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Andy is back: al PAN la mostra di Andy Warhol – Intervista al curatore Edoardo Falcioni

di Teresa Lanna.

Andy is back: al PAN la mostra di Andy Warhol - Intervista al curatore Edoardo Falcioni

In futuro tutti saranno famosi per quindici minuti”, affermava Andy Warhol. Ma forse egli non avrebbe mai immaginato che la sua fama, oltre a diventare mondiale, si sarebbe protratta ben oltre questo breve lasso di tempo e, anzi, non sarebbe mai scomparsa, neanche dopo la sua morte.

Andrew Warhola (questo il suo vero nome, ndr.), nacque il 6 agosto 1928 a Pittsburgh, città statunitense, capoluogo della contea di Allegheny, in Pennsylvania. Fu pittore, grafico, illustratore, scultore, sceneggiatore, produttore cinematografico, produttore televisivo, regista, direttore della fotografia e attore statunitense; figura principale del movimento della Pop Art e uno dei più influenti artisti del ventesimo secolo.

Andy is back (‘Andy è tornato’, ndr.): questo il titolo dell’esposizione dedicata al genio della Pop Art presso il Palazzo delle Arti di Napoli, nel cuore del centro storico della città partenopea.

La mostra comprende circa 130 opere e mira a ricostruire l’iter storico-professionale dell’artista in rapporto ai molteplici settori in cui si è espresso, sempre in modo originalissimo e stupefacente. “Quando il giovane Andrew Warhola approda nella dinamica New York City, nel 1949, è ancora un perfetto sconosciuto in cerca di una opportunità; inizia, così, a collaborare con diverse riviste di moda come Glamour, svolgendo il ruolo di illustratore di scarpe e accessori e, allo stesso tempo, disegna le copertine di album musicali e libri, inaugurando così la sua carriera come un grande artista commerciale. Gli anni ’60 si apriranno con il tentativo di Andy Warhol di avvicinarsi, per la prima volta, al mondo della pittura, che dal 1960 al 1964 si troverà completamente spiazzato e rivoluzionato dal suo modus operandi. In mostra sono presenti numerose opere appartenenti a questo momento storico, uno dei più prolifici dell’artista, a partire dalle prime icone pop, come la Campbell’s Soup, i Flowers e i volti noti del cinema e dello spettacolo come Marilyn Monroe o Liz Taylor”, afferma il curatore dell’esposizione, Edoardo Falcioni.
Teresa Lanna

L’intervista

[Teresa Lanna]: Se dovesse fare un ‘ritratto’ di Andy Warhol, quali appellativi gli darebbe per definire la sua opera?

Edoardo Falcioni

[Edoardo Falcioni]: “Su Andy Warhol, al giorno d’oggi, è stato detto tutto o quasi; sono stati approfonditi e interpretati molteplici aspetti psicologici in relazione alla sua produzione artistica. Conosciuto soprattutto come uno dei padri fondatori della Pop Art, Warhol è stato, in realtà, molto di più: in circa quarant’anni di carriera artistica egli ha saputo innovare, con la sua rivoluzionaria semplicità comunicativa, non soltanto la storia dell’arte, ma anche tutti i campi ad essa adiacenti: dalla moda alla musica, dall’editoria al mondo dello star system, dalla cinematografia al mondo dell’intrattenimento. Da questi presupposti nasce l’Andy Warhol dalla parrucca argentata che tutti conosciamo e vediamo nei suoi molteplici aspetti di artista, produttore cinematografico, fondatore del magazine Interview, collaboratore e amico delle più importanti star musicali. ‘Visionaria’ ed estremamente ‘anticipatrice’: questi sono i due appellativi che sicuramente userei per etichettare l’opera di Warhol. Negli anni sessanta, egli ha anticipato, attraverso i suoi celebri “15 minuti di fama” e i ritratti dello star system, tutta la superficialità e il desiderio di ‘arrivare’ che contraddistingue la nostra epoca. Non dimentichiamo che Warhol ha sempre desiderato un programma televisivo tutto suo; oggi gli basterebbe molto meno. Una pagina Instagram, per esempio”.

