica: oltre ad Alright di Kendrick Lamar, particolarmente nota, si è esposta anche Beyoncé con Freedom e molti altri artisti come Childish Gambino, gli N.W.A., i Public Enemy o i The Vanguard.

[Teresa Lanna]: Vi è capitato, nel corso della vostra carriera, di avere riscontri positivi, per il vostro impegno, da parte delle comunità LGBTQ+? Ci raccontate qualche esperienza a tal proposito?

[Alessia Marcassoli]: Il progetto “Words for Freedom” nasce da ri-arrangiamenti di brani che sono stati manifesto ideologico durante la lotta degli afroamericani in America, per ottenere il rispetto dei loro diritti civili fondamentali. Questa lotta ha, però, diffuso nei messaggi un valore molto più ampio, perché trattano del rispetto dell’”altro” e del “diverso” in quanto essere umano e rappresentano un messaggio senza limiti di tempo contro qualsiasi forma di discriminazione.

[Chiara Arnoldi]: “Words for Freedom” è, inoltre, un progetto in continua evoluzione e cambiamento, all’interno del quale vorremmo includere produzioni anche più vicine alla contemporaneità e al tipo di discriminazioni che ancora oggi, purtroppo, sono molto vive, come quelle nei confronti della comunità LGBTQ+.

[Marco Scotti]: Il progetto è relativamente giovane (nasce a cavallo del 2019/2020, e resta coinvolto nella pandemia che ha travolto il mondo intero), e a tal proposito non abbiamo riscontri. Io sono socio attivo dell’associazione Circolo dei Trivi di Milano che da sempre è schierata a fianco del mondo LGBTQIA+, nelle manifestazioni come il Pride, per esempio. Come band speriamo di diventare presto una cassa di risonanza per ribadire uguaglianza e diritti civili come punto cardine di una società evoluta.

[Teresa Lanna]: Parlando di pluralità, qual è il genere di persone che, in linea di massima, compone maggiormente il vostro pubblico, durante le varie esibizioni? (in base ai parametri più disparati, come fasce d’età, giovani, anziani, maschi/femmine, etc.). E come è cambiata la platea nel corso degli anni?

[Marco Scotti]: Il pubblico, attualmente, è molto eterogeneo sotto tutti gli aspetti, ma, anche qui, i pochi concerti fatti finora, prima e dopo la pubblicazione del disco, non ci permettono di stilare classifiche, grafici. Quello che sappiamo è che, finora, quello che abbiamo proposto (nuovi arrangiamenti di alcuni brani del repertorio jazz, ma non solo, più i testi che servono a rafforzare il messaggio globale) sono stati ben recepiti. La gente è sempre stata molto attenta alla “lezione”.

[Marco Gotti Jr]: Come dice Marco, finora non abbiamo fatto un numero di concerti da permetterci di avere dati “scientifici” da condividere; vero è che, in occasione dei nostri concerti, siamo stati avvicinati da persone di età molto differente che ci hanno chiesto informazioni (o il nostro disco). Direi che potremmo dedurre che il messaggio viene recepito…

[Teresa Lanna]: Quali sono, secondo voi, gli ostacoli più duri da attraversare per affermare la propria identità, nel mondo di oggi?

[Marco Scotti]: Non posso dire (a titolo personale) di essere contento della piega che il mondo (l’Europa in primis) ha preso negli ultimi anni. Potremmo quasi affermare che le cose andavano meglio negli anni ‘90/2000. C’è un disinteresse diffuso, una difesa accanita delle proprie “tradizioni” o “origini culturali” senza sapere, a volte, nemmeno di cosa si sta parlando. La “diversità” viene colpita come “male” da curare; la politica non sta lavorando pro (le destre che tornano con prepotenza cavalcano quest’onda con disgustoso successo in molti Paesi), e il fatto di non avere delle controparti forti, fa sì che questo menefreghismo sia quasi da considerare “accettabile”. E non dovrebbe assolutamente essere così. Questo è preoccupante.

[Alessia Marcassoli]: Appoggio quello che dice Marco nel sostenere che il tipo di politica nazionalista e tradizionalista che sta prendendo piede negli ultimi anni nel nostro Paese rende sempre più difficile la libera affermazione della propria identità, nel senso più generale e multidimensionale possibile. I mass media, al contrario, sarebbero il mezzo più efficace per contribuire a un grande lavoro di sensibilizzazione su questi temi, di formazione, informazione ed educazione (non solo dei più piccoli, ma soprattutto del pubblico adulto) all’uguaglianza, all’inclusione, allertando il pubblico a diffidare da messaggi di divisione ed esclusione.

[Teresa Lanna]: Voi siete una band originaria di Bergamo; come percepite, nel vostro ambiente/città, l’integrazione tra individualità eterogenee? Notate che ci sono dei passi avanti o è ancora forte il pregiudizio nei confronti del “diverso”?

[Marco Scotti]: Ciò che osservo è che il “diverso” può essere accettato, ma a condizioni precise. Se non disturbi, se quasi non ti vedo, di conseguenza quasi non esisti. Bene (…). Uno dei leitmotiv della nostra società è “Anche io ho amici gay, trans, neri, ecc. e sono davvero bravi, ma…”. Ecco, io avverto sempre il “ma” come ciliegina avariata sul dolce finale.

I Kimeia durante la performance dal vivo ad Azzano (BG)

[Teresa Lanna]: Tra il vostro pubblico ci sono tanti giovanissimi, spesso studenti. Qual è il “messaggio” che, più d’ogni altro, leggete nei loro volti?

[Marco Scotti]: Devo essere sincero: vedo i giovanissimi divisi, in modo netto, in tre gruppi. Ciò che registro è un gran menefreghismo di fondo, alimentato soprattutto dai mass media che, secondo me, stanno remando contro. E questo, a mio avviso, è il grande male della contemporaneità. I giovanissimi che ci credono sono presenti perché magari vivono in ambienti ben stimolati, di grande cultura e apertura mentale. Ma non è sufficiente, certo. E poi c’è sicuramente una parte di ragazzi incattiviti, invidiosi, supportati da social malati che ne fomentano le negatività. Noi cerchiamo di far riflettere, nel nostro piccolo, che la Storia ci insegna che abbiamo già visto tutto, e – volendo – sappiamo come comportarci per sconfiggere i problemi. Non è semplice.

[Alessia Marcassoli]: Per quella che è la mia esperienza, gli adolescenti e i giovani adulti di oggi hanno a disposizione alcuni strumenti (ad esempio, accesso all’informazione digitale, comunicazione digitale positiva, livello d’istruzione, esperienze all’estero, …) che hanno consentito loro di crescere con una maggiore sensibilità nei confronti del diverso. Osservo, però, in loro, una generale difficoltà a comunicare con il mondo degli adulti, con le istituzioni, con la politica, forse perché a volte avvertono una mancanza di fiducia che questo mondo dimostra nei confronti delle loro ideologie, probabilmente perché parlano due linguaggi diversi.

[Chiara Arnoldi]: Io ho avuto riscontro che la musica davvero può veicolare qualcosa di più, soprattutto in alcune esperienze musicali fatte con le scuole medie. Il messaggio può e deve essere colto, anche con sorpresa; non importa. Non conosci le canzoni? Non è importante. Non sapevi che parlava di diritti umani e che questi sono negati ancora oggi in una fetta importante del mondo? Da oggi lo sai anche tu. Io ho visto sguardi di “richiesta di informazioni”. Sono ottimista.

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