L’eclettismo intellettuale di un ricercatore poliedrico. Intervista a Ugo Nespolo

di Fabiana Maiorano.

Ugo Nespolo - Storie di oggi, 1990, acrilici su legno, 170 x 470 cm

Non solo quadri, ma anche tanto cinema, letteratura, filosofia, musica, televisione e pubblicità. Una ricerca continua quella di Ugo Nespolo, classe ‘41, uno dei più importanti nomi del panorama artistico italiano, presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino, famoso per le sue opere dai toni giocosi e i film sperimentali.

Crea scenografie per opere liriche e videosigle per la televisione, ha girato il mondo lavorando ad esposizioni e recital, collabora con case editrici e la sua produzione comprende dipinti, sculture, film, manifesti pubblicitari, scene e costumi teatrali.

Ricercatore poliedrico, la fama di Nespolo è legata principalmente all’utilizzo di tecniche differenti combinate a materiali insoliti, aspetto che sottolinea un raffinato eclettismo intellettuale, più che raro tra gli artisti d’oggi e ben apprezzato dalla critica contemporanea.

Quando parliamo di Ugo Nespolo – mi preme precisare – dobbiamo spogliare il termine “arte” della sua natura legata alle arti visive tradizionali ed approcciarci al suo significato più sublime che la identifica come un pluri-linguaggio estetico dell’interiorità dell’animo umano. E l’animo di Nespolo è un vulcano artistico attivo dove ribollono idee e pensieri, ricerche e sperimentazioni; utilizza tutti i mezzi a sua disposizione raggiungendo una sempre mutevole armonia artistica che si è affinata col tempo, senza mai cedere ai cambiamenti delle mode, guidata da una contaminazione imprescindibile di vita reale e spiritualità creativa.

[Fabiana Maiorano]: La sua carriera è ricca di quadri, ma lei ha una produzione che parte negli anni ‘60 con le avanguardie torinesi e comprende anche cinema, teatro, pubblicità, da qualche anno le è stata conferita dall’Università di Torino la laurea honoris causa in filosofia; insomma è come se lei non avesse mai posto limiti ai suoi percorsi di ricerca. Cosa la spinge a studiare ed elaborare ogni volta nuove espressioni artistiche?

Ugo Nespolo - Ritratto by Fabrizio Cicconi
Ugo Nespolo – Ritratto by Fabrizio Cicconi

[Ugo Nespolo]: La verità è che a me non è mai piaciuto l’artista che produce un’immagine e poi la ripete per tutta la vita, con le sue variazioni.
Apprezzo di più l’artista eclettico, che si occupa di varie discipline e si approccia a tecniche diverse.
Se lei ci pensa, in effetti la storia dell’arte è stata fatta da artisti che hanno lavorato ad opere basate su teorie e studi sulla letteratura, sulla filosofia, sul pensiero, ed io ho impostato sin da subito il mio modo di lavorare in questi termini, ampliando i miei orizzonti a discipline differenti, a molteplici oggetti e a tematiche di più ampio respiro.

Un percorso costellato da molteplici discipline che sicuramente lo consacrano tra i massimi esponenti del contemporaneo. C’è un momento della sua carriera che ritiene fondamentale?

È difficile dirlo, io ho una carriera abbastanza lunga e sono forse l’artista italiano che ha fatto più mostre nei musei stranieri, ho viaggiato il mondo con la mia arte. Ho fatto mostre a New York, in America Latina, sono stato in Russia, in Cina, in Brasile, in Argentina e ovviamente in giro per l’Europa. C’è tanto e quindi scegliere un momento è davvero difficile, sono tutte esperienze importanti e ognuna con le sue caratteristiche, le sue attività, i suoi perché, i suoi pensieri.

La sua carriera attraversa un arco temporale importantissimo, sia per la storia che per la storia dell’arte. Come si è modificata l’arte in questi anni? E la sua in particolare come si è evoluta?

