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L’arte inclusiva di un provocatore irriverente. Intervista a Giuseppe Veneziano

di Fabiana Maiorano.

L'arte inclusiva di un provocatore irriverente. Intervista a Giuseppe Veneziano

Un uso audace del colore e l’approccio irriverente alla cultura popolare caratterizzano la produzione di Giuseppe Veneziano, artista siciliano che da sempre ha un occhio attento nei confronti delle dinamiche sociali e politiche del nostro tempo. Questi fattori contribuiscono ad agitare le acque spesso piatte del panorama artistico nazionale e Veneziano, da buon rappresentante di tutta una schiera di artisti che mescolano talento accademico e genio visionario, rompe gli schemi con le sue opere provocatorie.

Non sono passate di certo inosservate opere come “Novecento”, con Hitler, Stalin, Mussolini e Berlusconi che fanno un’orgia con diverse eroine dei fumetti e pornostar; oppure sculture monumentali come “The Blue Banana”, la quale allude alla dimensione economico-finanziaria dell’Europa occidentale in cui si collocano le capitali con il maggior sviluppo economico e demografico (il blu dell’opera si riferisce alla bandiera europea).

Nonostante i clamori di cronaca per ritratti come quello di Oriana Fallaci decapitata o Hitler nelle vesti di Gesù Bambino, la critica riconosce Giuseppe Veneziano come uno dei massimi esponenti della New Pop italiana e internazionale, complice sicuramente il fatto, anzi il pregio, di aver creato un linguaggio del tutto personale, riconoscibile e accessibile a tutti per la molteplicità di personaggi presi dalle icone del nostro tempo e dal mondo fantasy del fumetto e dei cartoon. Per renderle fruibili ai non avvezzi all’arte così come ai più istruiti, l’artista è sempre molto attento nel creare un doppio piano di lettura, proponendo una superficie vivacemente colorata che attira l’occhio inesperto, e pose plastiche dei grandi artisti del passato per compiacere l’occhio degli esperti del settore.

L’intervista

[Fabiana Maiorano]: Sono ormai circa 20 anni, se non erro, che dipingi. Come nasce questa tua propensione verso l’arte?

Giuseppe Veneziano

[Giuseppe Veneziano]: Per la precisione dipingo da ben 23 anni. Per quanto riguarda la propensione verso l’arte direi che ce l’ho sempre avuta. Sono nato in Sicilia e inizialmente non pensavo nemmeno di fare l’artista, sono diventato architetto e verso i 30 anni mi sono trasferito a Milano, dove ho iniziato a credere fermamente nel mio sogno di fare il pittore e a 35 anni poi ho inaugurato lì la mia prima mostra. Ci ho creduto fino in fondo, sacrificando la “strada sicura” della professione di architetto, ma poi è stato tutto in divenire…

Tra i tuoi artisti favoriti spicca sempre prima di tutti il nome di Andrea Pazienza, un disegnatore rivoluzionario che ha segnato profondamente la tua formazione e che omaggi nell’opera “Il sogno di Andrea Pazienza”, dove lo ritrai come un cavaliere addormentato. Chi è per te Pazienza?

Quando a 19 anni frequentavo l’università a Palermo ho cominciato a lavorare per Il Giornale di Sicilia come vignettista e lì ho scoperto un libro di Andrea Pazienza e me ne sono innamorato. Con Pazienza è nata la mia propensione verso il mondo del fumetto, tant’è che parallelamente al lavoro come architetto disegnavo vignette e illustrazioni per Stilos, l’inserto culturale del quotidiano La Sicilia, e per la casa editrice torinese Il Capitello. Negli anni in cui ero combattuto tra architettura e pittura ho comunque portato avanti queste collaborazioni come vignettista.
Nell’opera “Il sogno di Andrea Pazienza” mi sono ispirato al dipinto “Sogno del cavaliere” di Raffaello, altro artista che apprezzo tantissimo. Pazienza è stato un po’ un cavaliere sognatore dopotutto. Per la struttura del disegno, il quadro si divide in due livelli: un primo piano che è la realtà, ossia un cavaliere dormiente, mentre in secondo piano c’è il sogno, con una scena ripresa da un fumetto di Pazienza. Quell’opera in verità omaggia non uno, bensì due artisti che sono stati molto importanti per la mia formazione.

