Gender Fluid

La seduzione virile e ribelle di Giuditta. Caravaggio e Artemisia Gentileschi a Palazzo Barberini

di Paola Milicia.

Michelangelo Merisi detto Caravaggio – Giuditta decapita Oloferne, 1599 circa. Olio su tela, cm 145×195. Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica – Palazzo Barberini

Palazzo Barberini mette in mostra le “sfide” di Giuditta. Non una ma tante e diverse.
Anzitutto, per la ricchezza dell’allestimento che vanta capolavori provenienti dai più grandi musei (dalla Galleria Borghese di Roma al Museo di Capodimonte di Napoli, dal Prado di Madrid al Kunsthistorisches di Vienna e al National Museum di Oslo). Secondariamente, per la ricorrenza dei 70 anni dalla scoperta della tela caravaggesca, “Giuditta che decapita Olofernead opera del restauratore Pico Cellini (1951), e a 50 dall’acquisizione da parte dello Stato italiano, entrambi echi di altre e lontane sfide senza le quali non ci sarebbe stata quella odierna.

Si tratta probabilmente di una delle mostre più sensazionali del momento, nella quale il talento di Artemisia Gentileschi precorre semantiche sociali complesse e attuali, con una interpretazione vibrante e appassionata, che riverbera di coraggio per quanto la sua biografia consegna alla storia.

Il racconto di uno dei soggetti più frequentati dall’arte e dalla letteratura di ogni tempo, la decollazione di Oloferne per mano di Giuditta, viene polifonicamente ripreso, reinterpretato, arricchito, moltiplicato e risignificato da 31 artisti che, tra il XVI e il XVII, si sono confrontati, entro certi limiti scelti più o meno liberamente, con l’innovazione dirompente e rivoluzionaria dell’opera di “Giuditta che decapita Oloferne, forse la più drammatica, di Michelangelo Merisi da Caravaggio.

E’ un’opera di seminale importanza per la raffigurazione estensiva della scena che include per la prima volta la tensione drammatica della protagonista, palesata nella veemenza di Giuditta che afferra la testa del generale assiro. L’esposizione parte da qui: un percorso artistico ricostruito lungo quattro moduli, e immaginato attorno alla tela caravaggesca, principio di una riflessione polivalente che ci spinge fino alla moderna psicoanalisi, sacrificalmente votata a indagare le pieghe tortuose del desiderio, le voluttà, i precipizi dell’eros, il legame tra aggressività e seduzione.

Jacopo Robusti detto il Tintoretto, bottega di –
Giuditta e Oloferne, 1577-1578 circa. Olio su tela, cm 188×251. Madrid, Museo Nacional del Prado © Photographic Archive. Museo Nacional del Prado. Madrid

In apertura, il contesto cinquecentesco (con uno splendido Tintoretto) con echi tardo manieristici, geometrie sinuose, e ricchezza di dettagli ma comunque premonitore di un cambiamento. Seguono all’appello, tra i primi interpreti a raccogliere la sfida contemporanea: Trophime Bigot, Giuseppe Vermiglio, Filippo Vitale, Valentin de Boulogne, Bartolomeo Mendozzi, Louis Finson. La retorica del contrasto tra la violenza e la bellezza è di evidente ispirazione caravaggesca: lo sguardo è ancora quello del Merisi a riprova del fatto che l’opera costituì al tempo il centro nevralgico della scena pittorica, un vero punto di svolta dell’immaginario collettivo, nonostante la storia la vuole custodita gelosamente nella collezione privata del banchiere Ottavio Costa che ne vietò la riproduzione e la divulgazione.

Per trovare una nuova Giuditta che non sia più solo elegante, come nella tela di Cristofano Allori, o ancora troppo figlia di canoni figurativi ordinari come in Giovanni Baglione, o in posa eroica come in Bartolomeo Manfredi, bisogna guardare ad Artemisia Gentileschi, l’unica artista che restituisce all’opera e alla storia quella parte sottratta e taciuta della scena, forse addirittura la più oscura, che cresce dentro i pensieri e le emozioni dell’eroina, oltre che nella meccanica dell’azione.

Presenti in sala, due sue versioni di “Giuditta decapita Oloferne” molto distanti tra loro, eppure sequenziali, in cui la pittrice affronta la determinazione della violenza e della rabbia programmata, per mano di una eroina iconica e monumentale nella versione del Museo Nazionale di Capodimonte (1612), per poi lasciare che la tensione cruenta si allenti, il clima si faccia riappacificato e normalizzato, nella versione conservata nella Galleria degli Uffizi di Firenze (1620).

Nella prima tela, se non è cambiata la sostanza dell’atto, sono cambiate tuttavia l’intenzionalità della violenza di Giuditta a cui corrisponde una fisicità impostata, il dramma con cui la donna compie la decapitazione, i nessi dei personaggi con l’azione medesima. La scena è incalzante, la gestualità precisa e realistica: la donna tiene fermo Oloferne per la chioma con la mano sinistra, mentre è con la destra che manovra la spada per recidere le carni. Il corpo di Giuditta è per metà piantato a terra, fermo e stabile, mentre col ginocchio sovrasta Oloferne, in un atto che attribuisce a lei la potenza dell’attacco, mentre mostra una tensione muscolare insieme virile ed erotica, e una seduzione di cui sembra esserne addirittura consapevole. La scena è sottilmente riconducibile all’amplesso: le posizioni dei due, le espressioni e il guizzo di sangue sui tessuti sembrano convergere anche in questa direzione. L’espressione facciale è severa, concentrata e determinata ad andare fino in fondo, in contrasto, con quella di Oloferne che ha gli occhi retroversi, e la bocca aperta come a simulare, non anche un grido di strazio, ma una resa incondizionata e incredula di fronte alla bellezza intelligente e mortale di Giuditta.

Artemisia Gentileschi, Autoritratto come allegoria della Pittura, (1638-1639), Royal Collection, Windsor

Mai meglio di Artemisia Gentileschi viene esplorato il concetto di aggressività a partire da una lettura di genere che si esprime in modo complesso anche in funzione dell’ambito culturale nel quale si manifesta. L’esubero di aggressività assieme alla realistica meccanica dell’azione, la naturalistica virilità che si sposta verso il femminile, evoca sì, la vendetta personale di fronte all’abuso dell’uomo, ma anche il coraggio di una visione soverchiante e ante litteram dei ruoli sociali e quella nuova immagine di donna con due teste chiamata a sedurre e a castrare. Così, mentre nell’uomo la decollazione è sinonimo di paura, nella donna assume i toni di trionfo e libertà.

L’effetto di insieme è così penetrante che posare lo sguardo sulla seconda tela proveniente dagli Uffizi, restituisce una tregua all’osservazione: la scena mostra l’istante in cui le due donne si apprestano a lasciare la tenda di Oloferne. Abra sostiene la cesta in cui è stata deposta la testa mozzata del generale e Giuditta impugna ancora la spada mentre posa l’altra mano sulla spalla dell’ancella, con un gesto complice e solidale. Invocando la solidità dei legami, la cooperazione e l’alleanza tra l’eroina e Adria, Artemisia Gentileschi assicura alla scena una sorprendente interpretazione di rara umanità al femminile e di grande sapienza narrativa.

Paola Milicia

Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento
Mostra a cura di Maria Cristina Terzaghi
Venerdì 26 Novembre 2021 – Domenica 27 Marzo 2022
GALLERIE NAZIONALI DI ARTE ANTICA – PALAZZO BARBERINI
Via delle Quattro Fontane, 13, 00187 Roma
barberinicorsini.org