L’arte si muove con la società da tempi immemori. È sempre in movimento con delle variazioni, dei cambiamenti che, soprattutto nel ‘900, fanno da stimolo per la ricerca del Nuovo e questa indagine comporta la modificazione di quello che già c’era. Il mio recente saggio “Per non morire d’arte” affronta ampiamente questo discorso di ricerca creativa.
Dicevo, quindi, che queste variazioni nel tempo hanno creato dei momenti diversi, soprattutto nel secolo scorso, e in questo “Nuovo” l’arte ha preso una direzione totalmente diversa rispetto a come lavoravano gli artisti nei loro atelier e nella bottega del maestro da cui imparavano il mestiere. Le avanguardie ci hanno insegnato che quel “mestiere” non esiste più, che si può lavorare anche senza manualità perché l’arte è diventata concettuale, è diventata qualcosa di addirittura non fisico.
Il mio lavoro nel corso del tempo è stato sempre quello di ragionare e fare sempre i conti con quello che la filosofia tedesca chiama Zeitgeist, lo spirito del tempo, che ha caratterizzato il lavoro di tanti artisti (penso a Picasso) che hanno sempre variato leggermente i loro atteggiamenti, più vicini alla cultura che il momento diceva.
L’artista che resta fermo sulla sua idea e basta non mi è mai piaciuto.

La sua arte arriva anche in strada con opere d’arte pubblica…

Certamente. Ricordo “Lavorare lavorare lavorare preferisco il rumore del mare” sul lungomare di San Benedetto del Tronto. Come si può intuire è una critica agli aspetti negativi del lavoro. È tra i miei interventi più importanti e significativi e ancora altri ne sto preparando. Devo mio malgrado confessare che in Italia non c’è molta consuetudine di arte pubblica, non la si rintraccia facilmente.

Ha lavorato anche per la televisione…

Esatto. Ho lavorato a diversi progetti per la RAI con cui collaboro da anni, ad esempio ho realizzato la serie di cartoni animati per bambini “Yo Yo”, oppure mi viene in mente la sigla di “Indietro tutta!” di Renzo Arbore…
Vede quindi che l’idea di cui parlavo all’inizio dell’artista che spazia con i linguaggi e le discipline ritorna sempre nei miei discorsi e nei miei fatti. L’artista fermo, statico, che si accontenta, a me non piace.

Ugo Nespolo ritratto by Violetta Nespolo, 2020
Ugo Nespolo ritratto by Violetta Nespolo, 2020

Negli anni ‘60 c’è stato un po’ il boom dei movimenti artistici, ma lei è sempre rimasto fedele al suo linguaggio eclettico e malleabile. È anche un importante testimone della nascita del cosiddetto “sistema dell’arte” e in un panorama in cui “tutto è arte” meno che l’arte stessa, lei riesce ad emergere per la sua poliedricità. Oggi si sente tanto “l’arte della pizza”, “l’arte del giardinaggio”, “l’arte del taglio e cuci”, e così via; tutto vuole essere arte e tutti sono artisti, ma personalmente sono dell’idea che un artista è da considerarsi tale solo se si pone delle questioni di tecnica e di pensiero, spinto da una costante ricerca per sé e per gli altri. In questo calderone di “posso farlo anche io”, cosa secondo lei definisce un’opera “Arte”? Consideri questa domanda come una sorta di scambio generazionale, poiché sono figlia di un modo nuovo di concepire l’opera d’arte.

