di Fabiana Maiorano.
Questo articolo è parte della rassegna “Gender Fluid. L’Arte sfida i binarismi di genere – Mostra virtuale 3d“
Il Novecento è stato un periodo storico di grandi svolte e cambiamenti dal punto di vista artistico, caratterizzato dalla nascita di svariati movimenti e tendenze che hanno rivoluzionato radicalmente il modo di fare e concepire l’arte. In particolare, durante la Prima Guerra Mondiale, in Svizzera si assisteva allo sviluppo del Dadaismo, una tra le più importanti Avanguardie storiche, che ha avuto un impatto fortissimo sull’arte contemporanea e che con il suo anticonformismo e l’enfasi sull’irrazionalità, ha messo radicalmente in discussione i canoni artistici (ed estetici) tradizionali aprendo la strada a nuove e bizzarre sperimentazioni. Lo stesso termine “dada” non significa nulla, anzi pare gli artisti l’avessero scelto aprendo a caso un vocabolario tedesco-francese, alla ricerca di un nome per la loro protesta, di base antibellica, anti razionale, anti tradizionalista, anti tutto, a favore solo e unicamente della libertà espressiva e derisoria.
Marcel Duchamp (1887-1968) è stato tra i più significativi artisti dada e il suo ragionamento ruotava attorno alla possibilità di realizzare opere non d’arte, ossia opere prive di qualità estetiche, caratterizzate da una bellezza indifferente alle logiche artistiche esistenti. Da questo pensiero nacquero i ready made, ossia oggetti “già fatti” e prodotti in serie che l’artista selezionava e firmava, presentandoli come opere d’arte, con alterazioni minime o nessuna. Attraverso questo processo di decontestualizzazione di un oggetto anonimo e la sua esibizione come manufatto artistico, Duchamp sfidò la nozione di cosa potrebbe essere arte e da chi potrebbe essere creata.
In breve: esplorando il caso e l’apertura mentale ha avanzato l’idea, rivoluzionaria, dell’arte non limitata alla realizzazione manuale dell’opera ma al concetto che vi è dietro. Il compito dell’artista è quello di renderlo visibile.
Il suo ready-made più famoso è senza dubbio “Fountain”, un comune orinatoio rovesciato e recante la firma “R.Mutt 1917”. Titolo e firma rovesciano la realtà dell’oggetto annullando la sua praticità quotidiana e creando per lui una nuova idea e un nuovo contesto.
La produzione di Duchamp conta migliaia di esemplari tra disegni, oggetti, sculture e fotografie e, alla luce delle doverose premesse, vorrei focalizzare l’attenzione su un importante ready-made del 1920: Rrose Sélavy.
Una caratteristica della ricerca dell’artista ruota attorno alla ricerca ossessiva di una mimesi, di un cambio d’identità (come è stato per “Fountain” firmata da R.Mutt) e nell’autunno del 1920 attuò una metamorfosi personale cambiando la propria sessualità, il proprio nome e la religione.
«Volevo cambiare identità, e la prima idea che mi è venuta è stata di assumere un nome ebraico. Ero cattolico, quindi passare da una religione a un’altra era già un cambiamento! Ma non trovavo un nome ebraico che mi piacesse o mi tentasse, finché di botto ho avuto un’idea: perché non cambiare sesso? E di lì è venuto il nome Rrose Sélavy.» 1
Un nome che tutto sembra purché casuale, dato che gioca con ambiguità erotiche e goliardiche. Pronunciato velocemente, infatti, suona come la frase francese “Eros, c’est la vie” (Eros è la vita), mentre la “r” ripetuta all’inizio rimanda ad “Arroser la vie” (Brindare alla vita).
Marcel Duchamp è stato il primo artista a trasformarsi in un ready-made vivente, decontestualizzando la propria identità e rovesciando la realtà dando vita a Rrose Sélavy, suo alter ego femminile fotografato in diverse pose dall’amico Man Ray, insieme al quale Duchamp iniziò ad esplorare le potenzialità della fotografia come medium artistico.
Rrose fu il primo personaggio a sfidare le convenzioni di genere nell’arte, che all’epoca era un mondo dominato dagli uomini e segnò la scena artistica firmando un’opera di Francis Picabia, oltre a tutta una serie di oggetti (come ad esempio il profumo “Belle Heleine – Eau de Violette”) e opere letterarie.
La sua figura non è stata mai completamente definita da Duchamp, rimane ad oggi enigmatica e aperta a molteplici interpretazioni e spunti di riflessione. Per tale motivo si è deciso di includere questo approfondimento nel contesto della mostra virtuale di Arte.go “Gender Fluid. L’arte sfida i binarismi di genere” perché a distanza di più di un secolo Rrose Sélavy è più attuale che mai, con il suo invito a scegliere di trasformarci e appropiarci di altre identità, propagandando, anche pubblicamente, l’idea dell’androginia per stimolare la mente a riflessioni che superano pregiudizi e timori.
Fabiana Maiorano
Copyright
Tutte le immagini: fonte Wikimedia Commons
Immagine in evidenza
Rrose Sélavy (Marcel Duchamp), 1921 photograph by Man Ray, art direction by Marcel Duchamp, silver print, 5+7⁄8 in × 3+7⁄8 in (149 mm × 98 mm), Philadelphia Museum of Art
Questo articolo è parte della rassegna “Gender Fluid. L’Arte sfida i binarismi di genere – Mostra virtuale 3d“