Fotografie, paesaggi e visioni. Le Collezioni Alinari e Mufoco alle Scuderie del Quirinale

di Matteo Balduzzi, Claudia Baroncini, Gabriella Guerci e Rita Scartoni

Fotografie, paesaggi e visioni. Le Collezioni Alinari e Mufoco alle Scuderie del Quirinale

La mostra “L’Italia è un desiderio” nasce dalla volontà di far conoscere al grande pubblico il ricco patrimonio fotografico di cui il nostro Paese dispone, attraverso un viaggio all’interno delle collezioni pubbliche degli Archivi Alinari e MUFOCO Museo di Fotografia Contemporanea.
L’incontro fra questi due importanti archivi, complementari dal punto di vista cronologico, dà vita a un progetto espositivo che non è solo somma, ma intersezione e dialogo, un percorso unitario che avvia una preziosa collaborazione tra due delle principali istituzioni pubbliche italiane dedicate alla conservazione, allo studio e alla divulgazione della fotografia.
In un momento storico in cui finalmente anche in Italia la disciplina sembra godere di una certa attenzione istituzionale e normativa e del riconoscimento del suo statuto di bene culturale, il progetto di valorizzazione della fotografia storica e contemporanea da cui nasce la mostra sembra assumere un carattere paradigmatico.
L’esposizione infatti non è intesa come un’occasione estemporanea di incontro fra due collezioni pubbliche, bensì come attivazione di un dialogo stabile, con la volontà di fare rete su scala nazionale intorno al patrimonio fotografico e la capacita` di mettere in valore le esperienze e le competenze intorno a esso maturate.

La Fondazione Alinari per la Fotografia è stata creata dalla Regione Toscana nel 2020 per la conservazione e valorizzazione degli Archivi Alinari, uno dei maggiori giacimenti italiani di documentazione fotografica.
La sua origine è a Firenze, dove i fratelli Alinari nel 1852 fondano il loro stabilimento fotografico.
Nel corso della sua lunga vita, nei diversi cambi di proprietà, il patrimonio si è accresciuto, raggiungendo la consistenza di circa cinque milioni di pezzi, raccolti in centinaia tra archivi e collezioni di grande rilevanza per la storia della fotografia, non solo italiana.
Lo compongono beni fotografici (vintage prints, album fotografici, negativi, unicum,…), documenti, una biblioteca specializzata, apparecchiature e attrezzature storiche da atelier, testimonianze uniche delle evoluzioni tecniche.
I materiali sono attualmente conservati in un deposito di sicurezza, e nonostante il difficile accesso alle collezioni, la Fondazione è impegnata a rendere l’archivio il più possibile fruibile attraverso il sito, ricerche, restauri, catalogazioni e digitalizzazioni, mostre e iniziative pubbliche.

Il Museo di Fotografia Contemporanea, che nasce a Cinisello Balsamo-Milano nel 2004 per volontà della Provincia di Milano e del Comune di Cinisello Balsamo, con il sostegno di Regione Lombardia e Ministero della Cultura, conserva un patrimonio fotografico di due milioni di immagini che datano dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, sono organizzate in quarantadue fondi fotografici e spaziano per temi dal ritratto, al paesaggio, al reportage, alla fotografia di ricerca artistica, documentando la presenza di oltre mille autori italiani e stranieri.
Il patrimonio museale vanta anche una biblioteca specialistica di oltre ventimila volumi.
Il Museo è impegnato nell’arricchimento delle collezioni e nella promozione della cultura fotografica contemporanea su scala nazionale e internazionale, attraverso committenze pubbliche, call, premi e concorsi, residenze d’artista e progetti partecipati.
Grazie a essi, congiuntamente alla continuità delle attività educative, il Museo intrattiene un dialogo innovativo con tutti i pubblici, con particolare attenzione alle comunità dell’area metropolitana che lo ospita.

La mostra “L’Italia è un desiderio” presenta un’ampia selezione di immagini, proveniente dagli archivi e dalle collezioni di Alinari e MUFOCO, che copre un arco di tempo estremamente esteso, coincidente con la storia stessa dell'”invenzione maravigliosa”, dagli albori fino ai giorni nostri.
Il tema è quello del paesaggio italiano, inteso come elemento identitario della nostra cultura, soggetto privilegiato delle sperimentazioni artistiche ottocentesche, sia in pittura che in fotografia.
Grazie a una successione di tecniche, linguaggi e pratiche artistiche l’esposizione consente di ripercorrere l’evoluzione delle modalità di rappresentazione del Bel Paese, apprezzandone una bellezza che lo ha proposto a lungo come un modello per l’Occidente, ma anche misurandosi con le sue contraddizioni.
Al contempo, la pratica dei fotografi e degli artisti, naturalmente aperta a contaminazioni e sperimentazioni, tende ad ampliare il concetto stesso di paesaggio, introducendo dimensioni immateriali – psicologiche, poetiche, politiche – che ne operano una continua rilettura o reinvenzione.