Tra l’opera ‘vulcanica’ di Warhol e Napoli sembra esserci molta affinità; può ritenersi uno dei motivi per il quale l’artista amava così tanto il capoluogo partenopeo?

“C’è un episodio, in particolare, che mi fu raccontato da un suo amico storico e che è esemplare in questo senso: prima di imbarcarsi per New York, all’aeroporto di Napoli, Warhol vide una bancarella con la scritta “Vesuvi di Warhol in tutti i formati disponibili”. Erano passati pochi giorni dall’inaugurazione della sua mostra da Lucio Amelio; l’episodio, senza dubbio, lo divertì e incuriosì parecchio”.

Perché questo titolo, Andy is back?

“Perché Napoli, per Warhol, costituisce un luogo familiare. In questa città, infatti, sono già state fatte diverse mostre su di lui. Questa volta, però, lo abbiamo voluto raccontare in una maniera inedita, approfondendo tutti gli ambiti in cui si è dimostrato un grande innovatore; il mondo della moda o della musica, per esempio”.

Con quale criterio sono state scelte le opere in mostra e qual è l’iter che bisogna seguire per fruire appieno dell’esposizione?

“La mostra si apre con le icone più celebri e conosciute (Marilyn, Campbell’s Soup, …), per poi proseguire in diverse sezioni in cui è stato ricostruito Warhol ‘l’uomo’: dai suoi autoritratti, alle fotografie che lo ritraggono allo Studio 54, al mondo della musica, della moda e così via. Ovviamente, non poteva mancare una stanza dedicata al suo rapporto con Napoli”.

Come si è avvicinato ad Andy Warhol e quali sono gli aspetti della sua opera che l’affascinano di più?

“Senza dubbio, Warhol mi ha affascinato per la sua capacità di rappresentare un’epoca in particolare, e cioè i mitici anni ’60; ma, soprattutto, per essere stato in grado di diventare un padre spirituale di un’altra epoca, che è quella che mi appassiona più di tutte: gli anni ’80”.

Warhol comprese presto la possibilità di trasformarsi in una vera e propria star; per questo, curava la sua immagine pubblica nei minimi dettagli. Può essere paragonato ai moderni influencer?

“In un certo senso sì, anche se in realtà Warhol ha sempre utilizzato la superficialità come arma per proteggere la propria intimità e il suo autentico carattere. Ancora prima di artisti come Jeff Koons o Damien Hirst, Andy si rivelò un luminare nel comprendere per primo la possibilità di trasformarsi in una vera e propria star; per questo motivo, la sua immagine pubblica era studiata nei minimi particolari, e quello che contava era essenzialmente la sua identità visiva distintiva. Da questo aspetto è facile desumere il forte legame che l’artista instaurò, sin dall’inizio, con il mondo della moda: da giovane, negli anni ‘50, creò illustrazioni per Vogue e Harper’s Bazaar. In seguito, conobbe e ritrasse i più famosi designer tra cui Diane von Furstenberg, Giorgio Armani, Gianni Versace, Valentino, Yves Saint Laurent e Halston. Per quest’ultimo, con cui strinse un rapporto di sincera amicizia, realizzò anche un’importante campagna artistico-pubblicitaria e varie locandine offset su carta, oggi considerate un perfetto esempio di connubio tra arte e moda”.

Fra le varie opere esposte, ce n’è una che l’ha colpita più di altre, e perché?

“Difficile sceglierne una in particolare; sicuramente i suoi autoritratti, che realizzò dai primi anni ’60 sino agli ultimi anni della sua esistenza, sono il corpus di opere che mi hanno sempre colpito più delle altre”.

Come accolsero lo stile di Warhol gli artisti del suo tempo e quali sono le figure più rappresentative della Pop Art, oltre a lui?

