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Dai “buchi” ai “tagli”: gli infiniti volti dell’opera di Lucio Fontana riflessi nel suo “Autoritratto”

di Teresa Lanna.

Dai "buchi" ai "tagli": gli infiniti volti dell'opera di Lucio Fontana riflessi nel suo "Autoritratto"

Le sue opere sono presenti in molti musei d’arte moderna e contemporanea d’Italia, tra i quali: la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, il Museo Madre di Napoli, il Castello di Rivoli, la GAM di Torino, la GAMeC di Bergamo, il MAMbo di Bologna, e diversi altri. Durante il suo lungo percorso artistico ha tenuto numerose personali in tutto il mondo e ha partecipato a varie edizioni della Biennale di Venezia e di Documenta di Kassel, ottenendo importantissimi riconoscimenti.

Parliamo di Lucio Fontana (Rosario di Santa Fe 1899 – Comabbio 1968), uno dei più grandi artisti dell’arte del novecento. Promotore di numerosi manifesti del Movimento Spazialista, a cominciare dal “Manifiesto Blanco” del 1946 – dove si afferma che “la materia, il colore e il suono in movimento sono i fenomeni, lo sviluppo simultaneo dei quali sostanzia la nuova arte” – avvia un processo che lo porterà all’introduzione di una nuova dimensione nelle sue opere. Sperimentatore totale, all’inizio si cimenta con materiali di vario tipo, come marmo, gesso e ceramica. Nel 1949, nasce la sua invenzione più originale. Forse spinto dalla sua origine di scultore, realizza i primi quadri forando le tele. Queste opere pittoriche sono caratterizzate da costellazioni di ‘buchi” fatti sulla superficie della tela, la cui serie viene portata avanti costantemente anche negli anni successivi. I primi lavori presentano vortici di buchi; dal ‘50 in poi, i vortici lasciano spazio a buchi organizzati in base a sequenze ritmiche più regolari.

Essi hanno un’origine prettamente ‘spaziale’; il loro significato, infatti, va ben oltre la tela, essendo considerati vere e proprie aperture verso uno spazio ulteriore:
La scoperta del cosmo è una dimensione nuova, è l’infinito, allora buco questa tela, che era alla base di tutte le arti e ho creato una dimensione infinita, un’x che, per me, è la base di tutta l’arte contemporanea. Sennò continua a dire che l’è un büs, e ciao”.
(dall’intervista a Lucio Fontana di Carla Lonzi in “Autoritratto”, 1969)

Nel 1951, Fontana realizza la celebre Struttura al neon per la IX Triennale di Milano, passando, pionieristicamente, dai lavori concepiti appositamente per trasmissioni televisive sperimentali (1952) e approdando, nel 1958, ai famosi “Tagli”.

La mostra “Lucio Fontana. Autoritratto”in corso presso la Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo presso Parma, ci fornisce la preziosa occasione di approfondire l’opera di un artista incredibile che, ancora oggi, non smette di stupirci, innescando nella nostra mente una serie di quesiti le cui risposte vanno ricercate oltre lo spazio e la superficie ristretta del mondo già noto, rappresentato dalla tela, per proiettarsi verso mondi sempre nuovi e tutti da scoprire.

L’esposizione di Parma, composta da circa cinquanta opere, trae origine dal rapporto tra l’artista, esponente assoluto dello Spazialismo e dell’arte del XX secolo, e la storica dell’arte Carla Lonzi, allieva del grande Roberto Longhi, che ha rivoluzionato l’idea della critica militante con il suo volume di interviste “Autoritratto. Accardi Alviani Castellani Consagra Fabro Fontana Kounellis Nigro Paolini Pascali Rotella Scarpitta Turcato Twombly”, edito da De Donato, Bari, nel 1969.