La Madonna degli influencer, 2021, acrilico su tela, cm 110×80

Pazienza e Raffaello usavano un linguaggio completamente differente e sono lontanissimi nel tempo. Un antico e un contemporaneo che coesistono non solo nel dipinto appena citato, ma è una sorta di fil rouge della tua produzione. Le tue opere guardano molto al giorno d’oggi, riflettono sulla realtà con uno sguardo curioso rivolto sempre al passato, con incursioni di personaggi rinascimentali come, appunto, Raffaello, o novecenteschi come Duchamp, fino agli ultra contemporanei come Cattelan o Koons; questi si alternano spesso anche a icone del nostro tempo come, ad esempio, la Regina Elisabetta o Papa Francesco, oppure a figure del mondo del fumetto o dei cartoon…
Questa tua scelta fa sì che tutti possano comprendere le tue opere. Che arte è la tua?

La mia è un’arte inclusiva in costante dialogo con la società odierna. Spesso tratto tematiche sociali che in qualche modo colpiscono la mia sensibilità e sento la necessità di espormi. Alle volte, però, vengo frainteso perché lì per lì dici cose scomode ma col tempo diventano scontate, come l’episodio di qualche tempo fa che riportava la notizia di un prete che celebrava la messa con la casula leopardata; tempo prima dipinsi un Cristo con gli slip leopardati e me ne dissero di tutti i colori, benché fosse un’opera portatrice di valori importanti come quelli della comunità LGBT.
Io poi sono per l’opera che ha più livelli di lettura, che partono da una base più immediata dove ad esempio riconosci Chiara Ferragni nel dipinto “La madonna degli influencer”, e un grado più alto dove sei libero di interpretare i significati e riconoscere che l’opera riprende una madonna botticelliana. Se non hai basi di storia dell’arte o di iconografia cristiana non puoi riconoscerla, ma va benissimo così. Anche conoscere l’arte sacra è importante per la lettura delle mie opere. Durante la pandemia ho realizzato un San Sebastiano martoriato dal virus anziché dalle frecce. Quanti sanno che la scelta è ricaduta su San Sebastiano perché è il protettore contro la peste? Molte pale d’altare presentano l’icona del santo per volere dei committenti, come protezione contro la peste. Ho utilizzato la sua figura ispirata a un’opera di Tiziano perché il covid è la peste del nostro tempo. Alla luce di questo discorso, ci tengo a precisare che a me sta più che bene che un visitatore riconosca nell’opera il solo simbolo del covid. Purtroppo questa prima lettura, chiamiamola pure “superficiale”, manca all’arte concettuale, per questo ha perso d’interesse tra il pubblico comune.

Forse i colori sgargianti o forse gli stessi soggetti dei tuoi dipinti hanno fatto sì che la critica ti riservasse l’appellativo di “artista pop \ artista ultrapop”. Senti tua questa etichetta?

Il mondo dell’arte è un mondo iper concettuale e se tu fai qualcosa di minimamente comprensibile a tutti è come se volessi “volare basso”. Secondo me l’etichetta di “artista pop” è data sicuramente per il colore e per elementi facilmente riconoscibili. C’è da dire, però, che non è facile leggere le mie opere se non hai un background storico artistico, dunque bisognerebbe superare la fase estetica per comprenderle al meglio.

Non sono un santo, 2015, acrilico su tela, cm 120×120

La tua è un’arte inclusiva, grazie soprattutto all’uso che fai delle icone, spesso dissacrandole. Ad esempio, mi viene in mente “Non sono un Santo”, che ritrae Berlusconi con l’aureola decorata dalle posizioni del kamasutra. Si coglie chiaramente la provocazione…

Diciamo che quella è un’opera demolitrice per certi versi, realizzata nel 2018 ma con un occhio al futuro. Dopo la sua morte, infatti, è stato santificato dai media.