Un’articolazione di pensieri e visioni che prendono corpo nel titolo e nell’immagine guida della mostra.
Il desiderio dell’Italia o l’Italia come desiderio intende rilevare la tensione continua tra un passato straordinario, che ha visto nel paesaggio italiano un’eccezionale coincidenza tra natura e cultura – in cui ancora sentiamo di riconoscere le nostre radici – e una storia più recente, segnata da strappi, accelerazioni selvagge, interventi aggressivi, dettati dallo sviluppo economico e dalla globalizzazione, che rendono complesso il paesaggio e ci sollecitano a definire una nuova identità culturale italiana.

Fratelli Alinari – I faraglioni (The Faraglioni), Capri ante 1915, negativo alla gelatina sali d’argento su vetro. Firenze, Archivi Alinari

La fotografia scelta per la comunicazione della mostra, I faraglioni di Capri dei Fratelli Alinari (ante 1915; P. 359), diventa allora precipitato e immagine epifanica dell’intero processo: rappresenta “la soglia dell’utopia, uno dei luoghi più vicini all’isola non trovata, la meta desiderata che sempre s’insegue, a cui si vorrebbe approdare” (Messori, Fossati, 2007) e insieme è luogo fisico meraviglioso, storicamente dato e riconoscibilissimo, soggetto di tanta fotografia.
come oggetto, si tratta di un negativo su vetro alla gelatina ai sali d’argento, eppure la resa dell’immagine è incredibilmente contemporanea: e così, attraverso un cortocircuito temporale, quasi azzerando il tempo e attraversando gli archivi, si fa sintesi e metafora della rappresentazione del paesaggio italiano e dell’esperienza della visione attraverso il medium fotografico.

L’esposizione presenta in originale oltre seicento opere, caratterizzate da una grande ricchezza di tecniche, di ripresa e di stampa, materiali, formati, modalità di presentazione in cui si inseriscono alcuni sviluppi a carattere tematico, secondo un percorso cronologico, e propone al primo piano delle Scuderie del Quirinale le fotografie appartenenti agli Archivi Alinari e al secondo piano, in continuità, le opere presenti nelle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea.
Non si è inteso con ciò ricostruire una storia della fotografia italiana o una storia del paesaggio italiano e delle sue trasformazioni, quanto effettuare dei prelievi significativi all’interno di un vasto patrimonio fotografico e offrire al pubblico un’esperienza preziosa e unica.
L’intero percorso è inframmezzato da una serie di scintille, momenti di dialogo diretto e inaspettato che creano una sorta di cortocircuito tra le due collezioni.
Si tratta di accostamenti di opere tra loro distanti nel tempo, ma assimilabili secondo i registri più diversi, che spaziano dal punto di ripresa alla tecnica, dal linguaggio al luogo rappresentato, dai temi affrontati alle infinite possibili suggestioni, rimandi e associazioni che la polisemia delle immagini consente.
Nel loro essere fatalmente arbitrarie e incomplete, nelle possibilità di gioco con le immagini che suggeriscono, nell’intenzione di arricchire la percezione del pubblico e sollecitare l’esperienza della visita, le scintille intendono suggerire nello spazio fisico della mostra alcune delle questioni più attuali nel dibattito contemporaneo sul funzionamento, la fruizione, la produzione della fotografia e più in generale dell’immagine.

Fratelli Alinari Fotografi presso Luigi Bardi . Panorama di Siena con Piazza del Campo e la torre del Palazzo Pubblico, Siena 1855 ca. stampa all’albumina su carta. Firenze, Archivi Alinari-collezione Reteuna

Opere dalla collezione Alinari (1842 – anni sessanta)

