Jago in mostra: “Guardo il mondo che mi circonda”

di Paola Milicia e di Teresa Lanna.

Jago in mostra: "Guardo il mondo che mi circonda"

A Palazzo Bonaparte, prima grande esposizione di Jacopo Cardillo, in arte, Jago, giovane talento e “fenomeno” del momento, con una carriera già ricca di riconoscimenti da parte della critica e di un rumoroso seguito di fan nazionale e internazionale.

Una raccolta che non conta numerose opere, ma si sa che la scultura esige una scrupolosa progettualità e un’altrettanta paziente esecuzione tecnica che può richiedere anni, perché plasmare la materia è un atto creativo potentissimo che reclama energia e vitalità. Se a questo, si aggiunge il fatto che Jago è l’inventore di un’immagine complessa e coordinata tra l’artista e un social media manager, tra moderno (art)business- self-made man e illustratore di sé stesso, ovvero, di un uomo che si affida solo alle sue intuizioni umane e artistiche, si capisce l’immensità della determinazione che è alla base di un progetto rischioso, che fa parlare di sé, ma dal successo garantito.

Jago – Venere, 2018. Marmo, 70x70x193 cm. Photo by Dirk Vogel

Jago è presente lungo tutta la filiera della sua opera: dal reperimento dei materiali alla esecuzione che avviene con l’ausilio dello scalpello e di tanta potenza e capacità tecnica, passando per la preparazione di bozzetti in argilla, al gesso, e solo dopo alla esecuzione della scultura finita, così come alla fase ultima di interazione con il suo pubblico. Jago concilia un’altissima coscienza della materia e della sua plasmabilità, con la immaterialità e virtualità della comunicazione a cui si affida “spogliato” della sua popolarità, staccato dal divino olimpo di star inarrivabile: è un artista autentico e immediato ispirato al suo tempo (anche digital) che non ha bisogno di essere accostato ai grandi nomi del passato. Non è il debito verso Canova o Michelangelo a motivare il suo lavoro, né un’angoscia torturata di una generazione che non sa quale professione intraprendere, ma il desiderio di esprimersi e fare un lavoro con cui continuare a guardare sé stesso e a inseguire le proprie ambizioni.

Jago è un uomo che lavora guardando avanti e attorno a sé, è capace di risvegliare e portare in sé il senso e l’essenza di un’epoca, rileggendo il passato e la tradizione dei grandi maestri in una complessa sfaccettatura di forme viste insieme nella frattura e nella continuità.

Pontefici, feti galattici, kalašhnikov, un padre piangente e una vittima di guerra: tra rilettura inedita e citazione provocatoria, tra riscrittura contemporanea e iconica, tutte le varianti mettono in discussione la definizione di modello, di emulazione e il valore di passato nel suo modo d’essere compreso oggi.

Foto di Gianfranco Fortuna per Arthemisia

Scriveva Massimo Bontempelli: “la tradizione non è il passato morto, ma quello che vive e si tramuta.1 Questo è Jago: non un nostalgico ritorno a una materia d’archivio, ma un esempio che raccoglie quello che del passato persiste per muoverlo verso nuovi linguaggi estetici e sociali contemporanei, verso nuove masse da accostare all’arte.

“Io mi considero un uomo e uno scultore del mio tempo. Utilizzo metodi tradizionali trattando temi fondamentali della realtà in cui vivo. Il legame con il contemporaneo è fortissimo. Guardo al mondo che mi circonda, racconto dei bimbi che muoiono, delle donne che vogliono avere un loro posto della società, della violenza diffusa, temi di tutti tempi ma oggi al centro. La mia scultura è lingua viva… Utilizzare una lingua e non significa copiarla. Mi riconosco in un linguaggio e lo adotto. Sento l’esigenza di realizzare un collegamento con quello che vedo, senza spirito di emulazione. Sono me stesso.”

Dalla simbologia semplice e spontanea, le opere di Jago non aderiscono alla grazia né alla lucentezza del marmo e alla levigatura perfetta della materia, ma al contrario ribadiscono l’attrito e la ruvidezza come l’attualità comanda.