Ci sono anche autoritratti molto particolari come ad esempio “The end of Duchamp” con te che poggi la testa decapitata dell’artista sul suo famoso orinatoio, proprio come faceva Salomé con la testa del Battista nella celebre opera di Caravaggio… è un autoritratto molto forte, cosa rappresenta?

Chiaramente la fine di Duchamp e di tutta l’arte concettuale che ha messo in secondo piano l’estetica! Quest’opera celebra un ritorno all’arte portatrice di valori estetici da rigore accademico, con il soggetto che va studiato, inventato, costruito. Ognuno è libero di avere la propria visione circa la creazione dell’opera d’arte, ma personalmente “rifiuto” ciò che non mi fa battere il cuore. La mia visione è romantica e c’è bisogno anche di romanticismo in questo settore, perché se il duchampiano di turno ancora mi espone l’appendiabiti è normale che il pubblico di oggi, magari poco avvezzo, si allontani dall’arte.

La Madonna del Terzo Reich, 2009, acrilico su tela, cm 130×100

L’arte concettuale ha bisogno della critica per essere compresa, facendo sì che le varie figure del settore diventino i veri protagonisti dell’opera. Con te non è così perché hai un livello di lettura per tutti. Come sei stato accolto dalla critica negli anni? Ci sono stati particolari episodi di dissenso?

Eccome. In occasione di una mostra sull’America esposi un’opera che che ritrae Oriana Fallaci decapitata (“Occidente, Occidente”). Creò un enorme clamore mediatico tra critica e pubblico. Ben pochi capirono che il mio intento non era certamente quello di augurarle la morte, bensì quello di mettere in luce le paure che il mondo occidentale nutriva verso il fondamentalismo islamico. L’avevo ritratta come martire perché ha sempre avuto il coraggio di esprimere il suo pensiero, anche in un contesto socio-culturale molto delicato. La Fallaci rischiava veramente la vita, subiva minacce e ho scelto di raffigurare queste intimidazioni, sovrastate da uno sguardo fiero e coraggioso.
Un altro episodio eclatante riguarda l’opera “La Madonna del Terzo Reich”, che esposi per la prima volta alla Fiera d’Arte di Verona e si gridò allo scandalo, tanto che fu rimossa. Nel dipinto un piccolo Hitler sostituisce Gesù in braccio alla Madonna, dunque c’è chi l’ha interpretata come una blasfemia e chi come un’opera di carità e perdono cristiano. Nella baraonda di polemiche intervenne un critico d’arte, chiamandola “Madonna del perdono”. Quello che io volevo raccontare erano i rapporti tra chiesa e politica e si sa che quello tra chieda e nazismo, con un genocidio in corso, fu un legame molto discutibile.

Pitture e sculture, ora sei approdato agli NFT. Come stai trovando questo nuovo linguaggio?

Io sono sempre stato un artista attento e non potevo girarmi dall’altra parte dinanzi questo nuovo capitolo dell’arte contemporanea. Mi ci sono approcciato per capire se potevano esserci nuovi linguaggi espressivi per ampliare la mia gamma. Il pubblico come sempre si divide tra chi accetta e chi grida alla cialtroneria. Questa divisione per me è positiva, perché significa che ti trovi dinanzi a qualcosa che ti obbliga a prendere una posizione. Se ti suscita qualcosa non è un’opera statica d’altronde.

Sei stato e ora di nuovo sei docente in ambito artistico: cosa consigli alle nuove generazioni di artisti?

Il consiglio che do sempre a tutti è quello di studiare, soprattutto la storia dell’arte, perchè non ci si può improvvisare. Nella storia dell’arte, inoltre, si trovano tante risposte e ispirazioni come è stato con me.

Approfondimenti
Leggi anche: Le “True stories” di Giuseppe Veneziano raccontate da Valerio Dehò di Fabiana Maiorano

Riferimenti e contatti
Giuseppe Veneziano official website: giuseppeveneziano.com
Immagine in evidenza
“Il Sogno di Andrea Pazienza”, 2020, acrilico su tela, cm 80×110
Copyright
Tutte le immagini © Giuseppe Veneziano