Il 14 febbraio 1847 il fotografo Giacomo Caneva, con l’aeronauta François Arban, vola sul cielo di Roma a bordo di un pallone aerostatico “… quindi tutta Roma potei scorgere unita”.
Sulla scia dell’entusiasmo di quest’ascensione inizia il nostro viaggio nel paesaggio italiano dell’Ottocento con l’esposizione delle grandi panoramiche di Roma e Firenze (rispettivamente di Michele Petagna e Leopoldo Alinari).
Eseguite da luoghi elevati, con l’assemblaggio di più stampe, vogliono abbracciare con lo sguardo tutta la bellezza delle due città e del contesto paesaggistico in cui sono incastonate, per trattenerlo nella memoria.
Il racconto visivo prosegue con la presentazione di quarantanove opere di autori diversi: in un percorso che parte da Roma per attraversare verso nord e verso sud le mete più visitate durante il secolo.
Viaggio, mito, memoria e ricordo sono temi che sostanziano buona parte della produzione fotografica dell’Ottocento sul paesaggio italiano.
Il mito del viaggio in Italia, radice della civiltà occidentale, si era già consolidato con il Grand Tour del Settecento e la fotografia, convenzionalmente nata nel 1839, contribuirà a rafforzare e diffondere quel mito, in maniera esponenziale e su base più “democratica”, anche attraverso la vendita di fotografie come souvenir di viaggio, divenendo uno strumento fondamentale nella costruzione dell’immaginario del Bel Paese.
Nelle molteplici possibilità offerte dal rilevante giacimento Alinari sulla fotografia dell’Ottocento, si è voluto dare spazio alla fase iniziale dei pionieri e fotografi amateur.
Dai dagherrotipi di Pierre-Ambroise Richebourg e Girault de Prangey, che durante un breve soggiorno a Roma nel 1842 realizza delle rare vedute in formato panoramico, alle carte salate tratte da rari e preziosi negativi su carta, il primo procedimento negativo nella storia della fotografia: le vedute del territorio campano di Richard Calvert Jones, Gustave de Beaucorps, del litorale di Palermo di Auguste Laresche, la Roma di Frédéric Flachéron e la struggente campagna romana di Giacomo Caneva.

Stabilimento Giacomo Brogi – Piazzetta di San Marco con effetto di pioggia, Venezia 1910 ca. stampa alla gelatina ai sali d’argento su carta. Firenze, Archivi Alinari

Tanti i fotografi d’Oltralpe che si stabiliscono in Italia intorno alla metà del secolo (come Robert MacPherson, James Anderson, Giorgio Sommer, Robert Rive…) e che contribuiscono con i nascenti atelier locali (primi fra tutti i Fratelli Alinari e Giacomo Brogi), a creare una cultura visuale specifica del Bel Paese: i soggetti sono spesso ripresi dallo stesso punto di vista che valorizza il mito di un connubio unico tra natura e arte.
Un’Italia dove l’antico e l’incanto non lasciano spazio al contemporaneo (come la ciminiera camuffata da perno metallico di una colonna romana nella fotografia di Pompeo Molins) e dove tuttavia troviamo altissime interpretazioni e un’incredibile variazione di toni nella sensibilità specifica dei vari autori.
Al centro del percorso l’album Italy di James Graham (1858-1862), esposto per la prima volta.
Una sezione è dedicata a “negativi e trasparenze”: negativi in carta, in lastra di vetro, diapositive colorate a mano e autocromie.
Sono oggetti affascinanti che ci permettono di apprezzare la sostanza materica e i passaggi fondamentali del processo fotografico sempre teso a superare sé stesso.
Le opere sono di grandi autori come “il servizio” sulle rovine dopo la battaglia della Repubblica Romana del 1849 di Frédéric Flachéron, due negativi in lastra di vetro 30 x 40 cm di Wilhelm von Gloeden, mai esposti prima, le diapositive di paesaggio e fenomeni naturali colorate a mano da Giorgio Roster, e da lui utilizzate in proiezione come strumento didattico.
Affascinato dalle potenzialità cromatiche, Roster si cimenta inoltre nel primo procedimento fotografico a colori d’inizio Novecento, l’autocromia, di cui presentiamo anche tre paesaggi del nord Italia, del fotografo francese Henrie Chouanard.

Henrie Chouanard – Lago di Carezza con le montagne del Latemar, Alto Adige 1930-1935 ca.,
autocromia su pellicola. Firenze, Archivi Alinari-archivio Chouanard

Il cambio di passo dal realismo ottocentesco a una visione soggettiva del mondo si coglie tra la fine del secolo e i primi decenni del Novecento, in un complesso panorama in cui sono spesso compresenti codici linguistici diversi all’interno della produzione di uno stesso autore.
Nel pittorialismo l’impegno a legittimare la fotografia come espressione artistica passa attraverso l’adesione ai valori estetici della pittura, evidente nelle opere di Lodovico Pachò, Luciano Morpurgo e Domenico Riccardo Peretti Griva, ricche di effetti flou e valori tonali.
Molto diversa è la ricerca artistica di Wilhelm von Gloeden, convinto che la fotografia non abbia bisogno di rinnegare le sue origini per elevarsi ad arte e per far rivivere i sentimenti che il suo autore prova davanti alla natura; mentre sotto la direzione artistica di Vittorio Alinari, si producono gli Studi di nuvoli, porzioni di cielo in cui, come le immagini del primo viaggio in Sardegna compiuto da Vittorio, la visione ottocentesca del paesaggio è profondamente compenetrata dalla sensibilità dell’autore.