Come nell’opera Habemus Hominem, nella quale il denudamento del pontefice ne esalta l’umanità e l’uguaglianza tra gli uomini; come in Venere privata della sua simbolica bellezza, per abbracciare valori di una diversa verità; come nella figura del bambino sottratto all’infanzia, precocemente privato del suo diritto a vivere (Figlio Velato, 2019); o in quella di un padre che sorregge il figlio adolescente, morbidamente inerme (Pietà, 2021) o come il piccolo feto spaziale immerso nella solitudine di un mondo inesplorato, scolpito in marmo e affidato alle cure dell’astronauta Luca Parmitano che lo ha portato nello spazio nel 2019, tornato in Terra l’anno successivo (First Baby, 2019).

Paola Milicia

Jago, l’artista che dà un’anima al marmo, racconta il suo percorso

Jago – Photo by Dirk Vogel

Mi riconosci, ho le tasche piene di sassi”, canta Jovanotti in una sua canzone pubblicata qualche anno fa. Basterebbe questo verso ad evocare i primi passi del percorso artistico di Jago, pseudonimo di Jacopo Cardillo, artista originario di Frosinone e le cui opere sono note ed apprezzate a livello mondiale.

Ha iniziato a creare senza grandi mezzi, né materiali né economici, raccogliendo pietre di marmo sul greto di un fiume alle pendici di una cava, sulle Alpi Apuane. “Era una necessità; non potevo permettermi l’acquisto di un blocco di marmo per scolpire l’opera che immaginavo, e allora recuperai questi scarti di sassi all’interno di una cavatura. In questi luoghi ho sviluppato un meccanismo creativo tra quanto era già stato scolpito dal fiume e le mie idee, lasciandomi però guidare dal caso e dalla necessità del momento, cercando di immaginare cose diverse all’interno di materiali che sapevano anche suggestionarmi in modo sempre nuovo”.

È quanto gli accade anche oggi: “Mi capita spesso di avere un progetto e mentre lo metto in atto accadono delle cose che ti fanno cambiare strada, ed allora viene fuori un risultato del tutto diverso. È questo il bello della scoperta”.

Foto di Gianfranco Fortuna per Arthemisia

Ma non sempre è stato così. “Mi è capitato molte volte di fare cose che non erano in linea col mio desiderio, pur di soddisfare la necessità del committente”, afferma Jago. La più eclatante è il busto in marmo di Papa Benedetto XVI (2009), scultura poi rielaborata nel 2016, col nome di Habemus Hominem e divenuta una delle sue opere più significative. “Non aveva niente a che fare con la tipologia di ritratto che avevo in mente, tutt’altro che istituzionale, per cui sono intervenuto nuovamente, anni dopo, facendo emergere l’uomo, oltre il ruolo”.

L’opera, che raffigura la spoliazione del Papa emerito dai suoi paramenti, è stata esposta a Roma, nel 2018, presso il Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese, con un numero record di visitatori  (più di 3.500 durante la sola inaugurazione).

Questo ed altri capolavori sono protagonisti di Jago. The Exhibition, la prima grande mostra dedicata a Jago presso Palazzo Bonaparte, a Roma (fino al 3 luglio 2022).

La genialità moderna di Jago viene raccontata per la prima volta in una personale in cui sono esposte tutte le opere realizzate sino ad oggi, dai piccoli sassi di fiume scolpiti (da Memoria di Sé a Excalibur), fino alle sculture monumentali di più recente realizzazione (la Pietà).

La rassegna, curata da Maria Teresa Benedetti, è volta a far emergere gli elementi chiave di un’opera dedicata a istituire un rapporto tra il nostro tempo e la tradizione.

Con la sua Venere (2018), l’artista mette in discussione i canoni estetici che identificano la bellezza con un’ideale di perfezione di fatto irraggiungibile, basato sul culto eccessivo della propria immagine. “Su questo evito sempre di rispondere, semplicemente facendo delle cose. Ovvero, se in qualche modo io mi occupo di bellezza, miro a descriverla mostrando, a mia volta, quello che percepisco da ciò che mi arriva e che, attraverso il filtro delle mie emozioni, restituisco alla collettività sotto forma di immagine”.