Carla Lonzi (Firenze 1931 – Milano 1982) inizia il proprio percorso collaborando con celebri gallerie e periodici, presentando, in seguito, il lavoro di Carla Accardi alla Biennale di Venezia del 1964. Nello stesso periodo, inizia ad intervistare diversi artisti con l’ausilio di un registratore (strumento alquanto innovativo per la critica d’arte dell’epoca), poi trascritte e raggruppate per essere pubblicate, appunto, nel volume “Autoritratto” del 1969. Ogni artista parla in prima persona, esponendo profonde riflessioni sulle proprie ricerche, sul sistema dell’arte nonché sulla propria vita privata. Emergono le idee di partecipazione e di complicità tra il critico e l’artista, che scardinano la visione della critica ufficiale del tempo, con giudizi molto schietti da parte di Fontana su grandi artisti come Jackson Pollock e Robert Rauschenberg. “Autoritratto” rappresenta anche, simbolicamente, il confine che segna l’uscita di Carla Lonzi dal sistema dell’arte per fondare, l’anno seguente, il gruppo “Rivolta Femminile”.

L’esposizione, quindi, segue, narrativamente, la conversazione tra Fontana e Lonzi, con lavori che toccano i momenti salienti e peculiari della ricerca fontaniana.

In mostra è possibile ammirare opere di vari periodi, dalle sculture degli anni Trenta ai “Concetti spaziali” (“Buchi” e “Tagli”) dagli anni Quaranta ai Sessanta, oltre ai “Teatrini” e alle “Nature” bronzee; spettacolari sono l’enorme “New York 10” del 1962, pannelli di rame con lacerazioni e graffiti, in dialogo con la luce a evocare la sfavillante modernità della metropoli, e la potentissima “La fine di Dio” (1963), grande opera realizzata a olio, squarci, buchi, graffiti e lustrini su tela, emblematica della concezione spazialista e, al contempo, religiosa, dell’artista. Il percorso si conclude con opere di Enrico Baj, Alberto Burri, Enrico Castellani, Luciano Fabro, Piero Manzoni, Giulio Paolini, Paolo Scheggi, provenienti dalla collezione personale di Fontana; artisti più giovani, da lui seguiti e promossi.

L’esposizione è curata da Walter Guadagnini (già curatore di due importanti mostre presso la Villa dei Capolavori), Gaspare Luigi Marcone (storico e curatore di numerosi progetti sugli artisti italiani del XX secolo) e Stefano Roffi (direttore scientifico della Fondazione Magnani-Rocca). Abbiamo posto loro qualche domanda in merito alla mostra, ma anche sulla figura di Lucio Fontana. 

[Teresa Lanna]: Se doveste fare un ‘ritratto’ di Lucio Fontana, quali appellativi gli dareste per definire la sua opera?

[i Curatori]: Rivoluzionaria, radicale, sperimentale. Tutti elementi che lo hanno fatto diventare ormai un ‘grande classico’ del Novecento.

Perché si è scelta Carla Lonzi e la sua opera per dare il titolo a questa mostra? Da chi è stata concepita tale idea?

Lucio Fontana è un artista che ha prodotto lavori e pensieri straordinari, sperimentando forme e materiali eterogenei. È un artista che offre continuamente spunti critici e ipotesi di ricerca. Tra le numerose ‘mostre possibili’ abbiamo pensato che seguire il filo critico-narrativo delle sue parole nell’intervista a Carla Lonzi potesse illuminare in modo diverso le sue opere e quindi la mostra alla Fondazione Magnani-Rocca.

Con quale criterio sono state scelte le opere di Fontana e qual è l’iter che bisogna seguire per fruire appieno dell’esposizione?

Abbiamo cercato di seguire le tipologie di opere citate da Fontana nel dialogo con Carla Lonzi. L’artista spiega bene i suoi vari momenti biografici e creativi, la produzione più classica e la sperimentazione più radicale con una lucidità molto rara. In mostra quindi era doveroso documentare i vari momenti del suo percorso. Si parte da alcune opere cosiddette figurative, le sculture astratte, poi i primi “Concetti spaziali” con i “buchi” e, successivamente, pian piano, si incontra tutta la sua produzione fino ad arrivare all’ultima sala dove è allestita parte della sua collezione privata.

Oltre i “buchi” e i “tagli” che Fontana operava nelle sue tele, cosa ‘legge’ ciascuno di voi?

Oltre i “buchi” e i “tagli” vi è una dimensione nuova. Forse uno dei più grandi messaggi donati da Fontana è la “libertà infinita” che si può cercare e trovare oltre i limiti della materia.

Nella mostra c’è anche un audio inedito di Fontana; cosa emerge a proposito del suo lavoro e delle idee di fondo che lo caratterizzano?

