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“Visionarietà: la chiave di lettura della mia ricerca artistica”. Intervista a Emanuele Giannelli

di Teresa Lanna.

"Visionarietà: la chiave di lettura della mia ricerca artistica". Intervista a Emanuele Giannelli

Con le mie creazioni cerco di indagare nei dubbi e nel caos contemporaneo; emozionare e portare alla riflessione sono i miei obbiettivi. Spero che, di fronte ad una mia opera, possa nascere una connessione, che altro non è se non quella comunicazione che sta alla base del fare arte”.
I suoi lavori sono frutto di una commistione di vari materiali e tecniche, nonché di discipline ed arti diverse; malgrado ciò, c’è un elemento che le accomuna tutte, ed è la figura umana, disorientata di fronte al caos ed ai continui cambiamenti dei nostri tempi.

Parliamo dello scultore contemporaneo Emanuele Giannelli. Nato a Roma, ma di base a Pietrasanta, Giannelli è un artista sapientemente provocatore, che costruisce le sue opere sull’equilibrio perfetto tra arte figurativa e arte concettuale: “Tento di provocare un’energia, uno stimolo. La figura umana la elaboro non solo dal punto di vista formale, ma anche dal punto di vista concettuale; la figurazione è un mezzo per poter raccontare una storia”.

L’intervista

[Teresa Lanna]: Lei è nato a Roma nel 1962 e, quasi ventenne, si trasferisce a Carrara, dove, nel 1984, si diploma in Scultura all’Accademia di Belle Arti. Quando matura la scelta di voler intraprendere questo percorso?

[Emanuele Giannelli]: Scelsi Carrara per due motivi: il primo era che l’Accademia di Carrara, a mio avviso, era migliore di quella di Roma; in particolar modo per quanto riguarda la sezione scultura. Il secondo, invece, era legato al ritorno di mio padre in Versilia, dopo trent’anni di lavoro a Roma. All’epoca ero molto giovane, quindi quasi costretto a prendere tale decisione.

I suoi lavori sono, il più delle volte, installazioni monumentali che arricchiscono ancora di più importanti spazi e luoghi di prestigio del nostro paese; qual è il criterio che segue nella scelta dei vari posti in cui esporre e qual è il messaggio che le sue sculture cercano di trasmettere?

Installare un insieme di sculture davanti ad un palazzo antico, una piazza o una chiesa, ci permette di giocare tra queste due forze che sono il contemporaneo ed il vecchio. Non è semplice, specialmente in Italia, ma è stimolante. Si possono creare situazioni interessanti; linee, forme e colori moderni che si contrappongono a quello che era. Io credo che, se uniamo o accostiamo due cose che funzionano, esse possano andare tranquillamente d’accordo. Poter raccontare qualcosa dei nostri giorni, inserendola all’interno di un contesto antico, è come collegare due storie differenti, che in realtà non sono mai totalmente diverse; le vicende, infatti, si ripetono e siamo sempre noi esseri umani i protagonisti, nel bene e nel male.

Cacciatore di batteri

Tra le sue creazioni c’è il “Cacciatore di batteri”; riprendendone il titolo, metaforicamente, quali, a suo parere, sono i batteri più infestanti della nostra società?

Io credo che i batteri più insidiosi della nostra società siamo noi umani, dotati di grandi capacità scientifiche e tecnologiche, ma anche di un forte senso di autodistruzione. È difficile, per noi, saper gestire quello che inventiamo; siamo, infatti, capaci di trasformare le nostre idee positive in negative. Penso, ad esempio, alla robotica, alle intelligenze artificiali, alla clonazione, alle neuroscienze, eccetera.

Altro titolo eloquente delle sue opere è “Stati di allerta”. Quando li ha ideati e che cosa, secondo lei, ha contribuito, più di tutto, alla diffusione di una continua sensazione di incombente pericolo, e quindi tensione, nel mondo attuale?

I miei sono bipedi che diventano quadrupedi; che non si guardano in faccia, ma si annusano. Sono le nuove tribù che si affrontano nell’era della globalizzazione. Incombe una paura, uno stato d’allerta; è un gruppo scultoreo che cerca di raccontare la diversità e il conflitto di civiltà; come andare d’accordo, come sopportarci a vicenda.

Stati di allerta

Tra le sue sculture più conosciute, c’è “Mr. Arbitrium”; chi si cela dietro tale esemplare?