Vincenzo Balocchi – “Paesaggio nel volterrano”, Volterra (Pisa) 1955-1965 ca. stampa alla gelatina bromuro d’argento su carta. Firenze, Archivi Alinari-archivio Balocchi

Il racconto procede attraverso una selezione sulla fotografia tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta del Novecento, con autori che come Vincenzo Balocchi e Luciano Ferri, fotografo dello Studio fotografico Villani, meritano un approfondimento critico, e altri più noti come Alberto Lattuada, precursore del neorealismo postbellico e Fosco Maraini, dal cui archivio, conservato al Gabinetto Vieusseux e gestito da Alinari, sono stati selezionati scatti che evidenziano l’amore per la montagna e il paesaggio del sud Italia connotati da una precisa visione antropologica.
Infine, una considerazione sulla produzione fotografica dei Fratelli Alinari presenti nel percorso espositivo con opere del fondatore Leopoldo e della successiva gestione dei fratelli Giuseppe e Romualdo, e poi dal 1890 con la direzione di Vittorio Alinari.
Alle opere Alinari è affidata anche buona parte dei momenti di dialogo con gli autori delle collezioni MUFOCO.
Una produzione vasta, impegnata nel corso di molti decenni nella redazione di un catalogo monumentale dell’arte e del paesaggio italiano che si connota per la fedeltà ad uno stile in cui l’adesione a criteri di ripresa “oggettivi” nel solco del positivismo ottocentesco si traduce in silenziosa fissità metafisica, al di sopra della storia.

Luigi Ghirri – “Capri”, 1982 © Eredi Luigi Ghirri – Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo

Opere dalla collezione del Museo di Fotografia Contemporanea (1952-2022)

Gli anni cinquanta, caratterizzati da una fotografia che si rivela capace di evocare e di narrare, rappresentano il punto di contatto tra le due collezioni e costituiscono la cerniera della mostra.
Il rapporto diretto con la realtà, che chiude il primo piano attraverso un linguaggio e una scelta di temi ancora parzialmente lirici e sospesi, irrompe al secondo piano della mostra con una serie di sguardi partecipi, testimoni in tempo reale delle trasformazioni che hanno segnato l’Italia a partire dall’immediato dopoguerra.
Protagonisti della fotografia – reportage, fotogiornalismo, fotografia umanista – sono le persone e le vicende, piccole e grandi, della storia.
I paesaggi costituiscono lo sfondo, lo scenario, in cui il racconto prende forma.
Viene presentata una campionatura di immagini realizzate da una molteplicità di autori che con approcci, temi e in luoghi diversi si confrontano con i cambiamenti economici, politici e sociali che dagli anni del boom economico arrivano fino ai primi anni ottanta: la crescita urbana connessa allo sviluppo industriale, la riscoperta in senso antropologico e culturale della condizione rurale, la città come teatro del conflitto.
Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, coerentemente con le ricerche artistiche prodotte nell’ambito delle neoavanguardie, la fotografia avvia una profonda riflessione sul linguaggio e sullo statuto del medium, che non risparmia il tema del paesaggio.
Il ripensamento dei codici visivi in varie direzioni – che comprendono la dimensione concettuale, l’astrazione, l’attenzione antropologica, l’indagine tassonomica – consente di isolare il paesaggio come tema specifico, di ampliarne i confini e di riscoprirlo in quanto ambito di ricerca per un rinnovamento estetico e teorico.

Francesco Jodice – “Capri, The Diefenbach Chronicles, #003”
2013 © Francesco Jodice – Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo

