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Spellbound: la mostra sul capolavoro di Hitchcock e sull’arte geniale di Dalì. Intervista a Roberto Pantè

di Teresa Lanna.

Salvador Dalì ed Alfred Hitchcock - Spellbound

Salvador Dalì ed Alfred Hitchcock; e poi Napoli, una città che rappresenta la collocazione perfetta per l’anteprima mondiale di “Spellbound: Scenografia di un Sogno“, la mostra a cura di Beniamino Levi, accolta nella Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, nel cuore del centro storico del capoluogo campano. Il progetto, che si avvale della direzione artistica di Roberto Pantè, presenta per la prima volta in Europa la scenografia realizzata da Dalì per il film di Hitchcock: “Spellbound” (in italiano “Io Ti Salverò”) .

Un progetto che unisce cinema, arte e musica, in un percorso espositivo multisensoriale che la città partenopea offre già per sua natura a coloro che vi si recano e che, attraverso questa esposizione, è ancora più interessante e ricco di sfumature. In mostra vi sono oltre cento opere originali di Dalì, valorizzate dalla dimensione cinematografica hitchcockiana e da incredibili effetti sonori e multimediali. Si tratta di sculture in bronzo, opere in vetro Daum, grafiche, libri illustrati, tarocchi daliniani, oggetti di design e arredi surrealisti di grandissimo valore, che confermano la poliedricità di Salvador Dalì, il quale fu pittore, scultore, designer, illustratore e scenografo.

Il ‘viaggio’ tra le decine di capolavori culmina con l’esposizione dello Spellbound, dipinto maestoso e monumentale, scenografia creata nel 1945 da Salvador Dalì per l’omonimo film di Alfred Hitchcock.

Il grande regista era colpito dalla visione onirica dell’artista catalano e si rivolse a lui per rappresentare la fase centrale che ruotava intorno alla scena del sogno – spiega Robertò Pantè – Per farlo voleva linee diverse dal solito; non scene opache e tremolanti, ma tratti decisi e nitidi, quasi realistici. Secondo Hitchcock, solo un visionario, un artista pervaso da paranoie critiche come Dalì, poteva essere in grado di immaginare la scenografia ideale. Da qui nasce questa opera di trenta metri, che viene esposta per la prima volta in Europa. Un’opera che rappresenta un pezzo di storia del cinema su cui i primi occhi a posarsi sono stati quelli di Dalì, di Hitchcock e di Ingrid Bergman e Gregory Peck, che erano gli attori protagonisti del film che fu premiato con un Oscar e che ricevette diverse nomination”.

Lo spettatore avrà la sensazione di trovarsi all’interno della mitica scena della pellicola, per la presenza di occhi che spuntano dalle pareti e dai tendaggi, uomini senza volto e oggetti dai bordi contorti. Il capolavoro di Dalì sarà messo ancora più in luce da una scenografia corredata da proiezioni e dalla colonna sonora premio Oscar del compositore Miklos Rosza.

Teresa Lanna

Una scena dal film “Spellbound” di Alfred Hitchcock con la scenografia di Salvador Dalí

Abbiamo intervistato il direttore artistico di Spellbound, Roberto Pantè.

[Teresa Lanna] : Dalì ed Hitchcock: come definirebbe la loro collaborazione e quali sono, secondo lei, i maggiori punti in comune tra questi due grandi artisti del novecento?

[Roberto Pantè] : La collaborazione dei due grandi maestri del novecento, nata con la realizzazione dello Spellbound da parte di Salvador Dalì per la pellicola del ‘46 di Alfred Hitchcock, è una commistione perfetta tra la genialità di due artisti del thriller e della paranoia. Sono, così, evidenziati i diversi punti in contatto tra la produzione artistica daliniana e quella cinematografica di Hitchcock, soprattutto nella suggestione onirica creata dallo Spellbound, che mette in risalto il tema della psicanalisi e delle teorie freudiane. Un viaggio tra arte e coscienza.

Napoli: cosa l’ha spinta a scegliere questa città per Spellbound, ed in particolare la Basilica della Pietrasanta?

Mai è capitato prima di avere un’opera del genere in Italia e soprattutto in una città come Napoli, diventata il cuore e la testa creativa del grande gruppo Dalì. Da Napoli nasce la gestione dei musei che si diffonde in tutto il mondo. Questa mostra, fortemente voluta dal nostro gruppo in collaborazione col team Dalì Universe, è orgogliosamente napoletana. Essendo io napoletano e, al contempo, direttore di un gruppo internazionale, ho fortemente voluto che questa première europea venisse aperta a Napoli e che partisse da qui per arrivare in America ed Asia. L’esposizione è stata organizzata nella Basilica della Pietrasanta perché è uno dei siti più interessanti dal punto di vista storico ed artistico e, oltretutto, perché Dalì era anche un mistico. Nella sua arte ci sono tracce sommerse di un’eredità cristiana non convenzionale, ma sinceramente espressa con fede, sia pure nelle forme di un surrealismo che potrebbe anche sembrare dissacratorio.

Cosa la colpisce di più della scenografia di Dalì?