Ha tutte le ragioni del mondo. In effetti diciamo che abbiamo un po’ addossato le colpe di questo a un movimento che aveva a che fare con la cultura e la filosofia. Dopo la modernità, l’idea di credere che il mondo segua la storia, che la tecnologia sia buona, che la scienza sia una guida, etc., è venuta una fase che ancora dura – una coda di quella fase ormai – che è quella della cosiddetta post modernità, la quale ha azzerato tutte le credenze e le sicurezze, facendo in modo che anche nel mondo dell’arte si fosse arrivati al “tutto va bene”. Questo accontentarsi di qualsiasi cosa è stato poi effettivamente messo in pratica se si pensa alle grandi mostre, alle biennali, a Kassel, dove di arte non c’era nulla di concreto. L’arte è diventata patrimonio del nulla. Tutto è uguale al nulla. Se tutto va bene allora anche il niente va bene. Se tutti sono artisti allora o nessuno è artista o lo sono veramente tutti. Noi abbiamo vissuto quest’idea e la stiamo vivendo ancora, ma con variazioni nuove che vedono l’arte come un bel decoro del sociale. Riflettiamo poi sul mercato dell’arte, dove vige la regola del “ciò che costa vale”, basta far costare qualsiasi cosa e dire che è un’opera d’arte; questo è l’assurdo meccanismo che il sistema dell’arte ha messo in pratica con molto successo, quindi lei vedrà se va in qualsiasi mostra contemporanea, vedrà di tutto, perché qualcuno ha pagato per averlo. Che sia un rubinetto o una balla di fieno, il collare del mio cane o una bottiglia vuota. Oggi abbiamo un panorama indistinto.
Tutto si dice che sia nato dalle idee di Duchamp e i suoi ready made, ma è un po una forzatura e brutta, fasulla. Quello che bisogna fare adesso è riflettere e capire che, siccome nell’arte non c’è mai stato e mai ci sarà un ritorno all’ordine, necessitiamo di un momento di grandissimo ripensamento, a livello internazionale.
Ci si potrebbe ispirare al pensiero dello storico americano James Elkins, il quale ipotizza che l’arte possa trovare una nuova spiritualità. Lasciando perdere il senso religioso, è una spiritualità propria dell’arte, dotata di una ragione profonda, una ragione che ci fa meditare sul senso. La scelta è fra l’anima o la distrazione. Se si ricerca l’anima allora guardiamo l’opera e chiediamo che quell’oggetto, quel pensiero (perché parliamo di arte anche come letteratura, teatro, filosofia…), abbiano la funzione di approfondire la mia voglia di conoscere, la mia sensibilità. Se invece vogliamo la distrazione, allora va bene tutto. Tutto è veloce, immediato e tremendamente marginale. Per chi si accontenta, la marginalità è tutto. In questo caso vale ancora di più il pensiero del filosofo Jean Baudrillard, che ho conosciuto molto bene, che diceva: “Ma perché non diciamo che è tutto finito allora?”.

È un pensiero assai profondo e giusto, meriterebbe riflessioni che non si limitino a quest’intervista. Rifletto spesso che, più che l’opera di Duchamp, sia stata mal interpretata la frase di Beuys “tutti possono essere artisti”, per cui tutti si sono sentiti in diritto di potersi autoproclamare artista, di qualsiasi cosa, anche del nulla. Sappiamo benissimo quello di Beuys era un invito a impegnarsi creativamente in ogni pratica quotidiana. Era un sollecito all’uomo di responsabilizzarsi nel confronti di ogni suo atto. Come possiamo ripensare l’arte?

L’arte ha dei grossi contenuti intellettuali; quello che è importante fare secondo me è ripensare a questo, perché se l’arte è solo un oggetto della mano allora anche il mio panettiere che fa delle pagnotte meravigliose è un grande artista, o il parrucchiere che mi taglia i capelli, anche lui è un artista? Cerchiamo di capire che cosa vuol dire fare arte, che cos’è l’arte, a cosa serve l’arte, se serve, se non serve, se ce ne sarà bisogno ancora, se non serve a niente o se è solo un oggetto di investimento. Se l’arte è investimento allora anche i prosciutti possono esserlo. Compro tanti prosciutti e non sbaglio, mi spiego?

Assolutamente si. Io molte volte parlo di “bananalizzazione” dell’arte perché sembra esserci un’affannosa ricerca dell’originalità a tutti i costi, banalizzando il pensiero riducendolo ad una banana attaccata al muro. Mi riferisco ovviamente allo smacco di Cattelan all’Art Basel di Miami qualche anno fa…

… è stato il massimo.

Si il massimo, o il peggio.

Concordo.

Ugo Nespolo, ritratto 2020 by Violetta Nespolo
Ugo Nespolo, ritratto 2020 by Violetta Nespolo

Immagine in evidenza: Ugo Nespolo – Storie di oggi, 1990, acrilici su legno, 170 x 470 cm (part.)