Maria Mulas: gli infiniti ritratti di una fotografa appassionata

di Teresa Lanna.

Se visitiamo il suo sito internet personale, rimaniamo colpiti dal lunghissimo elenco di personaggi famosi (divisi per cognome, rigorosamente in ordine alfabetico) da lei fotografati dagli anni ‘70 ai duemila, e oltre. Ritratti immortalati con estrema professionalità, unita a quella dote innata che ti porta a saper “guardare” oltre i volti delle persone, leggendo tra le righe della loro interiorità, a colpi di click.

Sono centinaia i nomi noti da lei “catturati”: artisti, galleristi, critici, designer, architetti, scrittori, editori, giornalisti, stilisti, registi, attori, intellettuali, imprenditori, amici. Si tratta di personalità – simbolo della cultura italiana e del made in Italy.

Tra questi: Giorgio Armani, Gae Aulenti, Joseph Beuys, Giorgio Bocca, Roberto Calasso, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Inge Feltrinelli, Dario Fo, Carla Fracci, Allen Ginsberg, Krizia, Vico Magistretti, Enzo Mari, Marcello Mastroianni, Ottavio Missoni, Bruno Munari, Fernanda Pivano, Gio Ponti, Miuccia Prada, Ettore Sottsass, Giorgio Strehler, Ornella Vanoni, Lea Vergine, Luigi Veronesi, Gianni Versace, Andy Warhol.

I capelli rossi, che da sempre sono uno dei suoi tratti predominanti, sembrano quasi rappresentare la passione che la accompagna da una vita e che eredita dal fratello maggiore Ugo, scomparso prematuramente nel 1973.

Maria Mulas

Lei è Maria Mulas (Manerba del Garda, 1935). Stabilitasi a Milano nel 1956, inizia qui il lavoro artistico attraverso la fotografia a metà degli anni Sessanta; ed è nel capoluogo lombardo che si trova, tuttora, la casa – studio della Mulas, insieme al suo archivio composto da migliaia di negativi e fotografie.

Tra il 1965 e il 1976, realizza perlopiù fotografie di teatro e ritratti e, parallelamente, conduce una ricerca sui riti cosiddetti sociali. Nel 1976, inaugura la sua prima mostra personale presso la galleria Diaframma di Milano, dove espone una raccolta di ritratti che rivelano una sottile e spietata critica sociale.

Con Lea Vergine e, su incarico del Comune di Milano, conduce una ricerca sulla generazione di artiste che operarono nelle file delle avanguardie storiche. Esegue, quindi, una serie di ritratti di artiste nei loro studi (Sonia Delaunay, Meret Oppenheim, Bice Lazzari, Marcelle Can, ecc); scatti che vengono esposti all’interno di Palazzo Reale, a Milano, e a Palazzo delle Esposizioni, a Roma, nella mostra L’altra metà dell’avanguardia (1980).

Opere di Maria Mulas sono presenti in vari musei d’arte moderna del mondo (Sydney, Pechino, Edimburgo, ecc.).

Nel corso della sua carriera, Maria Mulas collabora stabilmente con diverse testate italiane ed estere e con i maggiori quotidiani italiani; inoltre, è autrice di importanti libri fotografici, come ad esempio Hans Richter (1976) e Sul linguaggio organico di Henry Moore (1977).

Gli anni Settanta, Ottanta e Novanta sono per l’artista milanese una lunga sequenza di: incontri, Biennali veneziane e Kassel, allestimenti e inaugurazioni di mostre, presentazioni letterarie, feste e reportage in giro per il mondo. Ma il luogo d’osservazione privilegiato rimane sempre la città di Milano, nella quale confluiscono e si integrano le varie provenienze regionali e straniere, e, nella quale, Maria Mulas ha mostrato, con immagini uniche nel loro genere, il panorama artistico e culturale milanese, italiano e internazionale.

Nel 2009, la Mulas ha vinto il Premio delle Arti – Premio della Cultura per la Fotografia, con la motivazione seguente: “L’occhio fotografico di Maria Mulas ha trovato, nella dialettica del vissuto e nei ritratti assoluti, l’attimo di un racconto immortalato dove valore estetico e tecnica delle parti segnano il capitolo più alto della storia fotografica degli ultimi decenni”.