È da questo contesto che nasce l’esperienza di Viaggio in Italia, in cui Luigi Ghirri raccoglie una serie di ricerche che si andavano sviluppando in diverse aree del territorio nazionale.
La mostra e il libro (1984) diventano il manifesto di una nuova fotografia italiana, che rivolge lo sguardo verso luoghi spesso marginali, quotidiani e antispettacolari, lontani dall’immaginario turistico e commerciale, percorsi con lentezza e raccontati con cura, come specchio di una condizione esistenziale e dell’atto stesso del guardare.
La mostra ricostruisce quasi integralmente lo sviluppo del volume, ordinato dallo stesso Ghirri in dieci capitoli, secondo altrettante categorie, tematiche e poetiche al tempo stesso.
Tra gli anni ottanta e novanta il paesaggio si afferma come il principale campo di ricerca e di dibattito teorico, avvicinando la fotografia alle discipline del territorio – architettura, urbanistica, sociologia – e incrociando gli ambiti di intervento delle amministrazioni pubbliche, che promuovono la committenza come modalità privilegiata di documentazione e di comprensione delle trasformazioni in atto.
La committenza, oltre che forma di sostegno per gli autori, si rivela per molti anni un fertile ambito di ricerca artistica e di dibattito culturale.
Dal lungo progetto Archivio dello spazio, curato da Achille Sacconi e Roberta Valtorta, che per dieci anni indaga capillarmente il territorio della provincia di Milano, prende avvio la realizzazione del Museo di Fotografia Contemporanea, che grazie alla committenza pubblica costruisce una parte significativa delle proprie collezioni.
Nella tensione tra documentazione e sperimentazione, tra progetti commissionati e ricerche individuali, emergono le trasformazioni che la disciplina sta nel frattempo vivendo: grazie a dimensioni di stampa paragonabili a quelle della pittura, le fotografie diventano protagoniste nelle collezioni dei musei e nel mercato dell’arte.
Lo stile asciutto del documentario caratterizza ampi progetti di ricognizione e documentazione dei contesti urbani e periurbani di alcuni territori metropolitani italiani, soprattutto in area milanese.
All’alba del nuovo millennio, grazie all’avvento del digitale, l’immagine si libera da molti dei vincoli materiali del procedimento fotografico per acquisire nuove ed entusiasmanti possibilità di controllo da parte degli artisti.
Caratterizzate da differenti modalità di rapportarsi alla realtà, da diversi gradi di intervento da parte degli autori e da svariate combinazioni di materiali e di formati, le opere dimostrano una nuova capacità di registrare, interrogare, sedurre e stupire.
Il paesaggio e gli infiniti paesaggi possibili si rivelano un punto di partenza o di approdo di ricerche estremamente libere e multiformi, in uno scenario artistico che si avvia a superare i confini tra i media e tra le discipline.
Attraverso il lavoro di autori di generazioni differenti si instaura un dialogo tra realtà urbane e ambiente naturale, soprattutto legato all’archetipo del mare, tra ampie vedute e frammenti, tra ambienti reali e immaginati, tra spazi vuoti e presenze umane che ritornano a popolare i luoghi.
Nella fotografia strettamente contemporanea si ritrovano a convivere gli approcci più classici – la ripresa con il banco ottico, il panorama, un rinnovato interesse per il bianco e nero – e le ricerche più sperimentali.

Olivo Barbieri – “site specific – Milano 09”, 2009 © Olivo Barbieri – Museo di Fotografia Contemporanea, Milano-Cinisello Balsamo

Dal punto di vista installativo, la fotografia abbandona le pareti e si espande nello spazio espositivo.
I linguaggi legati alla realtà e alla documentazione si ibridano non soltanto con la post-produzione digitale ma anche con l’immagine di sintesi completamente prodotta dalla tecnologia, quali modellazione 3D e l’intelligenza artificiale.
Riattivando la committenza come forma di ricerca estetica e di sostegno agli autori, spesso grazie alla promozione di bandi e open calls, il Museo ha negli anni recenti arricchito le proprie collezioni con opere prodotte dagli autori delle generazioni più giovani, sperimentando al contempo forme innovative di coinvolgimento delle comunità e dei pubblici all’interno delle pratiche artistiche.
In un’idea sempre più ampia di paesaggio, alcune delle questioni centrali per la società di oggi vengono affrontate in un intreccio di pratiche e di linguaggi: la creazione di paesaggi condivisi attraverso la partecipazione d el pubblico, la presenza/assenza nel paesaggio delle nuove forme di criminalità, la questione ecologica nelle contraddizioni della società contemporanea, l’accumulo inarrestabile delle immagini digitali, e infine la pandemia nelle recenti immagini di trentadue giovani autori, straniante memoria collettiva dei luoghi e metafora delle sfide globali che ci attendono.

Matteo Balduzzi, Claudia Baroncini, Gabriella Guerci, Rita Scartoni

fino a Domenica 3 Settembre 2023
L’Italia è un desiderio. Fotografie, paesaggi e visioni (1842-2022)
SCUDERIE DEL QUIRINALE
Via XXIV Maggio, 16, 00187 Roma
06 39967500; scuderiequirinale.it

Immagine in evidenza: Wilhelm von Gloeden – “Elegie” (Elegies), Taormina 1900, Firenze, Archivi Alinari – Archivio von Gloeden
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