“La filosofia, ma soprattutto la tecnica del giovane Warhol, erano visti, nei primi anni ’60, quasi come una provocazione all’Espressionismo Astratto, movimento allora preponderante negli Stati Uniti. Per comprendere l’orrore che in molti provavano per la sua arte, basta pensare che Jasper Johns, pupillo della Galleria Castelli, che era già andato ben oltre l’insegnamento degli espressionisti astratti ed era considerato estremamente innovativo per la sua epoca, si era rifiutato, in principio, di condividere la scena artistica con Andy Warhol. Durante una conversazione con il suo mercante Leo Castelli, che inizialmente non vedeva di buon occhio, a sua volta, Andy, e, anzi, lo riteneva una copia di Roy Lichtenstein, aveva espresso, senza troppi giri di parole, la sua opinione: “O io, o lui” “.

Come si evolse il rapporto tra Andy Warhol ed il gallerista Lucio Amelio?

“Fu Lucio Amelio a presentarlo a Joseph Beuys; stiamo parlando di tre giganti che hanno fatto la storia dell’arte del secondo Novecento”.

In mostra c’è anche la ricostruzione in dimensioni reali della ‘Silver Factory’; ce la vuole descrivere?

“Il vero colpo di genio, attraverso cui Warhol riuscirà a dare forma al suo sogno di diventare un vero artista e non più un semplice pubblicitario, consisterà nella creazione del contesto fisico ideale per raggruppare artisti e creativi di ogni genere, con l’ambizione di trasformare l’euforia degli anni ’60 in arte: dal momento che Warhol aveva avuto modo di conoscere dall’interno i sofisticati mezzi di comunicazione di massa, perché non andare oltre al concetto di galleria d’arte tradizionale e creare così un qualcosa di completamente nuovo e autonomo? Da questi presupposti nacque la celebre The Factory, che venne chiamata così per il ritmo frenetico che assunse durante la creazione delle sculture serigrafate Brillo Box, facendo, in tal modo, sembrare questo studio una vera e propria fabbrica. Da quando Leo Castelli, il gallerista che rappresentava tutti gli artisti pop, accolse Andy Warhol nella sua scuderia, i rapporti di lavoro con la lui e la sua Factory furono condotti con una certa distanza, come se si trattasse di un imprenditore a capo della sua entità aziendale, e non di un pittore qualsiasi obbligato a sottostare agli ordini del suo mercante di fiducia. Alla concezione dell’artista solo e pensante nel suo studio, si sostituì, così, quella dell’artista-businessman, circondato da tutti i suoi dipendenti e collaboratori; da lì, la Silver Factory (altro appellativo col quale venne denominato quell’anomalo studio, dal momento che le pareti erano tutte tappezzate di carta d’alluminio e dipinte d’argento), divenne il luogo dove si riuniva il mondo della New York underground. In quell’enorme spazio, situato inizialmente al 231 East 47th Street, si produceva tutto: quadri, film, cover musicali, sculture, copertine di riviste e molto altro. Nella sala della Factory, in cui abbiamo cercato di riprodurre fedelmente lo storico divano rosso insieme ai Silver Pillows ed altre decorazioni, abbiamo voluto creare un contrasto tra il Warhol più intimo, che è quello che emerge dai suoi Autoritratti cui facevo riferimento prima, ed il Warhol più sociale, ovvero quello che vien fuori dalle fotografie storiche che lo ritraggono in compagnia di amici e stars della New York anni ’70 e ’80”.

Una foto significa che so dove ero ogni minuto. Ecco perché faccio fotografie. È un diario visivo”, affermava il padre della Pop Art. È proprio grazie a questo repertorio di immagini incredibilmente vasto e variopinto che possiamo, ancora oggi, ricostruire il percorso artistico ed umano di Andy Warhol; un personaggio dai mille volti, sempre diversi, attraverso i quali, forse, cercava di nascondere una profondità da proteggere e custodire dietro una apparente superficialità.

fino a domenica 31 Luglio 2022
Andy is back
PAN PALAZZO DELLE ARTI NAPOLI
Via dei Mille, 60, 80121 Napoli