Jago – Figlio Velato, 2019. Marmo, 200x100x50 cm. Chiesa di San Severo fuori le mura (NA). Photo by Jago

D’altro lato incalza l’oggi con la presenza del Figlio Velato (2019), icona simbolica di tragedie senza tempo, come per esempio quella più recente del terribile conflitto in Ucraina.

Immediato il parallelismo con il meraviglioso Cristo Velato (1753) del Sanmartino, custodito a Napoli, nella Cappella Sansevero. “Lo vidi per la prima volta nel corso di una gita scolastica alle Medie e già all’epoca proiettavo me stesso nel creare, un giorno, qualcosa di simile. Sono queste le esperienze che mi danno entusiasmo, energia e voglia di fare, quando rientro a casa”.

Nel contempo, l’artista propone un tema svincolato dalla storia, nel replicare la sequenza del battito cardiaco in Apparato Circolatorio (2017). “I colpi di scalpello hanno lo stesso ritmo del battito cardiaco; ma le pause sono importantissime, per tener viva la soglia d’attenzione necessaria per riprendere il lavoro e farlo bene”.

Jago unisce un grande talento creativo all’utilizzo dei mezzi di comunicazione più contemporanei. Le dirette streaming, così come le foto e i video, raccontano il processo produttivo di ogni singola opera, e, mediante questa condivisione, lo scultore rende tutti partecipi della genesi di ogni suo lavoro.

Ma la creazione necessità anche di individualità e silenzio: “Abbiamo tutti una vita sociale, ma quello che si vede online è solo una piccolissima fetta della mole di lavoro e di impegno che c’è alle spalle e che è necessario per la realizzazione di un’opera”.

Jago ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, come la Medaglia Pontificia (conferitagli dal Cardinale Ravasi in occasione del premio delle Pontificie Accademie nel 2010), il premio Gala de l’Art di Monte Carlo nel 2013, il premio Pio Catel nel 2015, il Premio del pubblico Arte Fiera nel 2017 e ha inoltre ricevuto l’investitura come Mastro della Pietra al Marmo Macc del 2017.

Dal 2016, anno della sua prima mostra personale nella capitale italiana, ha vissuto e lavorato in Italia, Cina ed America. È stato professore ospite presso la New York Academy of Art, dove ha tenuto una masterclass e una lecture nel 2018.

Foto di Gianfranco Fortuna per Arthemisia

Nel 2019, in occasione della missione Beyond dell’ESA (European Space Agency), Jago è stato il primo artista ad aver inviato una scultura in marmo sulla Stazione Spaziale Internazionale. L’opera, intitolata The First Baby e raffigurante il feto di un bambino, è tornata sulla terra a febbraio 2020 sotto la custodia del capo missione, Luca Parmitano.

Da maggio 2020, Jago risiede a Napoli, dove lavora nel suo studio nella Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi e dove, ad inizio novembre dello stesso anno, ha realizzato l’installazione Look Down in Piazza del Plebiscito.

A tal proposito, non può mancare un riferimento al capoluogo partenopeo e alle sue infinite meraviglie, anche culinarie: “Tutto quello che viene prodotto a Napoli è un piacere; come il cibo che, in qualsiasi modo venga cucinato, esprime una saggezza tramandata di generazione in generazione. Qualsiasi alimento, anche un pomodoro, a Napoli è un’altra cosa. Non parlo di piatti sofisticati, ma di cose semplici che, per il modo in cui vengono fatte, raccontano la consapevolezza di secoli di tradizione”.

Proprio come le opere di Jago, che narrano storie d’un passato sempre attuale, perché ricco di sogni, emozioni e riflessioni che l’essere umano porta con sé sin dalla notte dei tempi, e che sono universali.

Teresa Lanna

Foto di Gianfranco Fortuna per Arthemisia

sabato 12 Marzo 2022 – domenica 3 Luglio 2022
Jago. The exhibition
PALAZZO BONAPARTE
Via del Corso, 295B, 00186 Roma
mostrepalazzobonaparte.it

Note

  1. cit. Massimo Bontempelli “L’avventura novecentista”