Dopo l’intervista del 10 ottobre 1967, Carla Lonzi dona a Fontana le bobine con la registrazione integrale, da sempre custodite presso la Fondazione Lucio Fontana di Milano, che ha fornito un supporto attivo straordinario a tutto il progetto. Paolo Campiglio è stato il primo a trascrivere e ad analizzare l’intervista, in analogico; successivamente, grazie alle tecnologie digitali, è stato possibile ‘restaurare’ il materiale per avere un suono più nitido e scoprire parti meno comprensibili ottenendo una nuova trascrizione ancora più fedele all’originale.

Fra le decine di opere esposte, ce n’è una che vi ha colpito più delle altre, e se sì, perché?

Probabilmente il “Concetto spaziale” con buchi su tela del 1949 (Patrimonio artistico del Gruppo Unipol), uno dei primissimi lavori ‘bucati’; come dice Fontana “i miei quadri, i primi, eran senza colore… Era la pura tela bucata”. Una quindicina d’anni prima, però, Fontana realizza un’opera più ‘classica’, “Il Fiocinatore” (CSAC, Università di Parma), scultura in gesso dorato e dalle indubbie qualità formali, nella quale emerge già tutta la sua riflessione sulla luce e sulla smaterializzazione della forma e della materia. In questo breve elenco non può mancare la meravigliosa “Fine di Dio” del 1963 (Fondazione Lucio Fontana, Milano) che chiude la mostra.

Nell’esposizione ci sono opere di vari periodi, dalle sculture degli anni Trenta ai “Concetti spaziali” (“Buchi” e “Tagli”) dagli anni Quaranta ai Sessanta, oltre ai “Teatrini” e alle “Nature” bronzee, etc. Come cambia l’opera di Fontana nel corso del tempo e quali sono i materiali coi quali l’artista si cimenta più frequentemente?

Come accennato, nel suo lungo percorso artistico Fontana sperimenta e usa tecniche e materiali molto diversi. Non bisogna dimenticare anche le sue collaborazioni con prestigiosi architetti, dove ha usato materiali più ‘canonici’, ma anche composizioni con neon e luci; per esempio, per la grande “Struttura al neon per la IX Triennale di Milano” del 1951. Un posto di rilievo è dato dalla ceramica, senza dimenticare il cemento, il bronzo o vari materiali metallici. Per il grande pubblico, ovviamente, le tele bucate o tagliate, in particolare nell’ultimo decennio della sua produzione, sono tra le opere più note e riconoscibili. Bisogna comunque ricordare che per il Fontana ormai ‘maturo’, forme, materie e colori erano aspetti secondari. Egli, piuttosto, cercava di spostare la ricerca sempre più su una questione mentale, filosofica; lo evidenzia lui stesso: “Ora, vedi, io ti ho detto prima il buco: non mi sono preoccupato di una tecnica perché a me interessava l’idea, e allora ho bucato la tela e non ho pensato di bucare una latta, ma il valore sarebbe stato uguale, no? Ho bucato le latte anche, dopo, tanto per ribellarmi anche alla tela, ma poi ho pensato, la materia c’aveva poco a che fare, no?”.

La fine di Dio”, del 1963, è un’altra delle spettacolari opere esposte; qual è il messaggio che Fontana intende trasmettere con essa e quale era il suo rapporto con la spiritualità?

Per dei temi così universali e delicati forse la cosa migliore è rispondere con le parole dello stesso Fontana che, come detto, sono alla base di questa mostra: “C’era il buco che è sempre il nulla, no? E Dio è nulla… erano, coincidevano anche con la mia idea: non credo a [dei] sulla Terra, è inammissibile; ci possono essere dei profeti, ma non [degli dei], e Dio è invisibile, Dio è inconcepibile. Dunque, oggi un artista non può presentare Dio su una poltrona col mondo in mano, la barba… E allora ecco che, anche le religioni, devono aggiornarsi con le scoperte della scienza […] E allora, io faccio un gesto, credo in Dio, faccio un atto di fede… Dunque: Dio è nulla, ma è tutto, no?”.