Dalì riuscì a mettere su tela quella “paranoia” che era per lui una malattia cronica, attraverso occhi che spuntavano dalle pareti e dai tendaggi, uomini senza volto e oggetti dai bordi contorti. Rappresentò una visione surrealista del mondo onirico, rendendo in soli tre minuti uno stato emozionale della fase onirica. Ha creato un metodo paranoico-critico che si interseca fino a diffondere in ognuno delle reazioni diverse.

Lei promuove molte mostre su Dalì, sempre originali. Come si è accostato al maestro catalano?

Sì, in questi ultimi anni ho promosso molte mostre su Dalì, volutamente uniche nel loro genere, ma sempre suggestive. L’accostamento a Dalì è dovuto all’incontro con Beniamino Levi, che detiene la più grande collezione privata al mondo di opere d’arte del maestro catalano e che in me ha riconosciuto la passione per l’arte ed in particolare proprio per il surrealismo daliniano.

Come si dirama l’iter dell’esposizione e qual è il fil rouge che guida il percorso del visitatore?

In questa mostra, lo spettatore sarà accompagnato fino alla visione ultima del capolavoro daliniano. L’obbiettivo principale sarà quello di portare l’osservatore ad immergersi in un viaggio emozionale; ognuno farà i conti con la parte più intima di sé. Si tratta di un iter soggettivo e che sarà, dunque, interpretato in modo personale. Ognuno, infatti, potrà approfondire il proprio inconscio guardando il mondo secondo una prospettiva diversa. Dalì persuade ancora oggi attraverso la contemporaneità delle sue opere e, grazie al contributo delle nuove tecnologie, lo si è reso materialmente vivo diventando sensibile alla comunicazione contemporanea.

Il percorso espositivo prevede: sculture museali, opere in vetro, illustrazioni e pezzi di design unici. Con quale criterio sono state scelti i lavori in mostra?

Lo slogan incita l’osservatore a lasciarsi trasportare dalla realtà o surrealtà daliniana e a dar libero sfogo alla propria fantasia poiché, quando sogniamo, raggiungiamo la massima libertà espressiva. In questo caso ho aspirato alla materializzazione dei sogni. I sogni sono piacevoli e lasciano una bella sensazione; trovo che sarebbe bello riuscire a ricrearli, ma purtroppo quelli che si ricordano meglio sono gli incubi, ed è proprio questo aspetto che mi ha portato ad approfondire il tema.

Saremo immersi in un mondo in cui dovremo “lasciare che i sogni ci parlino”, come indica lo slogan pubblicitario. Quest’esposizione può essere considerata la realizzazione di un suo ‘sogno nel cassetto’, che aveva da tempo?

Non a tutti capita di realizzare un sogno nel cassetto; per quanto mi riguarda, il mio di sogno si è materializzato da tempo, ossia da quando ho iniziato il mio percorso lavorativo.

Il titolo della mostra ricorda il film di Alfred Hitchcock, intitolato Spellbound (in italiano “Io ti salverò”), realizzato nel 1945 e per il quale lo stesso regista chiese a Salvador Dalì di creare una sequenza onirica particolare. In origine la scena sarebbe dovuta durare 20 minuti, ma molte parti furono tagliate. Com’era l’idea iniziale?

Nel film “Io Ti Salverò”, Hitchcock affida a Salvador Dalì la scenografia della scena più importante del film, affinché il pittore riesca a rappresentare i sogni in maniera realistica, cioè come tutti li vivono, senza usare nebbioline o tremori. Ciò che renderà la pellicola estremamente affascinante è la famosa “scena del sogno”, dove le scenografie, piene di occhi giganti, oggetti che si afflosciano e volti coperti, furono progettate e disegnate dall’artista catalano. In tutta la scena, compaiono ‘rimandi’ alle opere pittoriche di Dalì. D’altra parte, egli fu l’unico pittore surrealista a incontrare personalmente Sigmund Freud, ed è anche un artista che ha saputo cavalcare in maniera corretta i ‘sogni’ e le sue angosce attraverso rappresentazioni pittoriche. Nella scenografia non c’è la riproduzione di un’opera specifica, ma una sorta di riassunto degli stilemi surrealistici del maestro spagnolo.

Il sogno è quella produzione psichica che ha luogo durante il sonno ed è caratterizzata da immagini, percezioni, emozioni che si svolgono in maniera irreale o illogica. O, per meglio dire, possono essere svincolate dalla normale catena logica degli eventi reali, mostrando situazioni che, in genere, nella realtà sono impossibili a verificarsi”, affermava Salvador Dalì.

Sembra proprio un sogno ritrovare, l’uno accanto all’altro, due grandissimi artisti del Novecento che, collaborando insieme, ci hanno regalato un capolavoro cinematografico la cui bellezza rivive in una città come Napoli, nella quale basta guardarsi intorno girando nei vicoli per vivere una favola. Ad occhi aperti.

“Spellbound Napoli – Scenografia di un sogno”
a cura di Beniamino Levi
Direzione artistica Roberto Pantè
Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta
Piazzetta Pietrasanta, 80138 Napoli
340 230 0666; spellboundnapoli.it