Gender Fluid

La galleria del vento: i corpi fluidi di Natacha Lesueur

di Paola Milicia.

La galleria del vento: i corpi fluidi di Natasha Lesueur

La dimensione espansa della rappresentazione corporea è senza dubbio il tratto unico e inequivocabile dell’identità artistica di Natacha Lesueur. Dalle prime opere degli anni Novanta alla recentissima serie Les humeurs des fées (2020-21), raccolte in una monografia a Villa Medici, l’indagine dell’artista ruota incessantemente intorno al corpo umano, oggetto dalla inesauribile versatilità espressiva, qui interpretato in chiave simbolica come locus di resistenza contro il convenzionale uso e abuso, contro le definizioni sociali canonizzate nel binomio immagine – modello, contro la costruzione dei ruoli basati sul genere, su canoni
estetici e di bellezza.

Dalla forte connotazione sociologica e culturale, la fotografia di Natacha Lesueur è puntellata da una rilettura del repertorio visivo e semantico collettivo capace di dare luogo a una sorta di estetica alterata, spregiudicata e a tratti grottesca, del déjà-vu, inteso come qualcosa di già vissuto e, perciò, da noi decodificabile. Quella che potrebbe sembrare un’imperfezione argomentativa, potenzia, invece, la strategia compositiva e comunicativa dell’artista.
L’inclusione, infatti, di ogni possibile cliché, di archetipi classici, di riferimenti più marcatamente extra-testuali (corpi- Lolita, -Androgini, -pin-up), di dogmi e rituali visivi – penso alla pelle goffrata e alla scarificazione praticata da etnie africane al passaggio dalla pubertà all’età adulta; all’alfabeto inciso sulla pelle come fosse una tavola optometrica; ai geroglifici e altri simboli come allusione a corpi dalla natura ideo-grammatica; all’utilizzo di alimenti che avvolgono corpi edibili come fossero beni di prima necessità -, se da una parte, fa pensare a quanto siamo dipendenti dal concepire una conoscenza del corpo come fatto sociale, culturale e consumistico, dall’altra, ci serve una generale pietas mossa dalla drammatica vulnerabilità di cui è fatta la corporeità contemporanea trattata alla stregua di un oggetto intrappolato nella funzionalità per cui è stato concepito.

Gli scatti che ci accolgono nelle prime sale appaiono già indissolubilmente permeati di strane alchimie e “peccaminose” debolezze, in cui il frequente motivo della nudità connessa a un senso di comune erotismo, intensifica appositamente la relazione tra il corpo femminile e i linguaggi della pubblicità, del consumismo, della speculazione figurativa e morale, in un rimescolamento dai toni intenzionalmente ironici, provocatori e sovversivi.

Dal corpo nella sua interezza e palpabilità, al volto.

Le opere esposte nelle successive sale prediligono una superficie di indagine ridimensionata che coincide con un preciso spostamento semantico: da una manifestazione più o meno esplicita di corpi sdraiati, adagiati, esposti, ancora privi di quell’enigma a cui ricorre spesso l’artista, si passa a un generale e più grave senso di sfuggito e di sopravvissuto, di dissolvente, di inafferrabile: i ritratti delle “donne in galleria” enfatizzano la dialettica fluida con cui costruiamo la percezione del corpo sociale, in un continuo dare forme, limiti e costrizioni alle cose che ci circondano, in bilico tra incorporare e distanziare, tra fondere e ricacciare indietro, tra riconoscere e ignorare, tra tacere e rivelare. Un modo personale di esplorare contemporaneamente la mutevolezza dei contesti e l’immutevolezza dello sguardo con cui condanniamo il corpo umano al suo ruolo estetico sociale.

Nella galleria, che ricorda un Pantheon di genere, l’artista traccia un immaginario andamento del flusso culturale, simulando l’interazione con l’osservazione, proprio come avviene in una galleria del vento, in cui gli oggetti sono sottoposti all’azione dell’aria: queste creature (spose, moderne Orlando, icone di Hollywood come l’attrice brasiliana Carmen Miranda) sembrano essere attraversate dallo sguardo estraneo senza che questo scalfigga la loro regalità. Si lasciano, piuttosto, guardare, ammirare, quasi toccare, conservando sempre un’aurea di misteriosa plasticità, sfuggente e taciuta, di una compostezza elegante, mai troppo patinata, di una dignità adamantina, dura e impenetrabile.

Sono donne foriere di complesse sfaccettature esistenziali: aggressive, drammatiche, stranianti, suggestive, fameliche, diaboliche e visivamente intriganti, tutte dotate di una intensa autonomia figurale e morale, essenzialmente legata alla capacità dell’artista di controllare e far fluire nelle pose statuarie e poetiche (e letterarie, per via di più di qualche ispirazione all’opera della scrittrice Virginia Woolf), l’espressività primaria di ciò che sono, tacciono e sottintendono oltre il velo dell’apparenza.

Paola Milicia

La mostra “Natacha Lesueur. Come un cane ballerino“, per la cura di Christian Bernard, è visitabile fino a domenica 9 gennaio 2022 presso l’Accademia di Francia – Villa Medici (Roma).

Informazioni:
ACCADEMIA DI FRANCIA – VILLA MEDICI
viale Trinità dei Monti, 1, 00187 Roma
06 67611; villamedici.it