Forse, per spiegarlo bene, la parola chiave da usare è ‘consapevolezza’: in questo momento storico di grandi decisioni e cambiamenti, l’importante è sapere cosa sta succedendo ed avere, e ricercare, la giusta informazione. Mr. Arbitrium indaga cercando di capire il momento complesso che stiamo attraversando, tra il passato e un futuro molto prossimo; nella scelta che si impone tra l’affrontare il nuovo mondo che avanza o, al contrario, conservare i nostri valori tradizionali. Ognuno di noi è chiamato a decidere: i tempi sono sempre più veloci; il futuro incombe. La contemporaneità ci dà un’occasione di cambiamento, ma non possiamo sbagliare.

Altra figura significativa del suo percorso è “Dominia”, una donna che non si separa mai dal suo cellulare; intende rappresentare la nostra quasi totale dipendenza dai social?

Oltre a Dominia, penserei anche ad iMonkey Tribù, una trentina di scimmie con il cellulare in mano. Si tratta di un lavoro sui nostri neuroni a specchio, sulla nostra voglia di emulare gli altri. Oggi, con la diffusione dei cellulari ed i social network, si è sviluppato fortemente una specie di accostamento alle scimmie, animali da sempre molto vicini. L’importante è fissare il momento e gettarlo in rete il prima possibile per far sapere al mondo: “Io sono stato qui”. Condivisione? No, piuttosto un’ossessione. I Monkey Tribù siamo noi.

I suoi “Visionari”, uomini in punta di piedi, hanno dato il titolo ad una delle sue ultime mostre, allestite a Siena, presso i Magazzini del Sale di Palazzo Pubblico. Quali sono i loro pensieri e cosa vedono, con lo sguardo rivolto verso l’alto?

Ho deciso di intitolare la mostra a Siena Visionari perché una delle tematiche a cui tengo di più è proprio la visionarietà. Per me è un obbligo aprire le porte e ricercare nuovi sentieri, nuove immagini. L’insegnamento da dare ai giovani, a mio parere, rimane questo: desiderare e sognare. Ricercare oltre rappresenta forza; vuol dire riproporre continuamente energia positiva per poter affrontare, ogni giorno, la propria quotidianità con tutti i suoi problemi.

Anche i “Sospesi” riflettono quella percezione d’incertezza che ricorre in pressoché tutte le sue sculture; quali sono le categorie di persone che, più di altre, oggi vivono questo stato d’animo?

Con i Sospesi c’è la necessità di indagare sull’esistenza ed il suo significato; su quella continua sensazione di precarietà e di gravità. Veniamo al mondo galleggiando, dapprima nel ventre di nostra madre; in seguito, poi, la vita ti costringe all’esistenza, a compromessi e a crescite obbligate. Questi corpi, però, con le loro tensioni ci regalano un senso di ribellione e la voglia di combattere per uscire dalla percezione di caducità.

Mr. Kiribati

“Mr. Kiribati” è una delle sculture a lei più care; cosa rappresenta?

È un gruppo di esseri umani tutti uguali, con la sola differenza marchiata nel loro petto: un codice. Trattasi di un lavoro sull’omologazione; la società, tendenzialmente, è portata a dividerci, ad incasellarci come uomo, bianco, omosessuale, ebreo, comunista, drogato, e così via. Le divisioni mentali da sopportare sono molte; Kiribati cerca di ragionarci sopra.

Quanto impiega, mediamente, a creare opere così monumentali, e quali sono i macchinari, le strumentazioni, il personale di cui si avvale, di solito?

Molto difficile rispondere; direi tre mesi circa. Il mio lavoro parte della modellazione della creta, per poi evolversi in altri materiali come la resina o il bronzo.

Self portrait

Infine, c’è un’opera, in particolare, nella quale rivede di più sé stesso e a cui si sente particolarmente legato?

Direi “Self portrait”: una testa di scimmia con delle cuffie, intenta ad ascoltare musica.
Lo definirei un autoritratto della mia bestialità; un’autoanalisi delle mie difficoltà e dei miei difetti.
Rimane estremamente difficile accettarsi o migliorarsi; ma oggi, a mio avviso, è l’unica maniera per perfezionare anche la nostra società.

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Immagine in evidenza: Emanuele Giannelli – Mr._Kiribaty
Tutte le immagini © Emanuele Giannelli

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