Il percorso si chiude con opere di Enrico Baj, Alberto Burri, Enrico Castellani, Luciano Fabro, Piero Manzoni, Giulio Paolini e Paolo Scheggi. Quali sono i punti in comune tra queste opere e quelle di Fontana e come, quest’ultimo, ha influenzato i vari artisti suoi contemporanei o più giovani, che a lui si sono ispirati?

Nella conversazione Fontana parla molto dei giovani artisti, argomento caro, non solo per questioni generazionali, anche a Carla Lonzi. Tra gli artisti collezionati da Fontana non sempre vi sono analogie strettamente formali; Fontana amava i giovani pionieri e sperimentatori in cui forse rivedeva sé stesso (un’altra sorta di “autoritratto”). Per esempio, acquista subito Studio per “Lo Strappo” del 1952 di Burri, esposto alla Biennale di Venezia dello stesso anno. Fontana si è dimostrato sempre generoso verso i più giovani, sia con l’acquisto delle loro opere che partecipando alle loro mostre e manifestazioni, oppure scrivendo brevi presentazioni critiche. Per esempio, collabora spesso con il Movimento Arte Nucleare fondato da Enrico Baj e Sergio Dangelo e a cui si aggregherà, per poco tempo, anche il giovanissimo Piero Manzoni. Proprio di Manzoni Fontana acquista una delle primissime “Linee” (in particolare la “Linea m 9,48” ancora con l’etichetta manoscritta) esposte ad Albissola nell’estate del 1959. Analogie formali e concettuali si ritrovano in Paolo Scheggi con le sue tele forate sovrapposte.

Come nasce in Fontana l’idea di ‘bucare’ la tela e qual è la prima opera così fatta?

In un passo dell’intervista l’artista afferma: “La scoperta di Einstein del cosmo è la dimensione all’infinito, senza fine. E, allora, ecco che: primo, secondo e terzo piano… per andar più in là cosa devo fare? Niente, io se piglio una macchinetta faccio la luce e faccio la luce, invece, idealmente, come documentazione, come formula, era quello di dire ‘io buco, passa l’infinito di lì, no? Passa la luce, non c’è più bisogno di dipingere’”. O ancora: “siccome il quadro è di tre dimensioni: primo piano, secondo e terzo, ideali, da Paolo Uccello, dalla prospettiva… più in là della prospettiva… la scoperta del cosmo è una dimensione nuova, è l’infinito, no? E allora io buco questa tela, che era alla base di tutte le arti, e ho creato una dimensione infinita”. Nella mostra alla Magnani-Rocca sono esposte alcune di queste prime opere ‘bucate’, come il “Concetto spaziale” della collezione Unipol già citato o un lavoro su carta telata del 1949 della Fondazione Lucio Fontana di Milano.

Come accolsero lo stile di Fontana gli artisti del suo tempo e quali sono le figure più rappresentative dello Spazialismo, oltre a lui?

Spesso le ricerche più rivoluzionarie non riscontrano un successo immediato anche se Fontana ha avuto sin da subito alcuni estimatori, esponendo in varie istituzioni europee e nelle principali rassegne artistiche. Lo Spazialismo, sviluppatosi tra Milano e Venezia anche grazie al supporto delle gallerie di Carlo Cardazzo, ha avuto svariati membri, alcuni anche passeggeri. Si ricordi, per esempio, che anche Alberto Burri firma il “Manifesto del movimento spaziale per la televisione” (1952) insieme ad altre personalità che meriterebbero un po’ più di ‘glorie’. come Roberto Crippa, Gianni Dova, Beniamino Joppolo, Milena Milani, Tancredi Parmeggiani, Cesare Peverelli e altri. In un’Italia in cui erano ancora visibili le macerie della Seconda Guerra Mondiale, vi era una voglia di aggregarsi per ricostruire il presente e il futuro. Fontana, memore anche della lezione futurista, ha guardato sempre ‘oltre’, per poi aprire, a sua volta, nuove strade di ricerca seguite, direttamente o indirettamente, da molti artisti più giovani.

fino a domenica 3 Luglio 2022
Lucio Fontana. Autoritratto
FONDAZIONE MAGNANI ROCCA
via Fondazione Magnani Rocca, 4, 43029 Mamiano di Traversetolo, Parma

Immagini: foto di Tommaso Crepaldi