Maria Mulas ha incontrato centinaia di personaggi famosi, e stretto un solido rapporto di amicizia con la maggior parte di essi. Tuttavia, in qualche dichiarazione rilasciata da lei stessa in interviste più o meno recenti, si legge avesse un carattere perlopiù solitario.

Non c’è modo migliore, allora, per descrivere una delle più grandi fotografe italiane se non attraverso le parole di una delle sue figlie, Patrizia Zappa Mulas; testimonianza vivente dell’arte che sposa la vita, rendendo speciale e creativa anche quella delle persone che hanno la fortuna di interagire con lei: «Maria ha cominciato la sua storia d’artista catturando lo sguardo delle sue figlie. È su di noi che ha affinato l’esercizio del ritratto che è l’arte di catturare sé stessi negli altri. L’arte di restituire a qualcuno la sua immagine violata e ricreata. Da bambina la vedevo tornare a casa fresca di strada con la borsa piena di rullini fotografici. FP4, HP4 ci stava scritto sopra. Avevo già imparato a riconoscere quelli vergini per la pellicola che penzolava fuori come una lingua. Era il pezzo da agganciare ai denti della Leika prima di chiudere lo sportello e cominciare a scattare. Quando il rullino era finito usciva dalla pancia della macchina liscio e concluso, senza la smorfia della lingua, con tutti e trentasei gli scatti arrotolati dentro. I rullini erano la misura dell’umore di mia madre. Quando scattava foto stava guardando dentro sé stessa.

Alla prima esposizione di Maria (1976) mi è apparso tutto insieme il suo paesaggio, il mondo come lo vede lei – pieno di mostri preistorici, di fiere, di belve ammaestrate cui si accende il sorriso. I suoi incubi in bianco e nero.
Nelle migliaia d’immagini che ha composto da quando ha cominciato a usare la macchina fotografica mi pare adesso di leggere un romanzo. Una lunga storia che ha come io narrante una ragazza intensa e timidissima e Milano come protagonista.
Perché è questa città la scena del suo sguardo, anche quando fotografa altri luoghi resta Milano la sua città mentale. La città che mescola il passato e il futuro senza soggezione. […]

C’è molta pittura nelle sue immagini, molta storia della pittura vissuta d’istinto, senza soggezione – da Pollaiolo a Pollock. Questo mi ha insegnato Maria, che le immagini appartengono al loro tempo ma dialogano tra loro saltando i secoli, si richiamano tra loro senza badare alle date. […]

© Maria Mulas – Miuccia Prada, Milano 1986

Gli artisti sono sempre assorbiti dalle loro ossessioni. Anche i più espansivi hanno una zona d’ombra, che si fa intuire indirettamente. Che cosa c’è di più esplicito di una fotografia? È un istante del mondo che si fissa sulla pellicola. Un processo ottico e chimico che si produce quasi meccanicamente, come da sé. Eppure non è così. C’è chi fotografa per ricordare, lo facciamo tutti. Ma c’è chi la usa per raccontare qualcosa, per rendere visibile la propria ossessione. Maria ragiona con gli occhi, capisce il mondo attraverso le inquadrature, si difende dalla vita componendo quadri nel suo studio.
Maria non mi ha insegnato a guardare – quello viene da sé. Mi ha insegnato a vedere.
E cioè a violare, a rinunciare alla discrezione che rende sempre miti gli animali. Vedere è irradiarsi e trasfigurare quello che accade intorno. Non è curiosità ma una forma di passione.

Tra le magie che accendono l’infanzia, c’è stato anche il suo nome – proprio il suono mariamulas, con quel fiotto di m materne e di consonanti liquide, luminose. E mi sembrava la cosa più naturale del mondo che il nome della città casa avesse gli stessi suoni, che anche Milano fosse mia madre. Sì, agli albori del linguaggio, devo aver creduto, che Maria e Milano fossero una parola sola».

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